Rappresentazione artistica di un pianeta potenzialmente abitabile.
di Umberto Genovese con alcuni contributi di Sabrina Masiero
Se credi che una certa cosa possa essere improbabile, almeno cerca di togliere l’impossibile e forse quello che ne rimane è potenzialmente vero.
Se un giorno riuscissimo a scoprire un’altra Terra, è altamente improbabile che questa presenti uno stadio evolutivo simile al nostro. La Terra è infatti ben lontana dall’essere un sistema statico fin dal momento della sua formazione avvenuta circa 4,6 miliardi di anni fa. Al contrario, per tutto questo tempo ha subito numerosi cambiamenti nella composizione atmosferica, nella temperatura, nella distribuzione dei continenti, senza parlare delle numerose e diverse forme di vita che l’hanno occupata. Tutti questi cambiamenti si sono riflessi nell’aspetto che potrebbe essere visto a distanze astronomiche. Ogni scenario ha avuto la sua firma caratteristica, e adesso saper riconoscere queste impronte in altri pianeti può aiutarci a capire se questi possono essere stati o esserlo nel futuro, potenzialmente abitabili.
Nel corso degli ultimi quattro anni è stato possibile scoprire parecchi pianeti nell’intervallo di massa tra 2 e 10 masse terrestri, quelli che vengono definiti Super-Terre; alcuni di questi pianeti si vengono a trovare dentro oppure si trovano vicini alla zona di abitabilità della loro stella ospite. Recentemente sono stati annunciati nuovi pianeti delle dimensioni della nostra Terra e della nostra Luna, e questo numero sicuramente aumenterà in futuro. Le prime statistiche hanno messo in evidenza che circa il 62% delle stelle della nostra Galassia potrebbero ospitare un pianeta delle dimensioni della nostra Terra mentre studi compiuti dalla missione Kepler della NASA indicano che circa il 16,5% delle stelle hanno almeno un pianeta delle dimensioni del nostro con periodi orbitali fino a 85 giorni. Per poter caratterizzare queste esoterre scoperte dobbiamo prima di tutto dare uno sguardo al nostro Sistema Solare e ai suoi pianeti. La Terra è per ora l’unico pianeta conosciuto in cui esiste la vita; di conseguenza le osservazioni del nostro pianeta saranno una chiave fondamentale per lo studio e la ricerca della vita altrove.
Intanto, poter definire come un pianeta sia potenzialmente vivibile non è affatto facile, ci sono talmente tante condizioni al contorno da soddisfare che non è facile considerarle tutte. Una di queste impone che per sostenere la vita come la conosciamo, un pianeta debba permettere all’acqua di esistere allo stato liquido sulla sua superficie. Indicativamente, e forse in modo piuttosto semplicistico, spesso questa condizione viene identificata come la fascia – o zona – Goldilocks, quella zona né troppo lontana e né troppo vicina alla stella dove la radiazione consente all’acqua di esistere allo stato liquido su un pianeta. Quindi si tratta solo di un mero dato orbitale che ben poco ha a che vedere con la realtà: ad esempio, sulla Luna la presenza di ‘acqua allo stato liquido non è possibile anche se ne esiste una certa quantità allo stato solido (ghiaccio); eppure condivide con la Terra la stessa zona di abitabilità.
Quello che veramente occorre ad un pianeta perché possa essere considerato potenzialmente vivibile è un ambiente abbastanza stabile nel tempo che non sia soggetto a parossismi orbitali che periodicamente farebbero congelare o arrostire la sua superficie e un ambiente abbastanza ricco di energia da poter essere sfruttata dalle forme di vita. Se per risolvere il primo caso basta che l’eccentricità dell’orbita del pianeta sia prossima a zero, per il secondo caso il discorso si fa un attimino più complicato: occorre che la pressione ambientale consenta all’acqua di mantenere lo stato liquido in un ampio spettro di temperature e un meccanismo che garantisca che anche la temperatura sia più o meno stabile all’interno di questo intervallo [1].
Il ciclo geologico del carbonio
Per la sua capacità di trattenere la radiazione infrarossa, l’anidride carbonica è un importante termoregolatore per la superficie di un pianeta [2].
Il modo in cui questa molecola riesce a passare dall’atmosfera al mare, al fondale marino e poi di nuovo all’atmosfera è affascinate, anche se richiede molto tempo e un prerequisito essenziale: la presenza di una tettonica a placche .
In questo ciclo alcune molecole di anidride carbonica CO2 atmosferica si disciolgono nell’acqua (H2O) [3] formando acido carbonico .
CO_2 +H_20= H_2 CO_3
Un meccanismo molto efficace e che deve essere stato senz’altro presente fin dalle prime fasi della costituzione di una crosta solida è la pioggia. La pioggia ha anche un altro compito importante nell’evoluzione planetaria: desaturando un’atmosfera primordiale ricchissima di vapore acqueo [4] rafforza il processo di raffreddamento della superficie e facilita lo scorrimento delle prime zolle tettoniche necessarie per l’ultima fase del ciclo del carbonio. Adesso l’acido carbonico disciolto nell’acqua è libero di dissolversi nelle rocce con cui viene a contatto, siano esse quelle esposte alle precipitazioni o i fondali marini. Una reazione che potrebbe essere piuttosto comune è la seguente, dove i silicati di calcio CaSiO_3 svolgono un ruolo fondamentale nel ciclo:
CaSiO_3 + 2H_2CO_3 –> Ca^{2+} + 2HCO_3}^{-} + H_2SiO_3
tutti i membri di destra, gli ioni di calcio Ca^{2+}, gli ioni di idrogenocarbonato (2HCO_3^{-} [5] e l’acido silicico (H_2 SiO_3) sono ancora soluzioni acquose che potrebbero finire negli oceani. Ben presto l’idrogenocarbonato viene a trovarsi in equilibrio con l’anidride carbonica disciolta nell’acqua secondo la seguente formula:
2HCO_3^{-} –>{CO_3}ì{2-} + H_2O + CO_2
Quando la concentrazione di ioni carbonato (CO_3^{2-}) aumenta, questi interagiscono con gli ioni di calcio visti prima e precipitano sotto forma di carbonato di calcio (CaCO_3) creando così minerari come la calcite e l’aragonite. Questo è solo un esempio di come il carbonio atmosferico riesca a passare dalla forma gassosa nell’aria alla forma solida nella crosta planetaria. Il ruolo fondamentale di questo meccanismo è la presenza dell’acqua come solvente che ne consente il transito.
Rappresentazione artistica di kepler 62e. Crediti NASA.
Il risultato di questo scambio sono minerali come la calcite che testimoniano la sottrazione del carbonio dall’atmosfera e che possono finire sepolti anche molto in profondità, al di sotto delle zolle tettoniche. Da qui poi, grazie all’attività vulcanica, il carbonio intrappolato nelle rocce potrebbe tornare di nuovo nell’atmosfera. Se il meccanismo di sottrazione del carbonio dall’atmosfera dovesse venir meno per un calo eccessivo della temperatura globale, il naturale degassamento della crosta e del mantello tramite l’attività vulcanica dovrebbe far aumentare la concentrazione di $CO_2$ atmosferica e di conseguenza la temperatura. Altresì, un aumento eccessivo della temperatura dovrebbe permettere una maggior efficienza dei meccanismi di estrazione e quindi all’abbassamento di questa [6].
Il meccanismo del ciclo geologico del carbonio è complesso e comunque i suoi tempi di risposta sono piuttosto lunghi. Penso piuttosto a come l’equilibrio tra solvente (l’acqua del pianeta) e soluto (anidride carbonica) possa già di per sé portare ad una sottrazione dei due maggiori gas serra dall’atmosfera planetaria e alla stabilizzazione verso il basso della temperatura planetaria quando le condizioni ambientali consentono l’innescarsi di questo processo.
[1] L’ideale sarebbe che la temperatura planetaria media fosse stabile poco sopra il punto triplo dell’acqua. [2] Esistono anche altri gas serra, come ad esempio il metano che è 23 volte più efficace dell’anidride carbonica, ma vive in atmosfera solo 10 – 15 anni. [3] Questo fenomeno è dettato dalla Legge di Henry della chimica che esprime la dipendenza della solubilità di un gas in un liquido alla sua pressione e alla temperatura. [4] Il vapore acqueo (H200 è un altro potentissimo gas serra, responsabile per circa due terzi dell’attuale effetto serra naturale. Nell’atmosfera le molecole di acqua, come quelle dell’anidride carbonica, del metano ecc., catturano parte della radiazione riflessa dalla superficie diffondendola di nuovo come calore in tutte le direzioni, riscaldando così il pianeta. [5] L’idrogenocarbonato è conosciuto col nome ormai obsoleto di bicarbonato, ancora comunemente in uso nei paesi anglofoni. [6}. Attualmente sulla Terra questo meccanismo, che ingloba anche il ben più efficiente Ciclo Organico del Carbonio, si è inceppato proprio per lo smodato uso dei combustibili fossili operato dalla nostra civiltà. Adesso immettiamo nell’atmosfera tanta $CO_2$ in appena un anno quanta che la natura ha catturato attraverso processi lunghi milioni di anni, e il meccanismo naturale di sottrazione dei gas serra non riesce a tenervi testa. Questo è il Riscaldamento Globale.
L’articolo originale e’ pubblicato su Il Poliedrico – http://ilpoliedrico.com/2013/12/la-caratterizzazione-delle-super-terre-il-ciclo-geologico-del-carbonio.html Umberto e Sabrina