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La casa dello scrittore

Creato il 10 dicembre 2010 da Fabry2010

Ho visto la casa di uno scrittore, in un pugno di fotografie. Non è una casa. È un rifugio per la mente, una culla del pensiero. Di casa ha poco: le pareti, le finestre, il pavimento… ma le pareti sono spoglie, le finestre prive di tende, il pavimento bianco e freddo. Non è una casa dove abita un corpo, ma un luogo dove vive una mente.
Complementi d’arredo: librerie immense e libri. Libri ovunque, la casa stessa è un’unica libreria. Libri sul pavimento, sul comodino, sulle scrivanie, in bagno. Librerie a parete o a scaffali stracolmi, testi difficili, meditazione, parole che evocano altre parole, vero nutrimento per anima e intelletto. Ma non per il corpo.

Continuo a guardare quei locali, così striminziti, e scopro la mancanza di una vita familiare. Non ce n’è lo spazio. C’è, invece, ordine asettico sugli scaffali e negli armadi. Pochi segni di vita abitata: qualche capo di vestiario appeso, o poggiato qua e là. Pantofole, calzini abbandonati per terra e nessuno che protesta, qualche kleenex usato e appallottolato. Soprammobili scelti, con una storia e un significato, qualche foto. Poca cosa. Niente giocattoli di bambino, niente borsette da donna, strofinacci da cucina, pentole sul fuoco. Nemmeno un gatto a riscaldare il letto. Un letto grande per una persona, forse piccolo per due, appoggiato con un fianco al muro, che tanto un’altra persona non ci deve entrare, lo dice chiaro un angolo di coperta, sollevato quanto basta a un solo corpo, entrato per caso, per poco, a riposarsi.

Ho l’impressione di una forte solitudine, e di un grande lavorio. La solitudine è fisica. Il lavorio è del pensiero. In questa casa non ci sono distrazioni, a parte i libri. Non c’è un televisore che funzioni. Non ci sono bambini frignanti né una compagna chiacchierona che pretende di parlare e di raccontare la giornata. Non c’è un cane da portare a passeggio per le funzioni fisiologiche. Non c’è proprio lo spazio, per tutto questo. Ogni angolo, ogni centimetro libero ospita un libro, o una catasta di libri. Un segno di vita lo dà il computer acceso, contatto con il mondo, ma anche strumento di lavoro, mezzo pratico per fissare quella vitalità che è tutta nella testa, che produce pensiero, che si traduce in parola, che finisce su un libro. Un altro libro.

Percorro virtualmente questa minuscola tana, leggo la descrizione che ne fa il padrone di casa nelle didascalie che accompagnano ogni foto e avverto tutta la solitudine dell’uomo scrittore.
Un bisogno insopprimibile di colmare tanto vuoto lo ha spinto, probabilmente, a invitare tutti a entrare da lui. Una pizza e una birra virtuali, e, pur lontani, si sta subito in compagnia. Ma forse non è sufficiente, non so. Questo è un rifugio che non richiede compagnia fisica, ma sotto sotto la vorrebbe, specialmente nei momenti più difficili, quelli percorsi dal desiderio, per esempio, di udire una voce chiedere cosa si vuole mangiare per cena.

Per cena… i pasti consumati da soli non sono pasti, manca il rito, il profumo, l’intingolo… Da soli si mangia qualcosa che sia pronto da scartare e magari nemmeno da scaldare. Una tristezza. Un pasto insieme, anche se solo in due, è un’altra cosa.
Mi verrebbe da mettere una pentolina su quel fornello, con un po’ di sugo di pomodoro e il basilico, con il vapore e il profumo che riscaldano anche i libri più vecchi, quelle parole morte che non sono morte, ma dormienti, e che nutrono lo spirito, che fanno crescere l’anima, ma non sostengono il corpo. Io, abilissima consumatrice di surgelati, potrei fare miracoli con una busta di minestrone: farlo cuocere a fuoco lento, con l’aggiunta dei legumi, della pancetta e perfino di una crosta di grana. In qualche ora il profumo impregnerebbe così tanto le pareti da saziare materialmente pure lo spirito per diversi giorni. Non so, ma una pentola che borbotta sul fuoco mi regala un’idea di vita, quello che manca in questa casa.
Poi credo che potrei perfino rispolverare la vecchia arte del ricamo a punto croce, ci sono tende da inventare, pareti da vivacizzare. Un qualcosa di semplice che potrebbe riempire un ambiente di calore e colore senza essere soffocante.

Penso a casa mia, alle volte che protesto perchè niente è mai al suo posto, dalle montagne di scarpe invadenti al vestiario ammonticchiato in cumuli informi.
Penso al mio gatto che ha fatto una questione di principio dello svuotare gli armadi, scavare nei vasi delle piante (le piante!! Dove sono le piante nella casa dello scrittore??), farmi trovare topi finti e palline di gomma ovunque, anche nelle ciabatte o dentro al letto.
Penso al tempo che non ho mai per scrivere, ai libri che non porterò mai a termine, perchè reclamata dall’aspirapolvere, dalla spesa, dal lavoro.
Però… penso anche che il mio letto è sempre in subbuglio, caldo e mai solitario, le tende ci sono, anche se hanno i fili tirati dalle unghie del cucciolo… E talvolta una baruffa riecheggia per le scale, dal bagno alla cucina, dalla cucina alla cantina.
Penso a quanta differenza fra la mia casa e quella dello scrittore. Forse potrei dare a lui un po’ della confusione vitale che qui sembra aleggiare anche quando non c’è nessuno, in cambio di un angolo e un tempo di silenzio creativo. Mi sembrerebbe equo.

Mi chiedo se per dare spazio all’intelligenza e vivere della propria arte, uno scrittore sia costretto a restare immerso nella solitudine e nella malinconia. È questo lo scotto da pagare per essere inventori di storie, giocolieri di parole? Il dolore, si sa, è creativo, se poi mancano anche le distrazioni, verrebbe da dire che quella è una situazione ideale.
Ma no, io non lo credo.
Gli scrittori sono uomini e donne dotati non solo di estrema sensibilità, ma anche di fisicità, e sono esseri umani che, almeno di tanto in tanto, aspirano a contatti altrettanto umani. Magari solo per un po’, per soddisfare quei bisogni che la parte tangibile di ognuno richiede, o per colmare il vuoto creato dal desiderio irrealizzato di un odore di soffritto, una pelle da accarezzare, un disordine da riordinare. Salvo poi lasciare di nuovo il campo libero alle esigenze ascetiche e irrequiete di una mente eccelsa.

Ah, che cosa difficile l’equilibrio in questo mondo che ruota tanto velocemente da non lasciare il tempo di decidere!

Guardo la casa dello scrittore e vedo la dignità dell’essenziale a braccetto con l’immenso cercare di convivere.
Poi magari mi sbaglio. Forse il sapere non può essere inscatolato in quattro mura, perciò che queste siano grandi o piccole, vivaci o spoglie, deserte o affollate è indifferente.
Tuttavia, a quelle parole depositate in un numero sterminato di pagine, alla musica di Mozart che, ho letto, vi aleggia ma che non sento, vorrei davvero, di cuore, aggiungere una pentola fumante, o un quadro, o un micio, o un pesce rosso o una pianta verde o…..



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