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E intanto la polizia continua a stare sulle loro tracce.
La casa nel vento dei morti ( eccessivamente ridondante a partire dal titolo troppo lungo e non particolarmente pregnante) di ambizioni ne ha tante: diretto da Francesco Campanini al suo secondo lungometraggio ,coadiuvato in alcune sequenze dall'unico professionista affermato del cast, Francesco Barilli impegnato nella parte del ruvido Ugo e cosceneggiato da un altro dei protagonisti, Luca Magri, una carriera spesa tra corti, poco cinema e tanta televisione, si presenta come un giallo agreste con una fotografia parecchio patinata e che nelle intenzioni vorrebbe rimandare a quel capolavoro di Ossessione di Visconti, non avvicinandosi minimamente, oppure a quelle atmosfere rurali che hanno fatto la fortuna di certo cinema di Avati, quello meno leccato e sentimentale.
Questo nella prima metà del film: perchè poi quando i tre arrivano nella casa del titolo il tono e il genere cambiano drasticamente: La casa nel vento dei morti si trasforma in una sorta di torture porn in cui le vittime sono i rapinatori. E le donne si rivelano un manipolo di assatanate che fanno assaggiare loro tutte le ultime frontiere del dolore fisico.
Che poi questa svolta sorprende e normalmente una cosa del genere qui a bottega è molto gradita ma qui arriva un po' troppo tardi e nonostante un bel pacchetto di sequenze ad alto tasso ematico alla fine non è che le sinapsi , soprattutto quelle che gradiscono sangue e frattaglie varie, vengano smosse più di tanto.
E poi quell'eccessiva ricercatezza nella cura dell'immagine, quella fotografia così patinata, stonano apertamente col genere proposto , creando un qualcosa di abbastanza originale ma che allo stesso tempo mostra dei deficit piuttosto vistosi a partire dalla sceneggiatura che definire sgangherata è un eufemismo, dall'effettistica, molto artigianale ( ma ci sono alcune soluzioni intriganti nel mostrare ai tre le ultime frontiere del dolore fisico) per arrivare a un livello generale di recitazione piuttosto bassino.
Tutto questo ( effetti speciali rustici e recitazione non proprio all'altezza) sarebbe una bella cosa da vedere e apprezzare in un B movie, ma in un qualcosa che usa uno stile ai limiti dello sterile calligrafismo accademico, diventa un limite piuttosto evidente.
La casa nel vento dei morti è un film che comincia un po' alla maniera del realismo italiano anni '40 e finisce come una riedizione tortellinesca del massacro texano a colpi di motosega reso famoso da Hooper e relativi epigoni.
Troppa carne al fuoco, troppa puzza di bruciato, troppo fumo, ma di arrosto ce n'è pochino.
E lo dico con costernazione perchè sono un fermo sostenitore del cinema italiano al di fuori di certi schemi commerciali fin troppo collaudati che hanno appiattito definitivamente lo spirito creativo di molti autori di talento che non trovano il modo di mostrare quello che sanno fare.
Ma stavolta più che vento è un'alitata rancida.
( VOTO : 4,5 / 10 )
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