di Alberico Iusso
La BBC ha commissionato nel 2013 un interessante sondaggio sulla percezione dell’influenza internazionale di alcuni Paesi. Tra i dati raccolti tra 25 Stati, quelli sulla Russia sono particolarmente interessanti: tra i Paesi europei coinvolti nell’indagine, solamente la Grecia aveva una percezione complessivamente positiva del governo di Mosca; i due Paesi che avevano una visione maggiormente negativa erano la Germania e la Polonia [1]. Proprio quest’ultima nutre da sempre grande diffidenza nei confronti della Russia. Entrambi parte del mondo slavo, pur con le peculiarità che li contraddistinguono, questi due Paesi vivono storicamente una relazione conflittuale, che affonda le sue radici in secoli di scontri e occupazioni per il controllo delle terre di confine e per l’estensione dell’influenza nell’area centro-orientale europea.
Nel Settecento l’Impero zarista aveva contribuito attivamente alle spartizioni della Polonia, provocandone peraltro la cancellazione dalle mappe geografiche per 123 anni (1795-1918); in epoca contemporanea la guerra polacco-sovietica del 1919-1921, il patto Ribbentrop-Molotov del 1938 che ne sancì la spartizione e la successiva invasione (1939), nonché l’influenza esercitata sulla Repubblica Popolare di Polonia nei decenni successivi attraverso regimi e governi collaborazionisti filo-comunisti (1952-1989) hanno segnato profondamente l’opinione pubblica polacca. Dalla caduta del Muro di Berlino e dallo svolgimento delle prime libere elezioni (1989), i rapporti russo-polacchi sono rimasti sostanzialmente tesi, né la timida apertura registratasi tra il 2009 e il 2010 – seguita alla crisi georgiana del 2008 e alla condanna da parte di Lech Kaczyński – è bastata ad attenuare il forte sentimento anti-russo che si è sedimentato per secoli e che in gran parte spiega gli esiti del sondaggio sopra citato.
La diffidenza verso Mosca si è rafforzata nel contesto della crisi ucraina e si è manifestata nella netta posizione tenuta da Varsavia contro il Cremlino. Sebbene vi siano forti interessi economici in ballo da parte della Polonia, il governo di Donald Tusk, e ora di Ewa Kopacz, ha sempre manifestato un deciso sostegno all’Ucraina, muovendosi nelle sedi europee e internazionali in modo fermo, anche a costo di restare fortemente esposta alle ritorsioni economiche di Mosca.
Indipendenza politica e dipendenza economica: due facce dalla stessa medaglia – Per la Polonia, i rapporti con Mosca si fondano, più che in altri Paesi, su un forte dualismo tra una riaffermata indipendenza politica e una naturale interdipendenza economica.
Dal punto di vista politico, negli anni Novanta la classe dirigente polacca ha fortemente voluto agganciare il Paese all’Occidente uscendo progressivamente dalla sfera di influenza russa. Questo processo è culminato nel 1999 con l’adesione alla NATO e nel 2004 con l’ingresso nell’Unione Europea. Alcune scelte strategiche di Varsavia, poi, come l’appoggio al progetto di scudo missilistico degli Stati Uniti o il sostegno alla Rivoluzione Arancione in Ucraina nel 2004, hanno raffreddato ulteriormente i rapporti con la Russia.
Dal lato economico, Varsavia e Mosca sono invece strettamente legate. La Russia è il quinto partner commerciale della Polonia, con una quota superiore al 5% dell’export totale polacco, pari a più di 9 miliardi di dollari annui. Una voce importante è rappresentata dai prodotti agricoli: il 27% delle mele importate in Russia sono polacche; la sola frutta è un business da 340 milioni di euro all’anno per Varsavia, mentre per il comparto delle verdure la cifra supera i 170 milioni; senza considerare che la Polonia rappresenta uno dei principali fornitori di carne e latticini [2].
Varsavia importa, invece, principalmente gas per quasi l’80% del proprio fabbisogno energetico. La dipendenza dal petrolio russo è altrettanto evidente considerando che esso rappresenta il 93,15% del totale: il resto proviene dalla Norvegia e dal Kazakhstan [3].
L’appoggio al Governo di Kiev nella crisi ucraina – La posizione adottata dal governo di Varsavia nei confronti della crisi ucraina è stata nettamente a favore di Kiev contro gli indipendentisti filo-russi.
Nonostante le rassicurazioni degli Stati Uniti circa un impegno di Washington e dell’Alleanza Atlantica a garantire la sicurezza della Polonia e dell’Europa centro-orientale, i Polacchi continuano a guardare all’aggressiva politica estera di Putin con forte preoccupazione e alla crisi ucraina solamente come il primo passo verso una possibile destabilizzazione dell’area che potrebbe estendersi in un secondo momento ai Paesi baltici e alla Moldavia, cioè lì dove è presente una forte componente russofona.
L’Ucraina ha sempre avuto un ruolo di partner privilegiato per la Polonia e quest’ultima ha spinto l’UE a favorire accordi di partenariato con Kiev. L’indebolimento dell’Ucraina significherebbe una ridefinizione dei rapporti geopolitici dell’area centro-orientale che potrebbe mettere in pericolo la stabilità e la sicurezza della Polonia stessa [4].
Il governo polacco si è mosso sia in seno all’UE, con un pressing diplomatico nei confronti dei partner più restii ad adottare sanzioni più severe verso il Cremlino, sia all’interno della NATO, invocando l’articolo 4 del suo Statuto, per il quale «Le Parti si consulteranno quando, secondo il giudizio di una di esse, ritengano che l’integrità territoriale, l’indipendenza politica o la sicurezza di una di esse siano minacciate».
In questo contesto si inseriscono pertanto alcune importanti iniziative nell’ambito dell’Alleanza Atlantica: a seguito dell’annuncio di Obama di un piano volto a sostenere militarmente ed economicamente (con circa un miliardo di dollari) i Paesi dell’est Europa contro una possibile aggressione russa – il cosiddetto European Reassurance Initiative (ERI) – [5], a margine della conferenza NATO di Newport degli scorsi 4-5 settembre è stato approvato il Readiness Action Plan (RAP), una forza di intervento interforze e multinazionale a dispiegamento molto rapido capace di attivarsi in due giorni. La stessa NATO, inoltre, ha stabilito la costituzione di centri di comando nelle Repubbliche Baltiche, in Polonia e in Romania con la presenza di 120 militari a capo di un battaglione multinazionale. Non di meno, lo scorso 19 settembre i Ministri della Difesa di Polonia, Ucraina e Lituania hanno firmato un accordo per la creazione di una brigata comune per sostenere gli sforzi di ammodernamento delle forze armate di Kiev. La brigata dovrebbe essere operativa entro l’anno prossimo.
In questo senso, gli alleati occidentali si sono mossi, almeno nelle intenzioni, nella direzione auspicata da Varsavia. In particolare l’ERI, se approvato dal Congresso USA, «rappresenterebbe il maggior sforzo realizzato dagli Stati Uniti in Europa negli ultimi decenni, soprattutto dopo che con l’amministrazione Obama l’attenzione USA sembrava essersi spostata più verso l’area del Pacifico» [6].
L’esposizione polacca alle sanzioni europee contro la Russia – L’attività diplomatica del governo polacco ha contribuito alla definizione delle sanzioni dell’Unione Europea nei confronti di Mosca adottate in più fasi tra marzo, luglio e settembre [7]. Esse hanno riguardato: limitazioni ai visti di ingresso e il congelamento di asset finanziari per oltre un centinaio di personalità accusate a vario titolo di aver contribuito dapprima alla secessione della Crimea e, in generale, alla destabilizzazione delle regioni orientali dell’Ucraina; il divieto di scambio di obbligazioni, di azioni e di altri strumenti finanziari emessi dalle banche controllate per più del 50% dallo Stato (Sberbank, Vnesheconombank, Rosselkhozbank, Vtb bank e Gazprombank) o da enti che operano nel settore della Difesa e dell’energia (tra questi i giganti del petrolio Rosneft, Gazprom Neft e Transneft, dell’aerospazio come Opk Oboronprom e della produzione di armi, come la Khalashnikov); il divieto di vendita, acquisto o trasferimento di prodotti cosiddetti “dual use”, cioè di beni ad uso militare e civile; il divieto di fornitura dei servizi necessari all’esplorazione petrolifera in alto mare e nell’Artico oltre che per i progetti di shale oil.
Mentre alcuni Paesi si sono dimostrati riluttanti a inasprire le sanzioni, come la Germania che è il primo esportatore europeo verso la Russia con circa 38 miliardi di euro all’anno e da cui importa gas e petrolio per il 30% del suo fabbisogno [8], altri, tra cui la Polonia, hanno spinto per un’intensificazione, anche a costo di pagarne un prezzo molto alto.
Il governo russo ha deciso di rispondere a queste sanzioni già ad agosto, bloccando le importazioni di alcuni generi alimentari dall’Unione Europea. In particolare le autorità di Mosca hanno deciso di interrompere le importazioni di prodotti agricoli dalla Polonia con specifico riferimento alla frutta e alla verdura che, come detto, rappresentano una fetta rilevante dell’export polacco verso il vicino.
La ritorsione russa alle sanzioni europee ha colpito profondamente l’economia polacca. E’ stato stimato che Varsavia subirà perdite per oltre un miliardo di dollari all’anno, rappresentando la perdita più consistente nell’UE, assieme alla Norvegia [9]. I polacchi hanno risposto con un movimento nato sui Social Network “Eat apples to annoy Putin”, in cui si invita a comprare e a mangiare mele polacche come forma di protesta contro la politica del Cremlino.
Gli effetti di queste sanzioni, in realtà, sembrano difficili da prevedere. Per esempio, in Polonia potrebbero avere un effetto positivo sul lungo periodo: la forte dipendenza dal mercato russo, mettendo in pericolo l’export agricolo, potrebbe spingere i produttori a una modernizzazione della produzione stessa, migliorando la qualità e rendendo i prodotti più appetibili anche per i mercati occidentali ed extraeuropei.
In Russia, invece, sembra che le sanzioni abbiano reso la popolazione più solidale con il loro Presidente, sortendo perciò il risultato esattamente opposto. Ad ogni modo, il prezzo di alcune merci in Russia pare sia aumentato anche del 40%, un incremento non sostenibile dai Russi: per questo motivo alcuni osservatori ritengono che questo embargo possa essere interrotto nel breve periodo.
Conclusioni – La crisi ucraina ha messo in luce ancora una volta la perenne conflittualità tra la Polonia e la Russia e, sebbene la tregua in Ucraina stia reggendo, il contrasto duro tra i due Paesi non sembra destinato ad allentarsi.
Recentemente la Polonia, assieme alla Slovacchia e in misura minore alla Germania, ha lamentato una riduzione consistente dei flussi di gas dalla Russia. Sulla vicenda le opinioni sono varie e discordanti: mentre dal Cremlino si negano riduzioni nelle esportazioni a questi Paesi, Varsavia parla di una ritorsione nei suoi confronti a causa di una presunta trasgressione della clausola di divieto di reverse flow, che consentito di fatto l’aggiramento dei blocchi del flusso di gas da Mosca verso Kiev.
L’approccio polacco alla crisi ucraina, e il generale raffreddamento dei rapporti tra Unione Europea e Russia, hanno avuto, inoltre, importanti ricadute sulla nuova definizione dei vertici della stessa UE: la nomina del Ministro degli Esteri italiano Federica Mogherini quale nuovo Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza Comune – la cui scelta era stata inizialmente fortemente criticata dai Paesi dell’Europa centro-orientale – è stata d’altra parte bilanciata dalla designazione di Tusk a Presidente del Consiglio europeo, premiando di fatto il ruolo svolto dalla Polonia in merito alla crisi in corso, così come la centralità del suo Paese all’interno delle dinamiche – politiche ed economiche – europee nell’ultimo decennio.
Infine, la crisi ucraina ha evidenziato una frattura all’interno del Gruppo di Visegrád, costituito dalla stessa Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria. Particolarmente criticata è stata infatti la posizione ungherese, ritenuta fin troppo filo-russa a causa sia dell’atteggiamento tenuto dal Premier Viktor Orbán sia degli importanti accordi commerciali siglati nel corso degli ultimi anni: per esempio, Orbán si è affidato alla Russa Rosatom – l’ente statale deputato alla gestione dell’energia atomica – per modernizzare la centrale atomica di Paksi Atomeromu, a Sud di Budapest. Tutto questo lascia presagire un futuro incerto per il Gruppo stesso e – secondo alcuni – un suo possibile scioglimento.
La crisi ucraina sembra dunque aver avviato una ridefinizione dei rapporti politici nell’area dell’Europa centro-orientale, all’interno della quale la Polonia ambisce a giocare un ruolo centrale, conferitole da un rafforzato peso economico e politico.
* Alberico Iusso è Dottore in Studi Europei (Università di Torino)
[1] BBC Word Service, Country Rating Poll, Globescan, 2013
[2] N. Cassidy, Russia sanctions: Poland’s apple growers feel the squeeze, BBC, 2014
[3] Fonte: Observatory of Economic complexity, 2012
[4] S. Jaafari, Poland sends distress signals over the Ukraine-Russia standoff, PRI, 2014
[5] Office of the Press Secretary, FACT SHEET: U.S. Support and Reassurance Initiatives for the Baltics and Central Europe, The White House, 2014
[6] ISPI online, Il dossier Ucraina arriva sul tavolo del G7, 2014
[7] Le ultime sanzioni adottate sono state pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale dell’Ue del 12 Settembre 2014. Si possono consultare al seguente link.
[8] BBC, How far do EU-US sanctions on Russia go, 2014
[9] N. McCarthy, The Countries Hardest Hit By Russia’s Trade Ban, Statista, 2014
Photo credits: MOS/HSN
Potrebbero interessarti anche:
Polonia, la nuova frontiera economica dell’Europa
Crisi in Ucraina: quale ruolo per l’Italia?
Il futuro del Partenariato Orientale ed il ruolo della Polonia