Il titolo è "Noi e la CGIL" (Ediesse). E' una specie di memoriale, ma è anche uno strumento per le lotte di oggi. E' un viaggio nel passato con le voci di donne e uomini, dirigenti del principale sindacato italiano che non rinunciano a essere presenti con le loro riflessioni spesso di grande attualità. E non si soffermano sull’Io e la Cgil , ma proprio su quel Noi, ostentato.
Sono due ponderosi volumi (curati da Sandra Burchi e Fedele Ruggeri) che accompagnano ben dieci Dvd (con la collaborazione dell’Archivio audiovisivo del movimento operaio).
Un pezzo grande della Cgil racchiuso in un cofanetto, voluto dallo Spi (il sindacato dei pensionati). Tra gli intervistati: Arvedo Forni, Nella Marcellino, Aldo Giunti, Gianfranco Rastrelli, Antonio Pizzinato, Vittorio Foa, Piero Boni, Bruno Trentin. Il tutto accompagnato da note e introduzioni di Carla Cantone e Alba Orti.
Così si danno appuntamento in casa Cgil per un’anticipazione dell’opera anche volti noti di questa storia secolare. C’è Arvedo Forni, già segretario confederale, ci sono Antonio Lettieri e Giuseppe Casadio. E c’è Lina Fibbi, partigiana e poi instancabile segretaria dei tessili. Ed è proprio la Fibbi che viene chiamata in causa da una delle curatrici Sandra Burchi: “Ero andata per intervistarla ma era lei che voleva intervistare me…”. Un aneddoto che suggerisce a Sandro Portelli (chiamato a ragionare sull’iniziativa editoriale) di prendere in parola l’idea di mandare gli anziani sindacalisti a intervistare i giovani d’oggi. Un modo per costruire un ponte, oggi pressochè inesistente anche se fioriscono iniziative particolari nelle scuole.
Così l’organizzazione dei pensionati, come spiega bene Carla Cantone, potrebbe dispiegare ancor più la propria idea di “invecchiamento attivo”, nel vivo di una crisi “che non è una crisi come tante altre”. Non è solo economica, sociale, ma anche morale, civile, culturale. Non a caso la sua prefazione nel libro porta come titolo: “Il terremoto e l'energia della memoria”. E s’intende, per terremoto, non solo quello tellurico che sta scuotendo l’Emilia, ma quello che coinvolge l’intero assetto sociale. Mentre dalla memoria può scaturire una nuova energia.
E’ quella a cui si riferisce nelle conclusioni Susanna Camusso, rifacendosi anche alle parole pronunciate da Antonio Pizzinato che aveva rievocato gli anni 60, la lotta degli elettromeccanici a Milano e l’inizio di una svolta con il lancio di una linea contrattuale innovativa. E’ il punto da cui ripartire, rifuggendo dalla tentazione di affidarsi alla rappresentanza politica, pur senza cadere nell'autosufficienza. Camusso ricorda altresì come, nelle testimonianze dei dirigenti del passato, non emerga mai un atteggiamento di “rassegnazione” rispetto alle divisioni sindacali. Un’osservazione preziosa. Certo oggi il sindacato, nota ancora, deve saper superare i ritardi, fare i conti con i cambiamenti, costruire una rinnovata unità sui contenuti della contrattazione, sulla figura sociale cui fare riferimento nel ginepraio del lavoro.
Il “cofanetto” della memoria Cgil” contiene anche questa lezione. Non è stato possibile inserire nel volume, spiega Alba Orti, un colloquio registrato con Luciano Lama. Quel nome così importante per il sindacato compare però a più riprese nelle varie interviste. Come, ad esempio, nelle parole di Gianfranco Rastrelli, già segretario confederale, che lo ricorda come un uomo “molto concreto, capace anche di andare contro corrente…perché questo deve fare anche un dirigente, non può fare sempre il notaio o quello che registra le posizioni e poi le fa proprie”. E anche questo sta nella cultura della Cgil, nello sforzo di ieri e di oggi, di assumersi le proprie responsabilità, rifuggendo da populismi ma anche dai cedimenti a chi vorrebbe strumentalizzare per i propri fini la memoria del passato. Ha lasciato detto ad esempio Piero Boni (assai vicino a Lama): “Dare dei conservatori ai dirigenti sindacali perché difendono l’articolo 18 è direi l’espressione più ampia di una malafede, di un’ipocrisia, proprio di un limite culturale…”.
DI VITTORIO, PASTORE E IL PATRIMONIO CGIL
(dall’intervista a Vittorio Foa, dal secondo volume di “Noi e la Cgil” curato da Sandra Burchi e Fedele Ruggeri)
Lo sviluppo produceva differenze, bisognava trovare il modo di riequilibrare le differenze che venivano create, ecco questo fu, a mio ricordo, il grosso impegno che molto spesso prese un nome un po’ diverso, si chiamò «unità sindacale». L’unità sindacale però non era solo l’unità della CGIL, della CISL e della UIL, cioè delle tre organizzazioni che in qualche modo avevano avuto un’origine politica nella loro differenza, la CGIL comunista e socialista, la CISL cattolica, la UIL socialdemocratica e repubblicana, non era solo il mettere d’accordo tre componenti politiche diverse, vi era qualcosa di più. L’unità sindacale era anche un’elaborazione comune, non era solo trovare dei dati medi, non so, la CISL vuole cento, la CGIL vuole duecento, troviamo un punto medio, centocinquanta, non è questo, l’unità sindacale era un lavoro comune per vedere di andare avanti tutti insieme. Io ricordo l’unità sindacale come una specie di dettato nella CGIL, quando durante lo sciopero generale spontaneo, per l’attentato Togliatti del 19489 (Togliatti quando era capo del partito comunista fu colpito in modo grave e ci fu una forte resistenza operaia), in quell’occasione i cattolici ed i socialdemocratici ruppero l’unità sindacale che da tempo era già vacillante e si fondarono quindi le tre confederazioni con vario nome, e ricordo che in quella circostanza Di Vittorio subito disse, nel momento in cui la CGIL si rompeva, egli disse: «Io lavoro per l’unità, voglio lavorare per l’unità», e questo divenne una specie di dettato, una cosa che regolò la nostra vita per molti anni, anche nei momenti di maggiore divisione, anche nei momenti di grande polemica, però vi era un’idea dell’unità….
… Quando ci fu la rottura della CGIL, Pastore, che era il capo della CISL, degli scissionisti, chiese che il patrimonio della CGIL, che era una poca cosa, era una cosa miserabile, che questo patrimonio della CGIL venisse diviso in tre e che ognuno si prendesse un pezzo di questo patrimonio. Di Vittorio che era il capo della CGIL, osservò che la scissione la facevano loro, il patrimonio era nostro e doveva toccare a noi, così chiamò l’avvocato Calamandrei, che era
un illustre giurista, a difendere gli interessi della CGIL… Calamandrei diceva: "Ha ragione la CGIL, deve tenersi i soldi», mentre Candeluzzi (per la Cisl) diceva: «No, bisogna dividere i soldi»… A questo punto Di Vittorio chiese di dire la sua e il presidente del tribunale lo fece parlare, e Di Vittorio disse: «Ha ragione Calamandrei, questi soldi sarebbero nostri, ma io sono d’avviso di dar ragione a Pastore, dividiamo tutto, perché io devo guardare lontano, non alle divisioni di oggi, ma devo guardare l’unità di domani"…
…Ecco quindi che l’unità sindacale per me ha avuto quest’importanza e ce l’ha ancora oggi, e quando la vedo compromessa ne soffro molto, non perché abbia delle nostalgie di carattere politico all’unità fra CGIL e CISL, UIL, non è questo; è perché l’unità vuol dire altra cosa, vuol dire capacità del settore forte dell’economia, nevvero,
di includere i settori più deboli, di unificare i processi di difesa, di tutela, di unificarli o per lo meno di renderli più omogenei, e di permettere a chi è forte di estendere la sua forza anche a chi è debole.