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La Cina di Xi Jinping: la Lunga Marcia per le riforme

Creato il 10 febbraio 2014 da Bloglobal @bloglobal_opi

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di Guido Travaglianti

Il Terzo Plenum del diciottesimo Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese, svoltosi a Pechino dal 9 al 12 novembre, ha segnato il primo anniversario della nuova leadership del Partito-Stato cinese affidata nelle solide mani di Xi Jinping.  Dalla sua nomina a Segretario Generale e Capo della Commissione militare centrale del PCC, avvenuta il 15 novembre del 2012, sino alla sua elezione a Presidente della Repubblica Popolare Cinese, il “principe rosso” Xi Jinping ha lavorato strenuamente al consolidamento del suo potere di comando entro la complessa struttura politico-burocratica del Partito-Stato. Attraverso la sua lotta alla corruzione senza quartiere al fine di restaurare l’offuscata reputazione del Partito Comunista Cinese (si ricordi fra tutti il caso Bo Xilai, ex governatore della megalopoli di Chongqing e membro influente del Politburo, condannato all’ergastolo per corruzione, peculato e abuso di potere), e la sua abile retorica nazionalista incentrata sul rilancio del “sogno cinese” e della “grande rinascita della nazione cinese” a indicare la volontà di una maggiore assertività sul piano internazionale, Xi Jinping sembra affermarsi come il più potente leader comunista cinese dai tempi di Deng Xiaoping.

Il Terzo Plenum del PCC ha da sempre suscitato grandi aspettative di riforma, in quanto il comunicato finale che ne scaturisce delinea l’agenda di governo dei dieci anni a venire. A tal proposito, si ricordi il memorabile Terzo Plenum del dicembre 1978 attraverso il quale Deng Xiaoping aprì la Cina del dopo Mao alla economia globale attraverso un piano di riforme orientate alla creazione di un’economia di mercato in base alla dottrina del “socialismo con caratteri cinesi”. Il programma di riforme economiche (gaige kaifang) prevedeva un piano di riorganizzazione interna: le Quattro modernizzazioni (dell’agricoltura, dell’industria, della scienza e della tecnologia e del settore militare), che sviluppavano un progetto originariamente risalente a Zhou Enlai, includendo inizialmente anche una certa liberalizzazione politica.  Il 1978 rappresentò in un certo senso l’anno di nascita della Cina contemporanea, poiché l’agenda politica interna e internazionale imposta da Deng Xiaoping proiettò il paese nel club ristretto delle potenze economiche mondiali.

Il Terzo Plenum del 1993, avvenuto sotto la presidenza di Jiang Zemin, succeduto a Deng dopo la strage di Piazza Tien An Men del giugno 1989, il nuovo Segretario Generale del PCC proseguì le riforme economiche lanciate dal suo predecessore inaugurando la stagione dell’“economia socialista di mercato” intesa a compensare i forti squilibri sociali scaturiti da uno sviluppo economico vertiginoso (dagli anni Ottanta il PIL cinese ha registrato un tasso di crescita medio del 10% annuo). La presidenza Jiang Zemin servì a lanciare la Cina verso una maggiore apertura al commercio internazionale, apertura economica coronata dall’adesione cinese all’Organizzazione Mondiale del Commercio nel dicembre del 2001.

La Cina dell’ultimo decennio (2002-2012), guidata dai tecnocrati Hu Jintao e Wen Jiabao, è stata incentrata a garantire la stabilità interna e la crescita economica del Paese attraverso una sorprendente attrazione d’investimenti diretti esteri, un’economia basata sulle esportazioni di manufatti a basso valore aggiunto, e una forte immissione di liquidità nel sistema al fine di sostenere gli investimenti pubblici in infrastrutture, ma finendo con il generare un imponente debito pubblico delle amministrazioni locali nei confronti delle banche centrali. Tali politiche economiche espansive hanno esposto il governo centrale dinanzi al serio rischio di bolle immobiliari, causando un generale aumento dei prezzi e un crollo del settore real estate.

La crisi economico-finanziaria scoppiata nel 2008 ha approfondito le diseguaglianze sociali e frenato la crescita del PIL, sceso intorno al 7,5% annuo. Le principali cause del rallentamento economico cinese sono dovute alla riduzione della domanda mondiale, che ha penalizzato l’export made in China, e lo sgonfiamento degli investimenti in infrastrutture, settore trainante della crescita economica interna. Nonostante la crisi economica globale, la Cina resta saldamente la seconda economia del pianeta dopo gli USA, essendo un esportatore netto di beni verso i Paesi sviluppati. La “Terra di Mezzo” è il primo partner commerciale di Stati Uniti e Unione Europea in termini di esportazioni. Soltanto 1/5 degli investimenti esteri cinesi sono diretti in Asia: circa la metà di questi sono diretti in Africa, America Latina e Medio Oriente. Nondimeno, Pechino è il primo detentore di titoli di Stato statunitensi, il cui ammontare supera oggi i 1200 miliardi di dollari. Tuttavia, diversi partner commerciali della Cina, in primis USA e UE, lamentano uno scarso rispetto del governo cinese delle regole internazionali di proprietà intellettuale e una politica monetaria diretta a mantenere artificialmente basso il tasso di cambio della moneta cinese (il renminbi) in modo da favorire il settore export.

Le sfide di Xi Jinping nella Cina del XXI secolo

Il nuovo Segretario-Presidente della Repubblica Popolare Cinese dovrà impostare la sua azione politica in una Cina molto diversa da quella del secolo precedente. Xi Jinping pare consapevole che i dieci anni che lo attendono non potranno essere uguali al “decennio d’oro” appena trascorso. La Cina di oggi richiede profonde e coraggiose riforme in campo economico, sociale e politico, se si vuole trasformarla in un Paese moderno e competitivo in grado di esercitare la sua influenza nella globalizzata e multipolare arena internazionale odierna. A tal fine, il Presidente Xi e il Premier Li Keqiang dovranno mostrarsi capaci di riorientare il sistema produttivo cinese, passando da un modello economico fondato sulla crescita trainata dalle esportazioni, sugli investimenti diretti esteri e sul predominio delle imprese statali legate al partito, ad un modello economico misto pubblico-privato dove il mercato sia in grado di allocare in maniera efficiente prezzi e risorse, e dove la crescita economica venga stimolata dalla domanda interna dei consumatori.

La nuova leadership cinese dovrà mostrarsi capace non solo di profonde riforme economiche, ma in grado di saper rispondere alle sfide interne provenienti dalle persistenti diseguaglianze sociali, dal gravoso degrado ambientale e progressivo esaurimento delle riserve idriche ed energetiche, dallo squilibrio demografico tra aree urbane e aree rurali, nonché dalla mancanza di un effettivo sistema di welfare e da una riforma del sistema giudiziario in grado di garantire lo Stato di diritto e perseguire la corruzione che si annida tra le élite burocratiche centrali e periferiche.

Il comunicato finale del Terzo Plenum: la Lunga Marcia per le riforme

Il comunicato finale del Terzo Plenum del diciottesimo Comitato centrale del PCC è stato pubblicato lo scorso 15 novembre 2013 dall’Agenzia di Stato Xinhua. Il documento può essere inteso come il manifesto politico di Xi Jinping, fissandone l’agenda politica riformatrice da qui al 2020. Il Presidente ha innanzitutto espresso la sua aderenza al marxismo-leninismo, all’ideologia di Mao e alla necessità di proseguire sulla strada delle riforme tracciate da Deng Xiaoping e Jang Zemin allo scopo di costruire “una società prospera e un Paese socialista armonioso, moderno, forte e benestante e realizzare il sogno cinese della grande rinascita della Nazione”.

Sul fronte economico, il Terzo Plenum ha sottolineato la necessità che il mercato svolga un ruolo “decisivo” nella distribuzione delle risorse così accelerare la trasformazione del sistema economico che sia in grado di promuovere un modello di sviluppo più equo e sostenibile. Tale dichiarazione farebbe pensare a un allentamento dell’ingerenza statale nell’economia e ad una riduzione dei monopoli delle grandi imprese di Stato, rendendole più efficienti e trasparenti e inserendole nel gioco della concorrenza attraverso l’ingresso di capitali privati. In questo quadro, la Cina dovrà gradualmente ampliare il settore bancario consentendo al capitale privato qualificato la creazione di banche private di medio-piccole dimensioni capaci di erogare prestiti ai privati. Sul fronte monetario, la nuova leadership cinese dovrà gradualmente stabilizzare il renminbi in vista di una possibile deregolamentazione dei tassi d’interesse. Un regime monetario più flessibile consentirebbe alla Banca centrale cinese l’adozione di una politica monetaria più indipendente, in sintonia con l’andamento dei mercati finanziari internazionali. In tale direzione s’inscrive la recente creazione della zona di libero scambio di Shanghai. Tuttavia, Pechino teme che nuove liberalizzazioni dei tassi d’interesse e una piena convertibilità della moneta nazionale possano causare un flusso speculativo che porterebbe a una forte rivalutazione della valuta cinese a danno delle esportazioni. Sul fronte fiscale, il Terzo Plenum ha espresso la necessità di riformarne il sistema allo scopo di una maggiore equità fiscale tra governo centrale e amministrazioni periferiche. Tale riforma dovrà realizzarsi attraverso una più efficiente e trasparente gestione dei bilanci centrali e periferici.

Sul fronte sociale, il documento finale ha sottolineato che una struttura duale tra aree urbane e rurali è il principale ostacolo che limita lo sviluppo integrato e armonioso tra città e campagne. A tal fine si renderà necessaria una riforma agricola che consenta ai contadini di vendere le proprie terre o di accedere a forme di credito per continuarle a coltivare in modo più efficiente e produttivo. Chi invece vorrà vendere le proprie terre per trasferirsi in città sarà facilitato nell’acquisizione di un hukou urbano, il permesso di residenza che concede diritti civili e servizi pubblici soltanto dove si è registrati.  La rigida divisione città-campagna è stata all’origine del decollo economico cinese degli ultimi trent’anni, ma al prezzo di una disuguaglianza sociale insostenibile. La Cina di oggi ha piuttosto bisogno di un ceto medio soddisfatto che alimenti il mercato interno attraverso i suoi consumi, così da riequilibrare lo squilibrio della bilancia commerciale verso l’export. Sembra questa la nuova urbanizzazione sociale che ha in mente l’attuale Premier Li Keqiang.

Sul fronte ambientale, il Terzo Plenum ha espresso la necessità di costruire una “civiltà ecologica” migliorando i meccanismi di sfruttamento del territorio, di utilizzo e risparmio energetico e di tutela ambientale, così da forgiare un nuovo percorso uomo-natura per uno sviluppo sostenibile e armonioso del Paese.

Sul fronte del welfare, il comunicato finale ha evidenziato la necessità di riformare il sistema d’istruzione e quello sanitario, e dell’esigenza di un sistema di previdenza sociale giusto e sostenibile. La Cina si trova oggi a dover fronteggiare un invecchiamento della popolazione e una conseguente riduzione della forza-lavoro dovuta alla politica statale di controllo delle nascite (la legge del figlio unico) risalente al 1978. Il Terzo Plenum ha deciso per un allentamento del controllo delle nascite: d’ora in avanti, ogni coppia potrà avere due figli se almeno uno dei due genitori è figlio unico, nel tentativo di mantenere una crescita demografica bilanciata.

Sul fronte giustizia, il documento finale ha annunciato l’abolizione dei campi di “rieducazione attraverso il lavoro” (laojiao), un sistema in vigore dagli anni Cinquanta che consente di detenere senza giusto processo chi si è reso colpevole di reati minori, traducendosi in un sistema di lavori forzati totalmente discrezionale atto a colpire i dissidenti politici e le persone “scomode”. In parallelo, il Comitato centrale del PCC ha comunicato la separazione del sistema giudiziario centrale dalle amministrazioni locali e ciò al fine di garantire l’indipendenza del sistema giudiziario e un rafforzamento dei sistemi di prevenzione e punizione della corruzione. Sarà inoltre gradualmente ridotto il numero dei reati punibili con la pena di morte, in modo da migliorare il sistema di tutela giudiziaria dei diritti umani.

Sul fronte politico, il Plenum ha ribadito la centralità del Partito Comunista Cinese e del “socialismo con caratteristiche cinesi” e la necessità della concentrazione del potere nelle mani della dirigenza comunista al fine di meglio indirizzare il profondo piano di riforme in agenda. A tal fine, il Comitato centrale ha approvato la creazione di due nuove commissioni che centralizzano il potere nelle mani dello Stato-partito. La prima è la “Commissione per l’approfondimento complessivo delle riforme”, un gruppo di testa la cui funzione sarà quella di monitorare l’effettiva realizzazione del piano riformatore. Il comunicato finale non chiarisce da chi sarà composto, ma probabilmente riferirà direttamente al Presidente Xi Jinping. La seconda commissione è il “Consiglio di sicurezza nazionale” che sarà incaricata della sicurezza interna e internazionale della Repubblica Popolare Cinese. Anche questa, come la prima, dovrebbe riferire direttamente a Xi Jinping.

Appare dunque chiara la volontà di Xi Jinping di centralizzare il suo potere di comando al fine di agevolare l’implementazione del suo programma riformatore, programma che per avere successo dovrà dimostrarsi capace di spezzare il groviglio di relazioni politiche e interessi economici esistenti tra le élite burocratiche centrali e periferiche e i grandi monopoli di Stato.

Allo stato attuale, la direzione di marcia della nuova dirigenza cinese sembra opposta: centralismo in politica e relativo liberismo in economia. Adesso bisognerà attendere per capire se la Cina di Xi, appena entrata nell’anno del cavallo, riuscirà a conciliare il suo tradizionale centralismo politico con una maggiore apertura all’economia di mercato; o se il sogno cinese della grande rinascita nazionale è destinato fatalmente a tramutarsi in un incubo collettivo.

* Guido Travaglianti è Dottore in Scienze Internazionali (Università di Siena)

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