Una delle cose più belle che mi piace fare quando visito una città e andare a zonzo senza una meta fissa, giro tra le vie, le piazze, i vicoli, cercando di respirare l’atmosfera, quasi a voler cogliere l’anima che lì vive e che nel tempo si è trasformata; adoro entrare nei cortili, dentro ai portoni delle case antiche, quando li trovo aperti, spesso sono con il naso all’insù a guardare i cornicioni, i tetti e le grondaie, i particolari architettonici che spesso non appaiono a prima vista, insomma, mi piace vivere la città cercando di conoscerla dal di dentro, tralasciando in un primo momento le visite ai musei, è la vita della gente che mi attrae e cosa la “gente” ha saputo fare per cucirsela addosso quella città, anche se non sempre i risultati sono positivi.
E la vivo con l’occhio disincantato di chi cerca di coglierla per ciò che è senza false illusioni quindi, ma anche con incanto se mi trovo davanti ad una meraviglia architettonica o di vita vissuta, che nel tempo si è conservata in tutta la sua bellezza. Oggi giravo in un grosso centro commerciale che, manco a dirlo, pullulava di gente. Tanta, davvero tanta gente, confusione nei bistrot, lunghe code per accaparrarsi un tavolo per mangiare un panino, negozi pieni di gente che guardava, un modo, per tanti o forse la gran parte, per passare un pomeriggio al riparo dal freddo pungente di un inverno uguale a tanti altri.
Guardavo le famiglie, bambini piccoli e grandicelli che in mezzo a tutto quel frastuono si trovavano a loro agio, quasi fosse normale passare il tempo libero con in mano una pizza o un gelato, guardando con indifferenza cose che magari non si sarebbero mai comprate.
E all’improvviso mi è venuta in mente la città con le sue vie, le sue piazze, i suoi vicoli magari stretti e maleodoranti, pensavo alle porte sbattute, ai suoni di un televisore tenuto troppo alto, alle grida di un bambino che giocava a salterello con l’amico del cuore, pensavo a quelle case che grondavano di storia che nessuno avrebbe mai più guardato, distrattamente forse, a meno che ci fosse stata una gigantografia della pubblicità dell’ultimo desiderio, pensavo alle porte che si chiudono perché è arrivata l’ora per andare a dormire per poi ricominciare un altro giorno e per lo svago, un bel centro commerciale, code per arrivarci, code per parcheggiare, code per mangiare, code per guardare, una grande via e tante, tante luci sberluccicanti che stordiscono.
Sarà questa la nostra fine?
Evvabè, buona Epifania e buon inizio di gennaio, al resto ci si pensa dopo.