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La città invisibile

Da Ciro_pastore

LA CITTÀ INVISIBILE LA CITTÀ INVISIBILE Prima parte di un breve racconto - liberamente ispirato a “Le città invisibili” di Calvino - in cui si descrive una città immaginaria che, però, ne son sicuro, a molti parrà di aver già visitato…
Diarcopolis era una città in cui non esistevano edifici, né strade, né piazze, né giardini. All’ignaro viaggiatore che vi giungesse per mero errore – visto che Diarcopolis non era riportata sul alcuna carta geografica -  l’unica cosa visibile, che si offriva al suo sguardo meravigliato, era una sequenza interminabile di binari ferroviari.
Chilometri e chilometri di rotaie s’intersecavano fra loro, s’inerpicavano sui fianchi scoscesi di colline trasparenti, si quadruplicavano in presunte stazioni, di cui s’intuiva la presenza solo a causa della grande calca di persone che si adunavano presso treni, anch’essi invisibili.
Per lo sprovveduto viaggiatore, privo di una guida autoctona, tutto lo scenario che si mostrava ai suoi occhi aveva dell’assurdo: era come se la città che ospitava quella immensa ed articolata rete ferroviaria fosse stata sottoposta ad un particolarissimo bombardamento mediante una chirurgica bomba a neutroni che con abilità aveva distrutto ogni cosa, salvo la intricata rete fatta di binari, scambi, sottostazioni elettriche.
A tale inusitato bombardamento non erano sopravvissuti che poche migliaia di ferrovieri che ora, presi dal terrore per il pericolo scampato, erano solo il lontano ricordo di se stessi. Impolverati, con le divise sdrucite, i loro passi stanchi e stralunati facevano sembrare ancor più spettrali i luoghi in cui pochissime centinaia di viaggiatori senza volto si muovevano lentamente, lungo immaginarie banchine.
A capo di questa stranissima città vi erano un Re ed una Principessa. L’anziano e saggio Re, Polonio V, era riuscito, nonostante tutto, a tenere in vita quella città che aveva subito decenni di depredazioni da parte di orde di strani ominidi, chiamati Politicani, sempre affamati di oro e ricchezze.
Polonio, aveva ereditato il Regno che era già in condizioni davvero pietose. Le guerre nucleari avevano, alla fine, distrutto lo splendore dei bei tempi che furono, tanto che perfino i Politicani non mettevano più a ferro e fuoco Diarcopolis, troppo povera per essere vittima delle loro infinite brame.
L’anziano, ma sempre saggio, Polonio, condivideva il ruolo di diarca con la giovane Principessa Valentina, una esile e minuta donna dall’aspetto dolcissimo, a cui faceva da inatteso contraltare, quel suo sguardo indagatore che era il segno evidente di un carattere fermo ed intraprendente.
La Costituzione di Diarcopolis imponeva, infatti, che il potere fosse diviso equamente fra il Re Polonio e la Principessa Valentina. Era tale il valore unificante di quella scelta costituzionale che la città aveva preso il proprio nome dalla sua stessa forma di governo, diarchia appunto.
Come in ogni diarchia, anche nell’omonima città, due persone - entrambe di sangue reale -esercitavano lo stesso potere con pari dignità ed autorità.
Certo, Re Polonio aveva dalla sua la inevitabile maggiore esperienza e, soprattutto, il favore del Gran Consiglio del Regno che, in fondo, era l’organo a cui, in ultima istanza, i due diarchi dovevano pur sempre rivolgersi nei non pochi casi di assenza di consenso reciproco sulle leggi da varare e sulle azioni di governo da realizzare.
Tra i due potentissimi diarchi, però, come è normale che sia, non correva buon sangue. Certo, apparentemente, i loro rapporti istituzionali erano improntati a stima e rispetto reciproco; ma questa solo apparente serenità non impediva a ciascuno dei due di lavorare indipendentemente e, soprattutto, segretamente per far prevalere la propria linea nell’amministrazione di Diarcopolis.  
La Principessa Valentina, da parte sua, sapeva tessere le intricate ragnatele politiche con la Camera Bassa formata da commercianti, industriali, professionisti e, soprattutto, dominata dai potenti membri delle Corporazioni. Questi ultimi, soprannominati Sindacans, lentamente stavano prendendo possesso di una città sempre più impoverita ma, pur sempre, vitale nodo di controllo geopolitico nello scacchiere della Confederazione di Felixia, di cui Diarcopolis era stimato ed ascoltato membro.
Anche a Diarcopolis, quindi, come da sempre nella storia umana, la diarchia, da utile strumento di contemperamento dei poteri, si era inevitabilmente trasformata in uno strisciante processo di usura reciproca fra i due diarchi i quali, nell’affannosa ricerca di rimpinguare le fila dei funzionari di Stato a ciascuno di loro fedeli, dovevano spesso accondiscendere a patti penosi e costosi per le già esaurite casse del Regno di Diarcopolis.
La lotta intestina, seppure non palese agli affamati abitanti di Diarcopolis, stava così minando alle fondamenta la già traballante impalcatura che sorreggeva quella che un tempo fu una splendida e vitale città.
Ora, purtroppo, tutto stava andando rapidamente verso una ingloriosa fine. Anche se all’apparenza, infatti, la rete di binari sembrava perfettamente funzionante, non era raro scoprire che tutto si reggeva grazie ad un filo invisibile che, però, giorno dopo giorno, andava paurosamente assottigliandosi. (continua…)
Ciro Pastore Il Signore degli Agnelli

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