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LA CITTÀ INVISIBILE (9) La Papessa in Nero
La grande galleria degli orrori di Palazzo Versoil si popolava di innumerevoli personaggi, tutti interessanti casi umani dal variegato profilo psicologico. Fra gli altri spiccava la temibile figura della Papessa in Nero. Una donna non più giovane che, pur non appartenendo né all’aristocrazia, né tantomeno alla casta dei burocrati, era riuscita in un quarto di secolo a costruirsi un ruolo centrale nelle dinamiche di Palazzo, dove appalti, incarichi e consulenze erano spesso funzionali al perseguimento di obiettivi personalistici, cui era sicuramente estraneo l’interesse generale dei sempre più poveri diarcopoliani.
Sembrava proprio che a Diarcopolis l’aggiustamento fosse diventato un fenomeno antropologico connaturato alle dinamiche di Palazzo Versoil. In questo sistema svolgeva una funzione importante la Papessa in Nero che, proprio per la marginalità del ruolo ricoperto, poteva fungere segretamente da utile e silenzioso collettore degli interessi più disparati.
Nessuno, tranne gli osservatori attenti, poteva immaginare, infatti, che la Papessa potesse essere il centro nevralgico di tante oscure manovre. Non brillava certo per intelligenza o cultura, né d’altronde queste caratteristiche le erano necessarie. Per essere il trait d’union tra i vari interessi in campo, in fondo, le occorreva soltanto possedere tanta furbizia spicciola, molta sfrontatezza e nessun senso della dignità.
Peraltro, le regole del sistema erano semplici e chiare a tutti. In fondo, si trattava di un gioco, magari pericoloso, ma di cui non bisognava mai prendere in considerazione gli effetti collaterali. Insomma, l’attività di intermediazione della bionda sgambettante Papessa in Nero era non solo uno sfizioso sistema per arrotondare i propri magrissimi emolumenti ufficiali, ma soprattuto un modo per evadere dalla noiosa quotidianità. Per la Papessa era, infatti, un inconfessabile sottile piacere, direi quasi erotico, riuscire, con artifici vari, a procurarsi indebiti vantaggi dalla propria noiosissima attività. Un diversivo che le consentiva di accettare il tran tran quotidiano, piuttosto che un vero e proprio reato. Certo, alla fine l’aspetto economico finiva per avere il suo spazio, ma sarebbe stata un’erronea semplificazione ridurre tutto a puro squallido commercio.
Paradossalmente, si poteva tranquillamente affermare che i “giochi proibiti”, di cui la Papessa in Nero era diventata abile stimolatrice, avevano finito per assumere anche una finalità antidepressiva. Insomma, piuttosto che trangugiare una magica pozione a base di erbe ad effetto tranquillizzante, la Papessa aveva capito che era meglio essere inseriti organicamente in un sistema agevolativo, perché esso richiedeva notevolissime capacità di organizzazione, attenzione ai dettagli e non poco coraggio. Inoltre, l’adrenalina, prodotta dalla situazione rischiosa, amplificava ogni sensazione. Chi, come la Papessa ed i suoi più stretti compagni di gioco, provava quell’adrenalica condizione, infatti, non poteva essere né depresso né ansioso, altrimenti il gioco poteva correre il rischio di smascheramento. Nessuno avrebbe potuto condurre un gioco, così pericoloso e complesso, per decenni senza possedere in fondo qualità davvero non comuni. E così, quelli che erano in grado di riconoscere il sistema, di cui la Papessa in Nero era pedina fondamentale, non potevano che restare ammirati da tanta intricata capacità e specialissima competenza.
Certo il gioco delle agevolazioni era facilitato dalle leggi che a Diarcopolis regolavano i rapporti con mercanti. Definirle “lassiste”, infatti, era un riduttivo eufemismo. Erano tali e tanti i buchi normativi per cui era davvero un gioco da bambini trovare le modalità “paralegali” per favorire un mercante a scapito degli altri. Insomma, fino a certi importi (anche considerevoli) esisteva una sostanziale libertà di scelta che finiva sempre per essere generosamente ricompensata. Non che si trasferissero talleri, anzi, la dazione di danaro veniva vista non solo come un pericolo, ma anche come segno di ignominiosa bassezza. Molto più dignitoso, infatti, era ricevere, a domicilio o durante opportuni pranzi di lavoro, lettere di credito della Compagnia delle Indie da utilizzare come lasciapassare per favolosi soggiorni in esotiche isole dell’Oceano Indiano. Doni, peraltro, che potevano anche benissimo passare per il frutto di una particolare intimità fra donante e ricevente. In questo la Papessa era molto attenta. Anzi, spesso aveva intessuto relazioni “speciali” proprio con i mercanti con cui collaborava. Così, furbescamente massimizzava i risultati e, allo stesso tempo, provvedeva a precostituirsi un alibi di ferro.
In quel modo, ovviamente, la Papessa non si era arricchita, è vero, ma viveva meglio, molto meglio, siatene certi. Quanti omini/omine a 1500 talleri al mese possono permettersi viaggi, abiti di prestigio, gioielli? La Papessa non riusciva proprio ad immaginare la sua vita senza le occulte integrazioni che riusciva a procurarsi. Ma, non era solo la voglia di agiatezza a spingerla a condurre quell’insolito menage. Sarebbe stata troppo meschina se non avesse avuto anche una molla motivazionale da soddisfare. Volete mettere il piacere che poteva provocare andare in giro con una gualdrappa chic, che da sola costava quanto mezzo salario di un comune mortale del suo modesto rango?
La regola aurea era, però, “è la somma che fa il totale”, come diceva un famoso giullare partenopeo. Tanti piccoli oboli quotidiani le consentivano di elevare il proprio tenore di vita. Bene per lei, male per tutti gli altri suoi colleghi che erano costretti a combattere con il caro-vita, con l’attacco alla stabilità del posto, con la riduzione dei diritti.
Ma non per questo la Papessa in Nero si sentiva perfida, perché ella ammetteva che risiedeva proprio in questo il suo principale movente. Vedere le sue colleghe affannarsi con il triste e povero menage familiare, costrette a correre da un mercatino rionale ad una drogheria a basso costo, per far quadrare gli striminziti bilanci familiari, mentre lei imperterrita poteva sfoggiare gualdrappe degne di una regina, stivali da 300 talleri o le borse da oltre 500. Una vera goduria!!!
(volete voi che il racconto continui???)
Il Signore degli Agnelli
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