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LA COMUNICAZIONE DI ANM E LA HARLEM SHAKE MANIA
Le aziende di trasporto - e quelle pubbliche in generale - manifestano quotidianamente la loro incapacità a creare moderno modello di comunicazione in linea con i new media e i social network
HARLEM SHAKE - Juventus Football Club http://www.youtube.com/watch?v=skKBB0jA7y8
Tutti intenti a fare qualcosa di ordinario, tranne uno insolitamente mascherato che appare nell’inquadratura e comincia a muoversi come posseduto da un’entità diabolica. Ma ancora gli altri restano in perfetto silenzio. La colonna sonora arriverà in fase di montaggio. Passano 20 secondi, poi tutti si alzano, si mettono altre maschere e si scatenano in movimenti convulsi. La scena viene catturata dallo smartphone dell’amico più smanettone. E tutto successivamente finirà, con i dovuti tagli, su Youtube. L’“Harlem Shake mania” conquista scuole, università, squadre di football americano, caserme, ecc. Perfino la “Vecchia Signora” del calcio italiano, la Juventus, se ne è lasciata contagiare (come avete potuto vedere nel video linkato). È solo l’ultimo di una lunghissima serie di operazioni di comunicazione virale che, spesso, nascondono azioni di vero e proprio marketing “virale”. I new media e, soprattutto, i social network (da Facebook ad Youtube), sono inondati da questi video. Si tratta, come è facile intuire, della nuova frontiera della comunicazione e non solo per le aziende che offrono prodotti e servizi indirizzati ad una clientela giovane ed innovativa. Nelle ultime settimane, invece, abbiamo assistito a come “non comunicano” le aziende di trasporto della nostra Regione, ANM in testa. Eppure si tratta di aziende che dovrebbero prestare attenzione alle nuove tendenze di comunicazione, visto che annoverano fra i propri clienti una percentuale notevole di giovani e giovanissimi, tutti digital native. Invece - tranne pochi, volenterosi ma isolati tentativi – la capacità di utilizzare i nuovi media e le loro indiscusse potenzialità latita paurosamente. Ricorderete, a tal proposito, la polemica di fine gennaio scorso, quando attraverso FB, la direzione ANM avvisò i suoi clienti della consistente riduzione del servizio causata dall’inspiegabile mancanza di carburante per i bus. Sul social network, in diretta, esplose la rabbia dei cittadini, contro una città alla deriva. E l'Anm, con un post, non seppe far altro che chiedere scusa e solidarietà. La stessa pagina FB, raccolse anche i commenti “arrabbiati” dei dipendenti dell’azienda pubblica di trasporto, che forse per la prima volta usarono la pagina Facebook per far sentire la loro voce, al di fuori dei normali canali sindacali. Oramai, è on line che si formano gruppi per dar voce alla protesta, fino a diventare promotori di class action per chiedere i risarcimenti cumulativi. Quando il media contagioso ha scopo commerciale, l’agire comunicativo della collettività e i legami affettivi che strutturano i network sociali sono, come si suol dire, messi al lavoro. E’ solo uno dei tanti esempi di come, nell’era del capitalismo cognitivo, la produzione di valore avvenga a partire dalle nostre pratiche quotidiane. A differenza delle epidemie e dei virus informatici, i media contagiosi si diffondono grazie all’agire consapevole di una molteplicità di attori. Scegliere di far passare o no un messaggio attraverso il proprio blog (o la propria rete di conoscenze) è un esercizio democratico di non trascurabile valore ed efficacia, così come dimostra l'ascesa ed il successo del blog di Beppe Grillo. La rete è una fitta giungla di segni che lottano per una maggior visibilità: nell’era di Google, ogni sito ha la stessa possibilità di emergere dal rumore bianco della produzione di senso. Che sia stato fatto da una grande azienda con investimenti astronomici, o da uno studente annoiato nel giro di un pomeriggio, poco importa. Ciò che determina il successo di un contenuto online è la capacità di creare e sfruttare networks, di ottenere attenzione, link e segnalazioni da quell’imprevedibile e sconfinato sciame di operatori della rete. Come in un meccanismo evolutivo, si impongono alcuni modelli funzionanti che vengono rapidamente emulati o superati da altri ancora più efficienti. Certo, esistono fenomeni casuali come “Harlem shake dance”, appunto, che esplodono al di là della volontà degli autori, ma non è ardito pensare che si stia delineando una nuova disciplina, una forma di retorica specifica di questi oggetti mediali. Esistono ormai da tempo agenzie pubblicitarie specializzate nella produzione di brevi filmati chiamati viral, che cercano di sfruttare la rete come canale di comunicazione parallelo a quelli tradizionali. Attraverso un ponderatissimo uso di elementi provocatori, come riferimenti sessuali espliciti, humor nero, morbosità e scorrettezza politica, riescono a fare breccia nel cuore dei navigatori, diventando a volte dei veri e propri cult. Il loro stile irriverente si definisce chiaramente per contrapposizione a quello conformista, e regolamentato, della televisione. Solo in questo modo è possibile intercettare l’utente medio di internet, notoriamente più colto e smaliziato del telespettatore modello. Invece, le aziende operanti nei servizi pubblici, restano ancora desolatamente all’ANNO ZERO della comunicazione verso la clientela, ma anche verso i propri dipendenti. Paradossalmente, però, il cronico ed inaccettabile ritardo potrebbe trasformarsi in un inatteso vantaggio. In sostanza, il deficit attuale potrebbe essere colmato saltando a piè pari tutta la trafila delle tecniche e degli strumenti di comunicazione ora inevitabilmente obsoleti. Insomma, a queste aziende si apre una sconfinata prateria in cui cimentarsi e confrontarsi con tecniche e strumenti del tutto sconosciuti. Ciro Pastore Il Signore degli Agnelli
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