Il linguaggio provocatorio e paradossale di Grillo funziona dal vivo, ma tradotto sui titoli di tg e giornali, fuori contesto, ottiene l’effetto contrario: da divertente diventa inquietante, equivoco, e spaventa la gente e non va oltre i limiti già raggiunti.
Sul piano della comunicazione e della comunicazione politica, questa mi sembra la migliore analisi in grado di spiegare i risultati del Movimento 5S alle elezioni europee 2014.
Lo scrive Andrea Scanzi, su Il Fatto Quotidiano: «il linguaggio che paga non è quello provocatorio e paradossale di Grillo (che, tradotto sui titoli di tg e giornali, diventa serio e truculento, spaventa la gente e non basta un’ospitata a Porta a Porta per cancellarne gli effetti), ma quello dei suoi parlamentari migliori (più concreto sulle cose fatte e quelle da fare), e anche quello autoironico del video di ieri.
I titoli sul “Grillo fascista” e “M5S nazista” sono figli di una disonestà intellettuale giornalistica quasi senza eguali, ma (prevedibile, ndr) un po’ te le cerchi se regali assist agli avversari. Il post su Auschwitz, “Cosa faresti alla Boldrini?”, “Sono oltre Hitler”, i “processi ai giornalisti”.
Tutte esagerazioni semantiche, tutti cortocircuiti linguistici che vogliono fungere da catarsi (la violenza verbale per disinnescare l’eventuale violenza reale): vaglielo a spiegare, però, alla casalinga di Voghera.
Renzi ha giocato sulla speranza contro la paura: una narrazione da asilo nido, ma Grillo gli ha permesso di farlo. Come gli ha permesso di insistere sulle semplificazioni dei “grillini che sanno solo dire di no” e che “hanno messo in frigorifero 9 milioni di voti”.
Così Scanzi, sulla comunicazione di Beppe Grillo. E aggiungo: nella competizione tra “complesso” (Grillo) contro “semplice” (Renzi), il risultato oggi appare scontato: Renzi batte Grillo 20 a 40.
Recensione di Umberto Rizzo