LA CONCHIGLIA DI PIA
Illustrazione di Francesca Ballarini * Cara Nina, sono una frequentatrice del tuo blog e una recidiva della PMA. Oggi, che è il mio anniversario di matrimonio, per me è un giorno triste, perché l'ennesimo tentativo è andato male. Il piccolo embrione, la bellissima blastocisti che hanno scongelato e mi hanno trasferito la scorsa settimana («su, signora, sorrida», mi hanno detto, «è una bellissima blastocisti»), quel puntino che ho visto sullo schermo, che era grande quanto un pixel e che per quanto piccolo, era pure qualcosa, si è spento in una di queste giornate, e non sai quanto vorrei sapere quando. Quando, in questi sette giorni, in che momento, in quale attimo delle centinaia di migliaia che ho vissuto, mangiando, dormendo, camminando, lavorando, è successa questa cosa, e perché non me ne sono accorta? E adesso, mi dico, come sempre, mi dico, guardiamo avanti, il percorso è ancora lungo, anche se a me sembra già di aver camminato troppo, per sentieri impervi, e ora che la salita si è fatta davvero dura, stiamo camminando soltanto io e lui. Gli altri, i parenti, gli amici, che in un primo tempo avevamo coinvolto nell'impresa, li abbiamo lasciati giù al bivacco, a bere e gozzovigliare, e abbiamo proseguito da soli, perché rallentavano il nostro viaggio. In cima ci vogliamo arrivare da soli. A volte vorrei che tutto questo finisca. Che qualcuno mi dica: arrenditi. Ma non riesco ancora ad arrendermi. E spesso ho paura che tutto questo finisca.La mia storia è un po' lunga. Ha già cinque vite. Nella prima vita, c'ero io, con le mie passioni, i miei vestiti colorati, gli amici, gli amori, i viaggi, il sogno di fare qualcosa di bello nella vita, e di avere anche dei bambini (ho sempre pensato al plurale, sì). Nella seconda vita è arrivato lui, con la sua moto, i suoi taccuini e la macchina fotografica. Con il suo disordine e il suo sorriso. Ci siamo innamorati. E ci siamo sposati. Nella terza vita, abbiamo pensato, ma sì, un figlio, se capita, perché no. Poi io ho cominciato a pensare noncapitanoncapitanoncapitanoncapitanoncapita. Era la fine del 2007. È passato un anno di non capita a me, capita a tutte le mie amiche. Di parenti e amici che continuavano a chiedere e a esprimere la loro opinione di cui avrei anche fatto volentieri a meno («vedrai, adesso che vai in vacanza...», «fai una vita troppo stressata...», «quando meno te l'aspetti», «non ci devi pensare»), insomma, tutte quelle idiozie che tutte le donne che leggono questo blog conoscono bene. Tra il 2008 e il 2009 abbiamo cominciato a fare esami su esami, aspettando ancora che capitasse, e se n'è andato via un altro anno, al termine del quale abbiamo preso contatto con un centro specializzato in sterilità e procreazione assistita, presso il quale ho fatto quattro intrauterine (perché non ci facciamo mancare niente), senza alcun risultato. E siamo arrivati all'autunno del 2010. Apparentemente io e lui non abbiamo problemi. Rientriamo in quella percentuale di sterilità inspiegata e inspiegabile. Mi hanno pure fatto credere che il problema potesse essere di natura psicologica («forse nel tuo inconscio questo figlio non lo vuoi davvero»), e questo per me è davvero troppo.
Mi hanno messa in lista per l'ICSI, e mi hanno detto che avrei dovuto aspettare un altro anno. Nel frattempo ci siamo rivolti a un centro privato convenzionato. E qui, l'anno scorso, 2011, è iniziata la quarta vita. Due tentativi di ICSI. Il primo tentativo ha acceso un lumicino di speranza: le prime beta HCG erano positive, le seconde sono crollate, e io non ero preparata. Il secondo tentativo, in maggio, è andato buco, ma ho prodotto una buona quantità di ovociti che sono lì, congelati. Poi finalmente è venuto il mio turno alla clinica dove avevo fatto le intrauterine. Con la dottoressa che mi sta seguendo, abbiamo cambiato protocollo: dal protocollo breve a quello lungo. Ho prodotto 8 ovociti, li hanno fecondati tutti, 5 si sono sviluppati, 3 li hanno congelati e 2 me li hanno trasferiti. Con uno di questi due sono arrivata alla sesta settimana. Alla prima ecografia, si vedeva la camera gestazionale, ma non il battito. Mi hanno detto, forse è troppo presto, ritorni tra una settimana. Sono tornata, da sola (lui era in trasferta lavorativa). Nessun battito. Non dimenticherò mai la faccia del dottore che mi ha fatto l'ecografia, e che teneva il monitor rivolto verso di sé. Intervento dopo una settimana, raschiamento, anzi "svuotamento della cavità uterina". Nel frattempo sono diventata zia due volte. Devo dire che sono molto felice, adesso, di aver vissuto l'esperienza di zia prima di quella di madre. Ma l'ho capito solo quando le ho tenute in braccio, e quando hanno cominciato a chiamarmi 'zia', e a cercarmi. Sono passati altri sei mesi. Mesi in cui ho lavorato, lavorato, lavorato e cercato di pensare poco. Mesi in cui ho saputo che diventerò zia una terza volta, e che ho pensato, non ce la posso fare a sopportare anche questo.
Ed ecco che è iniziata la quinta vita: la fase dello scongelamento. La fine dell'era glaciale. Settimana scorsa abbiamo fatto il nostro primo tentativo con le blastocisti congelate. Ne hanno scongelata una, «bellissima», mi hanno detto, l'hanno trasferita, mi hanno detto «faccia vita normale in questi giorni», ho fatto vita normale, «eviti di sollevare pesi», ogni cosa che prendevo in mano mi chiedevo se era un peso, se mia nipote fosse un peso, se un sacchetto della spesa fosse un peso, e adesso sono qui a domandarmi se ho fatto qualcosa di sbagliato, se una cosa che pensavo non fosse un peso, in realtà lo era, anche se volevo essere, in fondo, solo normale, come tutte quelle donne che quando rimangono incinta continuano a fare vita normale prima di fare il test, e magari hanno bevuto grappa, fatto le scale, sollevato pesi e sono andate a cavallo. Perché un'infermiera un giorno mi disse: «Se deve attaccarsi s'attacca». E io le credetti, perché lo so che la vita è forte. Perché una dottoressa un giorno mi disse: «Non so perché. Non avete niente, non escludo affatto una gravidanza spontanea». E intanto, dai miei trentaquattro anni sono arrivata a trentotto, e se anche molte persone mi dicono, «Sei ancora giovane», io le statistiche le leggo. Il corpo della donna lo conosco. Lo so che le probabilità si riducono di giorno in giorno, e saranno sempre meno. Ma ancora ci credo. Ancora camminerò, perché la vetta a volte può sembrare vicina, ma magari non lo è. Tutto questo mi sta insegnando ad avere pazienza. Ma so che devo imparare ancora molte cose. Per esempio, a non piangere quando qualcosa va male. Care amiche, la cosa che vorrei di più, è tornare a essere spensierata. Organizziamo un corso di spensieratezza? Voglio tornare ad avere gonne colorate, viaggi, e sogni. Voglio tornare a fare regali al mio uomo, perché oggi, in tutto questo tumulto di notizie, mi sono pure dimenticata del regalo d'anniversario. Mi è entrato un trapano nella testa ed è andato via solo a sera. E lui, invece, sai cosa mi ha regalato? Una storia buffa, che faceva ridere. Scritta da lui. Tutti dicono che bisogna pensare positivo, pensare che andrà tutto bene, ma al tempo stesso non farsi illusioni, e questa per me è la cosa più difficile. È come camminare su un cavo tirato a quattrocento metri d'altezza tra le torri gemelle. Certo, Philippe Petit ce l'ha fatta. Ha provato, ha rischiato tutto e ce l'ha fatta. Ti confesso che oggi ho pensato, basta. Sì, l'ho pensato. Ma non dirò basta, perché ci sono ancora due embrioni in un frigo, da qualche parte, al freddo, che mi aspettano.
AGGIORNAMENTO DI OTTOBRE 02-10. Sono parecchio agitata in questi giorni. Domenica cioè l'altro ieri abbiamo fatto il transfer di B4 (quarta Blastociste congelata). La biologa non mi sembrava entusiasta ma l'ha definita "vitale". Ho affrontato questo tentativo serenamente ma ti confesso che ho sempre il batticuore, ogni volta che ci penso. Cerco di non pensarci, e mi distraggo col lavoro, senza strafare (mi dedico anche qualche momento di relax). Settimana prossima farò le Beta, e mi ripeto che devo stare tranquilla, ma non ce la faccio! Inoltre so benissimo, per esperienza, che anche se le Beta fossero tutte positive, non è mai detta l'ultima parola. Ma ti pare che noi si debba vivere ogni tentativo di gravidanza in questo modo? Te l'ho scritto, e lo ripeto, vorrei tanto essere spensierata e ignorante di tutto. Mia sorella ha fatto due figli e non sa neanche cosa sia un follicolo. Domenica con me c'era una ragazza al suo primo tentativo di FIVET. Mi sono sentita una veterana quando ho detto che era il mio quinto transfer. Ma non volevo scoraggiarla o agitarla, così le ho detto che va proprio a fortuna, cosa di cui sono davvero convinta, perché una mia amica ha avuto due figli così, tutti e due al primo colpo. Per ora ti lascio, ti aggiorno la prossima settimana. 08-10.cara Nina, è andata male e mi sento pure in colpa per il mio "pensare negativo". Adesso raccolgo i cocci e poi ti scrivo.
AGGIORNAMENTO DI FINE GENNAIO Non so da che parte iniziare. La mia storia non è ancora finita, ma sento che in un certo senso, è finita. Cioè, per me, c'è stata una svolta. E quella svolta si intitola "e vissero felici e contenti". Credo di aver toccato il fondo nel mese di dicembre, dopo il secondo tentativo andato male con le blastocisti congelate. Mi sono accorta di essere diventata anaffettiva, se si può dire così. Di ridere sempre meno. Di non ridere quasi mai, per essere precisa. Di essere malinconica, e di non riuscire ad emozionarmi per le cose più belle (contenta sì, ma senza emozioni). Io, che da bambina ero soprannominata "cuor contento". Ho pensato, perché lo sapevo, dentro di me, che tutto questo fosse legato alla nostra ricerca di un figlio, di cui ti avevo parlato nella conchiglia qualche tempo fa. Ho pensato che stavo scivolando nella depressione, malattia che conosco bene, da vicino (una mia cara amica ci convive da anni). Mi sono spaventata. Ho pensato, finalmente, che forse era il caso di chiedere aiuto a qualcuno. Uno psicologo, non so. Poi, ho anche pensato che ce la potevo fare da sola. Tu l'avevi detto: "ti rialzerai". Mi sono rialzata. Ho deciso che non vivrò più nell'attesa, che vivrò la mia vita giorno per giorno, così com'è, senza pensieri. Godendo di quello che ho. Felice, perché essere felice è un mio dovere, figlio o non figlio. Bisogna impegnarsi nella felicità. Sento che tante cose brutte che ho provato (rabbia, invidia, debolezza...) se ne sono andate. E finalmente lui ha tornato a sorridermi e ad abbracciarmi quando torna a casa e a stare bene con me. Sento finalmente una grande pace. Questo non vuol dire che non faremo il possibile (abbiamo ancora una blastocisti congelata e diversi ovuli da parte), ma non mi aspetterò più nulla. Sento che se un giorno un bambino arriverà sarà un grande regalo. Fino ad allora, quando penserete a noi, sorridete e immaginateci in cima alla montagna, quella montagna altissima che stiamo scalando, da tanto tempo: ci fermiamo qui, in un rifugio, io e lui, e magari chissà, un giorno scenderemo a valle. In bocca al lupo a tutte, vi abbraccio forte, non smettete di crederci, mai, non smettete di credere che è possibile, ma non vivete in una bolla di speranza: vivete nel presente. AGGIORNAMENTO DI MARZO Un mese fa siamo andati dall'ultima blastocisti congelata, e non me l'hanno nemmeno trasferita perché hanno detto che si è deteriorata nello scongelamento. Hanno anche detto, capita a volte. Devo dire che mi sono capitate un po' tutte. Sono passata in mezzo a tutte le possibilità. A volte mi chiedo: cos'altro mi manca? Di tutte le cose che possono succedere, cosa può succedere ancora? Ma è meglio non pensarci. Questa volta non ho nemmeno pianto. Abbiamo mangiato un panino e siamo tornati a casa. Senza dir niente a nessuno. L'altro giorno mia nipote di tre anni mi ha abbracciato forte e mi ha detto "zia MIA". Ecco, mi basta questo.