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Si tratta di un mortaio a coppa, di ciliegio, con un elaborato pestello di sanguinello. È una coppia di oggetti molto belli, che però, siccome siamo dei cazzari, ha dato origine a una serie di battute (originate anche da una novella salace che non ricordavo se fosse di Boccaccio o dell'Aretino, e che scopro essere la seconda novella dell'ottava giornata del Decameron).
Tornati a casa, tiriamo fuori il mortaio e il suo pestello e li osserviamo meglio, anche per decidere dove metterli. E vengo folgorata da un'idea. Un po' irriverente, ma troppo illuminata.
Facciamo un passo indietro: nella simbologia rituale neopagana così come è stata codificata negli ultimi 50 anni, la Dea è rappresentata dalla coppa (identificata e/o confusa col Graal) e il Dio è rappresentato dall'athame.
Ad un certo punto del rituale, per significare l'unione di maschile e femminile, l'athame viene inserito nella coppa e viene recitata una formula che non ricordo mai. Questa mi è sempre sembrata una forzatura, un'unione non molto felice di simboli che presi singolarmente possono andar bene ma messi insieme non formano nessuna sinergia e non svolgono nessuna funzione. Nessuno, nella vita di tutti i giorni, inserisce un coltello in una coppa.
Invece, nella vita di tutti i giorni, può capitare che un pestello venga inserito in un mortaio. E che l'unione dei due attrezzi produca un pesto o un trito di frutta secca o un masala di spezie.
Il pestello e il mortaio sarebbero il simbolo perfetto per il Dio e la Dea: singolarmente presi sono significativi, e insieme svolgono una funzione.
Sarò l'unica persona a cui è mai venuta in mente questa cosa? Sicuramente no. E allora perché continuare con la coppa e l'athame?
Ho una mia personale teoria. Ma mi piacerebbe che fosse smentita.
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