Di fronte all’incalzare, di nome e di fatto, delle notizie su azioni criminali, illegali, illegittime e comunque inopportune, mi chiedo come mai ancora ci stupiamo reiteratamente, ci sdegniamo ripetutamente, ogni volta con lo stesso scandalo e la stessa riprovazione e con rinnovata sorpresa come se la carriera di “ercolino sempre in piedi” non fosse iniziata con la sinistra ferroviaria che gli aprì le porte del Ministero dei Trasporti, non fosse stata definitivamente consolidata con quell’affidamento diretto a Eni, Fiat e Iri, i tre “General Contractor” per la costruzione delle prime linee ad alta velocità in Italia, che ne fece aumentare il costo da 30mila miliardi di lire a 180mila, come se il potentissimo manager pubblico non fosse stato già coinvolto in 14 procedimenti giudiziari, uscendone con il proscioglimento, soprattutto grazie alla misericordiosa prescrizione, perfino nel processo in cui era accusato di aver fatto arrivare soldi al magistrato per agevolare un’archiviazione.
E con immutabile innocenza, o patetica furbizia, o squallida aspirazione all’emulazione, ci meravigliamo degli incarichi a sua insaputa del figlio del ministro, della difesa dell’altro ministro, il più esperto nel “tenere famiglia”, per via della prole numerosa compreso il figlioccio di Rignano che lo manda sempre avanti quando a lui viene da ridere, di noi, del lavoro, dei diritti, dell’istruzione.
Siamo ancora allibiti che chi è alla testa del dicastero più interessato a interessi opachi, dove faceva il bello e cattivo tempo un uomo che ha attraversato indisturbato sette governi e le loro tempeste anche giudiziarie, con l’eccezione di quello guidato da Romano Prodi nel 1996, quando fu Antonio Di Pietro a mandarlo via, reagisca come ad un affronto alla richiesta di dimissioni, proprio con la stessa foga risentita espressa a fine dicembre quando si fece più aspro lo scontro nel governo sulla gestione dei Lavori pubblici, quando assicurò che se fosse stata abolita la Struttura tecnica di Missione, dove imperava l’Incalza, “non ci sarebbe stato più il governo”, e con lo stesso impeto veemente con il quale si convinse e convinse altri dell’augusta parentela di Ruby come dell’ingenua fanciullaggine dei passatempi del suo utilizzatore finale, anticipando con lungimiranza autorevoli sentenze. Con lo stesso entusiasmo del 2005, quando dal palco del meeting di Cl di Rimini volle “ringraziare davanti a tutti una persona che ho incontrato in questi anni, un prezioso collaboratore del ministro Lunardi ma prezioso collaboratore di tutti noi. Volevo presentare e fare un applauso a Ercole Incalza che è, credo, una persona eccezionale e un patrimonio per il nostro Paese”. Standing ovation, probabilmente anche di Matteo Renzi, presente all’ecumenico avvenimento.
E come se fosse inedita e originale la rivendicazione di impunità, l’indifferenza sfrontata nel confronti non solo della propria reputazione all’incanto per un Rolex, un doppiopetto, perfino un frullino come è già avvenuto, ma anche del consenso elettorale, ormai inutile grazie a sistemi che hanno svuotato e cancelleranno partecipazione e rappresentanza.
E soprattutto come se a fronte dello spiegabilissimo ritardo sulle misure anticorruzione, festosamente sostituite da incarichi a forte significato simbolico e debolissimo potere, non fossero invece prodotte leggi che la legittimano, fino a renderla un aspetto tecnico collaterale, fisiologico e funzionale alla crescita che ci aspetta, ma guarda un po’, in fondo al tunnel, magari quello di una Tav, anzi ormai più che sdoganato, legalizzato grazie all’arbitrarietà sancita tramite decreto e riforma in tutti i settori, dai caporali del precariato ai presidi nella scuola, grazie all’egemonia dell’emergenza, laddove qualsiasi opera ancorché inutile e dannosa diventa urgente, indilazionabile, improrogabile e dunque oggetto di regimi eccezionali, di licenze discrezionali, di leggi speciali, di commissari straordinari, di fondi aggiuntivi.
Vent’anni di leggi ad personam hanno creato il terreno favorevole per la corruzione delle leggi.
E infatti proprio questa è la faccia nuova della demoralizzazione del sistema sociale, quando ha il sopravvento l’interesse provato su quello generale fino al punto che si condiziona l’ipotetico e improbabile riavvio della “crescita” alla realizzazione di grandi opere e grandi eventi, al loro indotto di profitti opachi a beneficio di cordate speculative, di un sistema imprenditoriale di soliti noti che si spartiscono il business in virtù di appalti e incarichi pilotati da un ceto politico ricattato o blandito o remunerato o tutte e tre le cose insieme, e grazie a un processo condiviso di corruzione delle leggi anziché della loro violazione. Cosicché giustizia vorrebbe che vada in galera chi contesta la Tav e non chi la costruisce a costi anomali, incurante del suo impatto ambientale, indifferente alla sua superfluità, per trarne bottini destinata a incrementare la ricchezza di quei pochi ai quali non è estranea la criminalità organizzata.
Lo scandalo del Mose, al quale il perenne inquisito non è estraneo, è scandaloso soprattutto per questo suo valore non solo simbolico: caratterizzato com’è da una continua e sofisticata corruzione delle leggi che ha prodotto illegalità, danneggiando la collettività, indirizzando risorse verso una potestà del cemento che ha imperato sulle dighe mobili come sulla fase progettuale, speculando sull’impatto inquinante e sul suo risanamento, imponendo l’indispensabilità e l’indifferibilità di interventi dei quali non è accertata la necessità, ritardati appositamente per produrre e riprodurre redditi, creando fittizie urgenze che li giustifichino mentre la vera emergenza si consuma su un territorio trascurato e disastrato e infine consolidando un monopolio economico e politico, così intrecciati in un’unica lobby “istituzionale” da garantirsi reciprocamente la sopravvivenza con l’occupazione militare dei settori della sanità, dei rifiuti, dell’energia, delle opere pubbliche, dell’urbanizzazione contrattata come previsto dallo Sblocca Italia, delle società di scopo per i pubblici servizi sempre più privati, sempre più inaccessibili, sempre meno al servizio dei cittadini.
Tre giorni fa, con orgoglio, l’ineffabile promoter di eventi epocali ha dichiarato concluso il tempo degli scandali. Tutto sommato non ha torto, è volontà comune non sentirsi offesi dall’oltraggio all’etica, alla morale, alle deontologia e alla responsabilità se la necessità, la crisi, il bisogno lo impongono, se il ragionevole realismo lo giustifica, se il moderno pragmatismo lo legittima. Se cambiare opinione è segno di dinamico senso dell’opportunità come è successo proprio sulla Tav fiorentina, oggetto delle inchieste alla ribalta, quel progetto devastante di super tunnel e megastazione, per il quale si decise addirittura di non effettuare alcuna valutazione ambientale, al quale il candidato sceriffo di allora si opponeva, salvo trasformarsi in ultrà, in fan entusiasta una volta diventato podestà. Ogni giorno, oggi ancora di più, i media, che spacciano le notizie-droga sulla corruzione, sono gli stessi che distillano i veleni di cui essa si alimenta, le menzogne della inevitabilità della corrosione della democrazia, della cessione di sovranità statale e popolare, delle virtù del privato a fronte della dissipazione del pubblico, della rinuncia indispensabile a diritti e garanzie.
Nel nostro bestiario magari ci fossero solo lupi, che quelli almeno mostrano coesione muovendosi in branco. Regnano invece topi famelici, scaturiti dal sottosuolo dei loro scavi e dei loro tunnel, e portano la loro pestilenza.