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La corsa ad ostacoli di Bersani

Creato il 24 marzo 2013 da Casarrubea
Pier Luigi Bersani

Pier Luigi Bersani

Gli italiani siamo creativi. Grandi inventori, creatori, navigatori, artisti e uomini di ingegno, ma anche generali e dittatori, sergenti e soldati semplici. In passato abbiamo fatto la storia più bella del nostro Paese. Ma da quando ci siamo messi a predicare dai nostri pulpiti o a indossare la divisa, le mostrine e  gli alamari, o a santificare il denaro, abbiamo fatto il bello e il cattivo tempo, con le nostre manie di grandezza e le nostre follie. Allora siamo andati tutti in rovina.

 Sembrava che questa nostra caratteristica fosse finita da qualche tempo quando, gratta  gratta, è ritornata alla ribalta e ha invaso anche il campo della politica. Segno dell’eterno bisogno che abbiamo di avere un capo e di stare quieti e sottomessi. Lo dimostrano, ad esempio, i partiti che, per essere riconosciuti, hanno bisogno di intestarsi l’appartenenza a qualcuno, fatta eccezione, per la verità, del Pd. A questa caratteristica non sfugge neanche il movimento di Grillo che in basso al suo simbolo a cinque stelle porta scritto l’indirizzo del blog con il quale i grillini si identificano, nonostante preferiscano forse chiamarsi in altro modo. Una deformazione grave. Si può tollerare che un partito si dia un capo, ma è fuori da ogni logica pubblica e civile che un privato, un comico, trasformi la platea dei suoi spettatori in massa di manovra politica, usandola come palla di cannone contro un bersaglio: le istituzioni nate dalla Costituzione e base della nostra democrazia. Nel bene e nel male. Ed è ancora meno tollerabile che si fondi e si usi un partito o un movimento come arma di ricatto per avere tutto. Oggi o domani.

Così, in questi giorni, pensiamo a Bersani, incaricato dal presidente della Repubblica di sondare la possibilità di una maggioranza parlamentare capace di dare stabilità al futuro governo. Ma Bersani, persona a mio giudizio corretta, anche se spostata al centro, non trova davanti a sé un’autostrada. Tutti, destra compresa, farebbero un governo con lui premier. Il che piuttosto che risolvere i problemi, li aggrava. Le difficoltà sono evidenti: non può fare il Monti bis, perché lui, Bersani, ha un’altra faccia; non può fare un governo con Berlusconi perché ha detto già in tutte le salse che non è disponibile a simile prospettiva innaturale; non può allearsi, come vorrebbe, con Grillo, perché i grillini lo mandano continuamente a quel paese. Quindi in questa Italia in cui sono sorti come funghi dopo la pioggia, centinaia di partiti politici, che per un effetto misterioso l’hanno trasformata da bipolare in tripolare, come la forza motrice, i conti per governare non tornano. E per il futuro la cosa migliore sarebbe che una salvifica legge elettorale stabilisse  cosa fare per dare agli italiani tempi lunghi di pace e di buon governo.

Il rifiuto di Grillo a qualsiasi collaborazione con i partiti esistenti urta  contro l’art. 49 della Costituzione, secondo il quale “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Cosa significhi, pertanto, questo rifiuto lo sa solo lui. Personalmente me lo immagino come un atto di sovversione. Una presunzione dogmatica di verità assoluta, come successo nella storia a tutte le dittature.

Non trovo altre spiegazioni e mi pare evidente che il M5S sotto una scorza pubblica nasconda una realtà privatistica, un indirizzo web personale (beppegrillo.it), dove si vendono libri, si professano solo alcune idee, e dove si fa propaganda contro il mondo intero. Cosa inusuale e incostituzionale perché nessuno può fare di un fatto privato come un blog il centro di un coordinamento politico di natura imprecisabile.

L’impresa di Bersani è veramente difficile anche perché gli italiani non hanno scelto nelle ultime elezioni politiche del 24 e 25 febbraio scorsi, una linea chiara di cosa realmente vogliono. Non vogliono l’austerità di Monti e di Casini, non vogliono la linea antiunitaria della Lega Nord, non vogliono i ladri e i mascalzoni. Anzi è vero che tra grillini e astenuti, la maggioranza degli italiani è veramente riluttante a formare un governo qualsiasi e ha deciso per un non governo. Non stupiamoci, dunque, perché la colpa dell’impasse in cui siamo non è di chi si è espresso in modo chiaro e cioè della minoranza degli italiani, ma di quella maggioranza che ha eretto una muraglia cinese, provocando una frattura profonda con il passato, partiti o sindacati che siano. Ridotti a roccaforti in cui troneggiano i soliti capi, le vecchie leadership e le solite camarille. Ma ormai ci stiamo abituando alle follie collettive e pare che tutti abbiamo bisogno di inventarci un po’ di confusione e di fare in modo che chi dovrebbe avere la strada spianata dalla chiarezza trovi invece davanti a sé la vita più complicata di quanto non sia.

Abbiamo torto tutti, grillini compresi che vogliono rifare le cose a modo loro, calpestando la Costituzione. Ne vogliono fare anzi carta da macero perché l’abolizione dei partiti, il loro esasperante massimalismo, la legittimazione della loro esclusiva esistenza e della loro crescita numerica fino al raggiungimento del cento per cento dei consensi, la negazione di una informazione pluralistica, unita al disprezzo per la categoria dei giornalisti, la loro proposta di mantenere una sola rete televisiva, ecc.,  altro non mi sembrano che  sintomi di un male assai vicino a una inedita malattia sociale. L’altra faccia della telecrazia berlusconiana, cioè la schizofrenia dei social network che hanno smarrito il senso della realtà.

Se la principale colpa dei partiti è di av ere smarrito il senso della realtà, la principale colpa degli affetti da questa nuova malattia è ritenere che il mondo reale stia davanti alla propria tastiera, nel desktop del loro computer. E’ di aver sostituito il virtuale con la relazione umana. Non che le proposte del M5S siano infondate. Tutt’altro. Alcune sono utili e sacrosante. Ma in gran parte sono pii desideri, e per un’altra parte sono anche il risultato di errori di valutazione. Frutto di una visione manichea del mondo. Nel nostro caso il M5S sarebbe il mondo dei santi e del bene, tutti gli altri sarebbero il male, i diavoli. Non è affatto così. Se leggiamo i venti punti proposti da Grillo al Capo dello Stato per un governo 5S scopriamo che si tratta di questioni annose già poste sul tappeto nelle passate legislature e che oggi appaiono del tutto ovvie.

Vediamole. Il reddito di cittadinanza fu introdotto dai Borboni come assistenzialismo per i poveri ai quali non solo veniva garantito il minimo necessario per sopravvivere, ma venivano anche destinati appositi edifici che la gente chiamava Alberghi (come l’Albergo delle Povere e quello vicino dei Poveri di Corso Calatafimi a Palermo). Un modo errato di togliersi dai piedi il fastidio dei questuanti e di attutire, il malessere delle famiglie più povere, evitando il rischio delle insurrezioni popolari.

Anche per il rilancio della piccola e media impresa è facile dire (come fanno tutti) che bisogna adottare delle misure idonee. Più difficile è rimboccarsi le maniche per valutare con le parti interessate e con le forze politiche disponibili come fare. Così la legge anticorruzione non la fa un governo etico, ma un governo politico che non può essere un monocolore di minoranza di un partito (ad es.: il M5S), ma una maggioranza di forze che concorrono a definirla e a realizzarla. Lo stesso si può dire dell’informatizzazione e della semplificazione dello Stato, di cui sento parlare da almeno venti anni, e che solo oggi è forse maturata nella coscienza di molti enti pubblici. Ma mi chiedo: – possibile realizzarla senza la partecipazione di tutti?

E continuando: l’abolizione dei contributi pubblici ai partiti, da sola non basta se non si verifica come possono sopravvivere i partiti minori che non hanno risorse, ma il diritto ad esistere. E poi siamo sicuri che questa soluzione non favorisca forme occulte di finanziamento?  Non sarebbe meglio parlare di riduzione piuttosto che di abolizione dei contributi pubblici?

Dei venti punti del M5S ce ne sono alcuni che risultano incomprensibili e veramente strani come: il “referendum propositivo e senza quorum” che Dio solo sa cosa sia; il referendum sulla permanenza nell’Euro, che se ci facesse uscire dall’eurozona sarebbe una vera catastrofe per l’Italia e per la sua storia futura; il mantenimento di una sola rete televisiva pubblica senza pubblicità e indipendente dai partiti; l’eliminazione delle province che è una realtà in fieri e comunque già avviata dalle proposte di Monti, l’obbligo di discussione di ogni legge di iniziativa popolare in Parlamento con voto palese.

 Altri punti invece trovo che siano buone proposte: l’ istituzione di un “politometro per verificare arricchimenti illeciti dei politici negli ultimi 20 anni”; la permanenza in parlamento per non più di due mandati; la legge sul conflitto di interessi; il ripristino dei fondi tagliati alla Sanità e alla Scuola pubblica; l’accesso gratuito alla Rete per cittadinanza (che sarebbe più corretto definire come accesso e fruizione); l’abolizione dei finanziamenti diretti e indiretti ai giornali; la non pignorabilità della prima casa; l’abolizione dell’Imu sulla prima casa.

Trovo in ultimo poco chiari questi due: l’elezione diretta dei parlamentari e l’abolizione di Equitalia. Nel secondo caso perché non capisco chi dovrebbe riscuotere le tasse. Nel primo perché ho tutta l’impressione che una simile formulazione serva ad evitare una legge di riforma elettorale che restituisca ai cittadini e ai partiti in cui sono organizzati il diritto di scegliere liberamente i propri rappresentanti. Insomma Grillo nel suo programma ha almeno due punti deboli: il sistema delle tasse di cui praticamente non dice nulla, e la riforma elettorale sulla quale si dice ancora meno, rimanendo vacua nella sua concezione.

Anche Grillo non avrebbe senso senza la coreografia che lo definisce dandogli un colore tutto nostrano. E’ una vecchia volpe cresciuta negli ultimi venticinque anni almeno, dopo la sua rottura con il sistema televisivo della Rai, avvenuta nel lontano 1986. E’ da un quarto di secolo perciò che lavora per l’annientamento della Rai per ragioni che si legano alle sue vicende personali. Da qui la sua critica si è estesa a tutto il mondo dell’informazione e della carta stampata per approdare alla fine ai social network come nuovo progetto per il futuro. Il suo non è il partito/movimento nato ieri, dunque. Un percorso analogo, ma diversificato per alcuni aspetti anche generazionali, a quello di Dario Fo.

Grillo e Fo nell’ultimo quarto di secolo si sono costruiti un loro mondo parallelo, approdato solo nell’ultimo decennio a una proposta sociale e politica antisistema. Tutta concepita in una stratosfera virtuale, onirica che arriva alla flagellazione, come fossero due moderni Savonarola. Perciò fanno male quelli che gli vanno dietro giocando al ribasso e decurtandosi gli stipendi. Deputati grillini compresi.

Sugli otto punti di Bersani, invece, mi pare ci sia più concretezza per fare uscire l’Italia dalla crisi in cui si trova: il superamento dell’austerità, il lavoro, la riforma della politica e della vita pubblica, la giustizia e il conflitto d’interessi, l’eco-sostenibilità dello sviluppo; i diritti civili, l’istruzione e la ricerca. Il problema è sapere con chi Bersani intende realizzare questi punti. Con La Lega e Monti? Alla Camera non avrebbe problemi. Al senato verrebbe a trovarsi nella situazione analoga a quella in cui venne a trovarsi Prodi nel 2008, quando il 24 gennaio il suo governo fu battuto per 161 voti contro 158. La caduta del governo fu allora dovuta non alla litigiosità della coalizione, ma al vile denaro che si rese necessario per comprare qualche senatore senza dignità (lastampa.it  30 sett. 2012). Non sarebbe, dunque, consigliabile fondare un governo su una maggioranza così risicata, anche se con i voti di Monti (19), della Lega Nord (17), del Grande Sud (1) e del Trentino Alto Adige (1), Bersani o chi per lui potrebbe contare su 162 voti favorevoli. Ma la storia dovrebbe insegnare a evitare gli errori del passato e consigliare i futuri governanti a fondare la loro azione su basi molto solide.

Ecco perché Grillo non deve consegnare o, peggio, spingere Bersani nelle braccia aperte di Berlusconi e della destra. La sua è una responsabilità storica di cui gli italiani, se non hanno perduto del tutto il lume dell’intelletto, dovranno ricordarsi per i decenni a venire. In caso di totale chiusura del non partito di Grillo, essendo pure improponibile un governo di minoranza del Pd, per l’equivoca non sfiducia esterna che avrebbe, Bersani desista dal suo mandato, spieghi agli italiani come stanno le cose e suggerisca al capo dello Stato che la migliore soluzione è tornare alle urne dopo la elezione del futuro presidente della Repubblica. E che Dio ce la mandi buona.

Giuseppe Casarrubea


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