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La corsa alla figc: ma non si puo' proprio fare a meno di tavecchio?
Creato il 29 luglio 2014 da CarlocaE se, alla fine, l'orripilante scivolone dialettico di Carlo Tavecchio (su una buccia di banana, è proprio il caso di dire) si rivelasse una mano santa, mettendo fuori gioco il più improponibile dei candidati alla guida della Federcalcio? Il 71enne lombardo, che sogna di prendere in mano le redini del pallone tricolore in uno dei momenti più critici della storia del nostro football, si è attirato le ire di... tutto il mondo, tranne che della maggioranza dei grandi elettori del Palazzo pallonaro. Si è pronunciata perfino la Comunità Europea, mentre la FIFA ha inviato una lettera in via Allegri chiedendo ufficialmente l'apertura di una indagine sulle parole pronunciate dal suddetto (Opti pobà e dintorni...). La FIFA è l'organismo che governa il calcio planetario: sarebbe come se contro un sindaco di una città italiana, colto in fallo per qualsivoglia motivo, prendessero posizione il Presidente della Repubblica e/o il Presidente del Consiglio. In un "Paese normale" (espressione abusata, ma mai come in questo caso calzante a pennello) tale primo cittadino dovrebbe togliere le tende nel giro di poche ore, al massimo pochi giorni; allo stesso modo, in un calcio normale, il Tavecchio dovrebbe prendere atto delle (giustificate) perplessità della Federazione internazionale, nonché dell'insostenibilità della propria posizione, e farsi da parte. IL PAESE NORMALE - In un Paese e in un calcio normale, già: ma la normalità, l'Italia e il suo pallone, l'hanno persa di vista da tempo. Tavecchio viene "messo sotto osservazione" da parte dell'ente a cui un domani, se diventasse gran capo della FIGC, dovrà far riferimento e rendere conto, ma lui continua imperterrito per la sua strada, e la grande maggioranza dei presidenti di A lo segue in questa folle avventura. Nulla di strano, in fondo: dinamiche viste e riviste nel triste Parlamento nostrano. L'impazzimento di questa sventurata nazione è ormai fuori controllo: e, si badi, non sto parlando di moralità, ché lezioni di questo genere non mi sento in grado di darne a chicchessia, ma di una banale questione di opportunità; diciamo addirittura, usando un parolone, di senso delle istituzioni. Basterebbe anche solo il problema della "forma", pur se potrebbe sembrare un esercizio di vuota ipocrisia: però chi aspira ad occupare un ruolo politico (sì, politico) di primissimo piano deve avere quantomeno la capacità di esprimersi in maniera appropriata, pesando le parole e i concetti, contando fino a dieci prima di profferire frasi infelici, manifestando una sensibilità superiore a quella della "gente comune". Dovrebbero essere le basi del mestiere, di un mestiere in cui spesso la forma è anche sostanza. MENTALITA' - Ma ovviamente c'è di più: ripeto, nessuna lezioncina morale, ma semplicemente la constatazione di un modo di parlare e di pensare vecchio (nel senso deteriore del termine), che poteva essere tollerato al massimo fino agli anni Settanta, quando nessuno trovava sconveniente che fin dalle scuole elementari certi bambini usassero termini come "handicappato" o "gay" a guisa di insulto: modi di approcciarsi alla realtà che oggi andrebbero considerati fuori dal mondo e dal tempo. La nostra civiltà aspira all'eguaglianza, al superamento di ogni tipo di discriminazione, e lo sport dovrebbe essere il più convinto portabandiera di questa istanza. E chi, da domani, sarà chiamato a guidare il più seguito, il più popolare degli sport, dovrà avere una forma mentis più aperta e contemporanea, ciò che non mi pare traspaia dal già celeberrimo discorso di Tavecchio, che fornisce la chiave di lettura più superficiale e odiosa a un problema indubbiamente esistente, quello dell'importazione selvaggia di calciatori stranieri di modesto livello che hanno finito per riempire anche i nostri vivai. PROGRAMMI - Il ricambio ai vertici federali, in una gravissima fase congiunturale che ha portato a un brusco ridimensionamento dell'italico football, rappresenta un problema serio e delicatissimo, tale da non poter tollerare certi incidenti di percorso. Sarebbe piuttosto necessario parlare di programmi, quello del presidente della Lega Dilettanti e quello del suo competitor, Demetrio Albertini. I punti cardine, generici come in ogni manifesto elettorale che si rispetti, accomunano i due rivali: riforma e snellimento dei campionati professionistici e valorizzazione dei virgulti dei nostri settori giovanili. Entrambi puntano su un rilancio in grande stile del Settore tecnico di Coverciano, Tavecchio vagheggia le Academy in stile francese e tedesco, mentre l'ex centrocampista di Milan e Nazionale spinge per l'istituzione delle squadre B (modello spagnolo) e sulla presenza di almeno dieci ragazzi del vivaio nelle rose delle prime squadre. I progetti di Tavecchio non sembrano, dunque, tanto più arditi, convincenti e articolati di quelli dell'ex vicepresidente federale, certo non al punto di giustificare la massa di voti che sembra dover convergere sul candidato nell'occhio del ciclone: ma la sensazione è che tutto questo conti, e conterà, ben poco. La questione è eminentemente politica, i soliti intrecci di appoggi e di alleanze che da decenni zavorrano le nostre istituzioni, non solo quelle sportive, portando a un eterno immobilismo. CLASSE DIRIGENTE DA PENSIONARE - E' perfino inutile soffermarsi troppo sul presunto "curriculum" di Tavecchio, sui suoi precedenti... inciampi con la giustizia elencati minuziosamente in un recente articolo del Fatto Quotidiano: l'interessato ha inviato una lettera di smentita e precisazioni al direttore del giornale Padellaro, missiva che linko qui affinché ognuno possa farsi la propria idea. Il problema di fondo è che si tratta comunque di un personaggio fin troppo discusso, mentre il calcio italiano avrebbe bisogno di uomini (e donne) dal passato e dal presente immacolati, senza comportamenti o atti ufficiali che possano anche solo dare adito a sospetti, che possano minarne la solidità politica. Uno come Albertini? Può essere, comunque sempre meglio del suo rivale, esponente esemplare della classe dirigente italiana cristallizzatasi nell'ultimo trentennio, una classe dirigente da pensionare ma che in pensione non ci va mai, impermeabile a ogni tempesta, attaccata a ogni poltrona e a ogni candidatura, che non molla la presa nemmeno di fronte agli infortuni più clamorosi, nemmeno davanti alle pubbliche perplessità e riserve manifestate da chi sta più in alto. E già, perché la citata lettera della FIFA non è una mera operazione di facciata: potrebbe comportare, in caso di "ascesa" di Tavecchio al più alto scranno di via Allegri, ulteriore perdita di credibilità e di peso internazionale del nostro movimento calcistico, perché il dirigente LND entrerebbe nel massimo consesso con un notevole handicap di partenza: con quale autorevolezza potrebbe poi difendere i nostri interessi?
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