a cura di Bruce Wayne
La vita, a volte, tira brutti scherzi. E dico “scherzi” in senso proprio, direi tecnico, perché quel che ti sbatte addosso non sembra casuale, ma frutto di una misteriosa scelta del destino.
Abebe Bikila, per dire. Vinse la Maratona alle Olimpiadi del 1960 quando nessuno se l’aspettava. E la vinse a Roma, e cioè nella capitale dello Stato che, venticinque anni prima, aveva detronizzato l’imperatore etiope Hailé Selassié, del quale lui era stato guardia del corpo. E poi vinse nuovamente quattro anni dopo a Tokio – malgrado si fosse preparato poco e male alla competizione a causa di un’operazione di appendicite –, e cioè nella capitale del principale alleato di Italia e Germania durante la Seconda Guerra Mondiale.
Non sarà stato un caso, insomma, se il suo nome è stato spesso associato alla liberazione dell’Africa dal dominio coloniale delle potenze occidentali. E non sarà un caso se John Schlesinger, nel 1976, decise di girare “Il maratoneta” (con Dustin Hoffman) mostrando a più riprese le immagini di quell’abissino scalzo che tagliava il traguardo allo stadio Olimpico di Roma.
Ma sarà un caso se nel 1969 furono proprio le gambe a dirgli addio? Non lo sappiamo, e forse è meglio non saperlo. Quel che possiamo dire è che l’incidente automobilistico avuto ad Addis Abeba gli impedì di continuare a fare il maratoneta, ma non gli impedì di continuare a praticare attività sportive. Ancora nel 1972, un anno prima di andarsene a causa di un’emorragia cerebrale, Abebe Bikila partecipava alle paralimpiadi di Heidelberg.