Apprendo ora dall’amica Rita Ciatti che «Pierpaolo Farina, l’autore dell’articolo in Qualcosa di… sinistra in cui confonde un’azione di disubbidienza civile con un attacco terroristico, scrive sulla sua bacheca: “È ora che la politica cominci a prendere sul serio e a reprimere, con la forza se è necessario, il nuovo brigatismo animalista di matrice clericale”».
La cosa è interessante, per svariati motivi. Vediamoli (non era la mia massima aspirazione, di prima mattina, ma come dico sempre il lavoro sporco qualcuno lo deve pur fare).
1) «È ora che la politica cominci a prendere sul serio…»: lo sta già facendo, poiché mai come nell’ultima campagna elettorale si sono viste tante strizzate d’occhio al mondo animalista — foto con pet che hanno sostituito le tradizionali foto con bambini, punti programmatici sul benessere animale variamente inteso (per esempio Rivoluzione civile di Ingroia, che poi ha scordato di averlo scritto e sostiene la candidatura del vivisettore Ignazio Marino a sindaco di Roma), pronunciamenti di vario genere sul trasporto di animali da macello (certo, la vivisezione e la caccia non si toccano perché sono lobby potenti e foriere di voti)… Segno che la “politica” ha capito che la galassia animalista si compone non soltanto di banditi e guerriglieri ma anche di cittadini normali che pretendono il libero esercizio del diritto/dovere di voto, esigendo al contempo l’attenzione degli schieramenti in gioco: e conseguentemente guarda a questi potenziali elettori con l’interesse ipocrita del bottegaio che deve piazzare la sua mercanzia — però li guarda.
2) «È ora che la politica cominci (…) a reprimere, con la forza se è necessario». Farina, qui, invoca la repressione dell’avversario da parte di un soggetto ambiguamente indicato: messo così come dice lui, il suggerimento sembrerebbe quello della criminalizzazione ideologica dell’avversario, e/o quello di un intervento diretto dello Stato — giacché una repressione dall’alto che sia manifestazione di forza giusta e non di arbitrio violento non può che essere quella di governo, che definisce ciò che è reato (potere legislativo), impedisce che venga commesso (potere esecutivo) e da ultimo punisce i trasgressori (potere giudiziario).
Ho detto altrove che vengo da un’altra epoca: non è un artificio retorico, è un fatto anagrafico. La mia epoca era quella in cui, a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta del XX secolo, “destra” e “sinistra” alternativamente invocavano la repressione dello Stato contro l’avversario, e il medesimo Stato veniva alternativamente contestato come “antifascista” o “fascista”. Mi fermo qui, perché il discorso è lungo e i nervi scoperti: ma era tanto per ricordare l’immutabile relatività delle umane vicende, e per richiamare l’attenzione sul fatto che, sollecitando una repressione dall’alto, diventa inevitabile attribuire ai reprimendi una collocazione ideologica universalmente sgradita, pena un consenso parziale dell’opinione pubblica. Allora, questa collocazione?
3) «il nuovo brigatismo animalista di matrice clericale». Eccola, la collocazione, secondo Farina. Noto intanto che parla di “brigatismo” anziché di “squadrismo”: riconosciamogli quest’originalità.
Quello che mi lascia perplessa, invece, è la “matrice clericale”. Perché “clericale” indica, senza possibilità di equivoco, l’appartenenza: i) al clero inteso come complesso delle persone che appartengono all’ordine sacerdotale di una religione o di una Chiesa; ii) allo schieramento dei cattolici laici che dopo la breccia di Porta Pia nel 1870 affiancarono la Santa Sede nella protesta contro lo Stato italiano; oggi il termine è usato per definire i più ferventi sostenitori del potere della Chiesa.
Ma, come dimostra bene Luigi Lombardi Vallauri nel suo esemplare Nera luce. Saggio su cattolicesimo e apofatismo (Le Lettere, Firenze 2001), tradizionalmente «Lungo i secoli e quasi fino ad oggi, [la Chiesa] è rimasta indifferente ai massacri e alle sevizie degli esseri senzienti non umani» (p. 138), e «La cristianità è massicciamente vivisettrice e carnivora» (p. 148, nota 4). Dunque sembra che possiamo escludere aprioristicamente un orientamento filocattolico degli “animalisti” — cosa del resto verificabile empiricamente e senza bisogno di scomodare illustri pensatori.
Allora non resta che pensare all’accezione metaforica del termine “clericale”, e supporre che Farina abbia inteso alludere al fanatismo dogmatico degli “animalisti”. Ma se c’è un ambito laico in cui, oggi, è possibile ritrovare accenti di fanatismo dogmatico, quello è proprio l’ambito della ricerca scientifica: in cui il dogma dell’imprescindibile necessità della sperimentazione animale non può essere messo in discussione, costituisce l’assioma per eccellenza su cui si fonda l’edificio mentale del ricercatore, viene celebrato con quotidiani sacrifici nei laboratori di tutto il mondo e se ne pretende la tutela con mezzi coercitivi.
4) Last but not least, il grido di dolore di Farina sembra ricalcato sulle relazioni di Vittorfranco Pisano e di Gianluca Ansalone, apparse rispettivamente nel 2001 e 2011 su “Gnosis. Rivista italiana di intelligence”. Sembra, insomma, un richiamo forte alla necessità di tutelare lo stato delle cose, senza lasciare sbocchi alla possibilità di provare a modificare una situazione iniqua. Il che, vado a naso, mi sembra confliggere alquanto con la visione del mondo tradizionalmente attribuita alla “sinistra” — non credo di dovermi dilungare nei dettagli: più o meno l’ho già fatto qui.
Ognuno tragga le conclusioni che vuole e che crede. Quanto a me, il fatto di essere — ancora una volta — dalla parte di una minoranza passibile di repressione mi conferma la fedeltà a me stessa: e tanto mi basta per esserci e andare avanti. Andare oltre.