Magazine Diario personale
Mi piace pensare all’umana specie (sì, si scrive con la i) come un’eterogenea quanto originale miscela di diarrea e sterco solido, contaminata da qualche eccezione, tuttavia rarissima, non ancora in via di putrefazione. Se nutrite qualche dubbio riguardo alla vostra appartenenza alla categoria fecale o, viceversa, umanoide, quello che vi consiglio è di porvi in tranquillità di fronte ad un ampio specchio e di confrontare ciò che vedete con questa illuminante tabella. (Sappiate che nel caso vi identificaste appieno nella quarta categoria, avreste tutta la mia stima in quanto residui organici facili alla defecazione). Ma non era di questo che volevo parlare. Sì, ecco, l’umanità come una miscela di feci e rare ‘perle’. Entrambe le tipologie di persone sono però accumunate dalla Schifezza. La Schifezza, oltre ad essere il titolo del mio nuovo lungometraggio che sarà premiato stanotte con trentordici statuette, è anche e soprattutto un vero e proprio grumo di materia, tangibile, all’interno di chiunque. La Schifezza è incolore, inodore, informe e tanti altri squisiti aggettivi che iniziano con in-. La Schifezza è peculiare per ciascuno, però, tuttavia sia presente in tutti, nessuno ne parla con nessuno. La Schifezza è motivo di vergogna e di auto-ribrezzo, sia perché molti pensano di essere gli unici fortunati possessori della Schifezza, sia perché defecarla in pubblico, diciamolo, non è decisamente un esempio di eleganza. La Schifezza, inoltre, non sublima unicamente una cosa, un fatto; è piuttosto uno stato mentale, identificabile comunemente dai più con i sostantivi ‘vita’ o, più correttamente, ‘esistenza’.