di Alfonso Nannariello
Non so se mamma, per la sua paura, con mezzo limone e foglie di gelso e fico, si facesse cose per non restare incinta.
Non so con quale formula fu sciolta al parto, anche se a un altro dopo me non diede nome e neanche un corpo intero. Si fece, infatti, aiutare ra na cummàra1 ad abortire ancora.
Ma poi viene una voglia che ti piglia e si ritorce dentro ogni pensiero. Una voglia che non sai da dove viene, ma quando viene piglia.
Per mamma stesso fu un mistero la voglia che le venne di una figlia.
Chissà dove e quando l’aveva vista la bambina che le aveva invaso gli occhi e le era diventata voglia. Probabilmente aveva visto sé come sua stessa figlia per dare alla figlia che lei un tempo era la forma della mamma che voleva.
Mamma una figlia la volle proprio davvero. E, per abbassare l’attenzione di mio padre, gli disse d’essere incinta, senza che fosse vero.
I morti sono semi. Sarà per questo che sentono le cose e fermentano la vita dal di sotto.
Rosanna fu concepita nel loro mese, e nacque in piena vita, all’inizio dell’estate del ‘58.
1)Ra na cummàra, «da una comare». Comare è la madrina. Da noi indicava anche la moglie di uno che faceva da padrino. Tutti i membri delle due famiglie partecipavano all’unico madrinato o padrinato, e si chiamavano compari.
Figuratamente, cummàra indicava l’amante donna, cumpàr l’amante maschio. Nel testo, come è evidente, il termine ha il suo significato naturale.