Anna Lombroso per il Simplicissimus
Denis Verdini, intervistato sul misterioso “pizzino” nel quale sarebbero stilati i comandamenti scellerati del patto del Nazareno, risponde tracotante all’affronto: io non ho l’abitudine di scrivere. Sarà per rammentare i tempi nei quali tra gentiluomini bastava una franca stretta di mano? Sarà perché di certi contratti è meglio che resti solo la memoria orale e possibilmente niente testimoni? Non sarà anche che ormai si registra un esultante ritorno ai tempi di prima dell’alfabetizzazione, una promozione dell’egemonia della altera e prepotente ignoranza, sancita dal fastidio per soloni, professori, saggi , esperti, compresi quelli incaricati per dar ragione ai potenti e rimossi appena mostrano qualche flebile manifestazione di indipendenza e una allarmante indole al pensiero?
Anche senza aderire alle sgangherate e insolenti esternazioni del ministro che pretendeva di andare alla buvette a farsi fare un panino infarcito di divina commedia, è ormai prassi consolidata la ragionevole e realistica derisione della cultura e della conoscenza come fatica e fardello non solo inutili, ma controproducenti, a discapito di ben altre virtù e qualità: ambizione, decisione, tenacia, attivismo, dinamismo, pragmatismo e flessibilità, capacità di adattamento ai desiderata di altri – temporaneamente più in alto, ma che un po’ alla volta si potrebbe essere destinati a sostituire. Così pensatori, filosofi, moralisti sono graditi si, ma solo se sono molto morti, e da tempo, mai letti ma assai citati, conosciuti di seconda mano grazie a operosi ghost writher assidui conoscitori di risvolti di copertina, utili perché nello spirito del tempo adatto all’oblio e a una festosa superficialità, il loro pensiero e le loro idee possono essere ridotte a aforismi su Facebook, tweet, citazioni in campagna elettorale o, meglio ancora, provvidenzialmente manomessi, adattatati, manipolati secondo bisogno, da La Pira a Che Guevara, da Berlinguer a Gramsci, il cui giornale è affidato alle cure postume del dottor Bisignani, che dall’immarcescibile piccola Atene rassicura che una banca lo salverà.
E d’altra parte qualche giorno fa quello che a prima vista potrebbe sembrare il naturale antagonista del Verdini, quel Mineo che ha guidato la sia pur dimessa pattuglia dei dissidenti, ha magnficato i meriti dell’adattabilità, della flessibilità, della cedevolezza, qualità da proporre alle giovani generazioni in modo che la rinuncia a vocazioni, aspirazioni ed inclinazioni sia premiata da assunzioni sia pur temporanee, da ingressi, sia pure non garantiti, nel mondo del lavoro a seconda dei bisogni irrinunciabili e implacabili del mercato, dove deve vigere profitto senza ricchezza, quella del pensiero e delle idee, ricavi senza guadagno, quello della consapevolezza di sé e dei propri desideri e diritti.
Insomma pare che ci dobbiamo convincere che è obbligatorio e generoso per sé e per la collettività, essere prima di tutto manodopera e poi cittadini, merce più che uomini. E mobili, in modo da poter essere spostati in modo conforme e tempestivo ai comandi di padronati che intimano da centri direzionali collocati in alti palazzi di cristallo dove si specchia questa crudele modernità.
È per corrispondere a questa ideologia, quella che ha preso il posto di tutte le altre e soprattutto di quelle che parlavano di riscatto, di lotta allo sfruttamento, di libero esprimersi di vocazioni e aspirazioni, che questo ceto di improvvisati, di ignoranti, che ha superato la convinzione di un tempo,quando si impiegava la cultura come arma di detenzione e monopolio del potere, il sapere come fortezza inattaccabile a difesa di privilegi, sta agendo con ls demolizione degli studi umanistici ed artistici a favore di abilità tecniche e conoscenze pratico-scientifiche, per forgiare scuola, formazione, istruzione proprio come hanno fatto i paesi egemoni dell’Occidente in declino, che pure hanno saputo colonizzare anche il nostro immaginario, corrispondendo all’imperativo della crescita economica e delle logiche contabili a breve termine. E così mentre il mondo si fa più sempre più complesso, gli strumenti per capirlo si fanno più poveri e semplici; mentre l’innovazione chiede intelligenze aperte e creative, l’istruzione dovrebbe ripiegarsi su poche nozioni stereotipate, impoverendo indole, qualità, attitudini, predisposizioni e desideri. In modo da avvilire anche quello di felicità alla quale ci è negato il diritto, proprio come se fosse stato scritto in quella Costituzione che è diventato necessario accartocciare e gettar via, come un attentato, come un pericolo, quello di nutrire l’istinto alla libertà.