Ricordo un celebre film dal titolo Quarto Potere, la storia di un magnate che acquista un giornale, l'Inquirer, fino a farlo diventare "un impero che dominava un impero", sottinteso un impero della stampa che dominava l'impero degli imperi, quello americano. Anche se il titolo originale del film non richiamava espressamente il potere della carta stampata, senza dubbio il riferimento era al genere di influenza che l'editoria può ottenere nei confronti della società. Quarto potere è quello che viene, per estensione, dietro la tripartizione classica dei poteri dello Stato: legislativo, esecutivo e giudiziario. Ora, senza pretendere per questo genere di attività umana (il giornalismo) lo status di potere vero e proprio è sufficiente però annettergli il ruolo di cane da guardia della democrazia, nel senso di agire da controllore degli altri tre poteri, di fare da mediatore tra istituzioni e opinione pubblica, senza lasciare che i cittadini ascoltino solo la voce istituzionale, che alle volte può essere edulcorata. Fatta questa veloce premessa, e posto come condizione essenziale che sono gli oggetti stessi da controllare che hanno bisogno di essere controllati, perchè il potere ammalia e sconvolge i buoni sentimenti, ci si aspetta come minimo che questi cosiddetti mastini della democrazia, questi segugi dell'inciucio, questi scopritori di magagne siano, come minimo, onesti nei confronti di coloro che rappresentano il punto di riferimento del loro operare, i cittadini-lettori, perchè la verità è un bene in se stessa.
D'accordo, sto scoprendo l'acqua calda. Tutto quello che ho descritto sopra è una specie di depliant illustrativo di una vendita per corrispondenza, è una fiera di banalità trabocchevoli: non esiste nessun ruolo messianico della stampa nè tanto meno di controllo, ogni giornale ha i suoi riferimenti che non sono i lettori ma l'editore e gli sponsor e, se per caso chi scrive ha in mente anche i lettori, non vuole quei pochi che apprezzano un articolo pieno di distinguo e di cautele ma mira alla gran massa che gradisce (e si aspetta?) il torbido, il pruriginoso, il morboso.Alcuni amici blogger si occupano, di tanto in tanto, di smascherare o sbugiardare qualche improvvido giornalista che si avventura nel campo minato della scienza e resta impantanato. Penso per esempio a Peppe Liberti che in uno dei suoi ultimi articoli intitolato Fermate il tempo (voglio scendere), riferisce come, oltre la pessima abitudine dei giornalisti italiani di non mettere mai i link agli articoli scientifici dei quali parlano, si instauri spesso una sorta di catena di S. Antonio di collegamenti per cui si scrive un articolo che è una specie di copia-incolla di un'agenzia che è una traduzione letterale (a volte sbagliata) di un trafiletto uscito su un giornale generalista straniero che si riferisce a un'altra fonte di un'altra nazione ancora. Con l'epica conclusione che è una novità di ormai quattro anni fa, leggermente stantia. Ma Peppe non è il solo. Anche Paolo Attivissimo si dà parecchio da fare nel pizzicare venditori di bufale e scrittori di sfondoni. Capita per esempio che (Repubblica copia dal Daily Mail. E pure male) il giornale fondato da Scalfari pubblichi fotografie riprese da un giornale inglese spacciandole per proprie e utilizzi il traduttore automatico senza nessuna revisione. Peccati veniali o gravi leggerezze arriviamo al punto: questa serie di episodi (ne ho citati solo due, ma la lista è davvero lunga) fa da prodromo a quello che vedo sul canale Youtube di Giovanni Favia, consigliere regionale in Emilia-Romagna del Movimento 5 Stelle. Favia parla di un pezzo dell'Espresso dal titolo assai espressivo: Emilia, casta a 5 Stelle Tuonava contro la commissione degli sprechi. Ma ora che è lui il presidente il grillino Giovanni Favia ci ha ripensato. E si parla di emolumenti maggiorati e altre prelibatezze per palati antipolitici o anti-antipolitici. Peccato però che, almeno secondo quanto afferma Favia stesso, con tanto di documenti però, sia tutto falso. Chi ha ragione? Se fossi l'articolista dell'Espresso e pensassi di avere ragione replicherei al video di Favia. Non si possono lanciare accuse così forti contro un movimento che si pone come alternativa alla politica attuale per poi scoprire che sono inventate o grossolanamente alterate. E se invece sono vere e si può dimostrare quello che si dice bisogna farlo, per non lasciare il dubbio dell'imboscata.
Come nota a margine di questi aneddoti narrati osservo che sarebbe stupido estendere questi comportamenti a tutti i giornalisti. Pure se quasi nessun giornalista ha la buona abitudine di mettere link non si può per questo affermare che tutti scrivono asinerie e se qualche volta capita che un articolo sia pieno di inesattezze in buona o cattiva fede, non è detto che sia la media della qualità di tutti i pezzi in giro. Certo è che non si vedono giornalisti sbracciarsi per correggere o limitare questi errori, che a volte fanno parte dei normali errori che tutti commettiamo, a meno che non si tratti di distruggere la reputazione di un collega di un giornale avverso.E la credibilità dei giornalisti? Come facciamo a sapere che quando un politico si difende strenuamente, e a noi sembra che si stia arrampicando sugli specchi, invece sta tentando di opporsi a una serie di mistificazioni?Il caso del consigliere Favia non è chiuso solo perchè il grillino porta prove alle sue affermazioni, anche se bisogna considerare che queste prove sono liberamente consultabili in rete (vedi link nel filmato). Però viene da chiedersi: su quali dati si basano le parole di Silvia Cerami, l'articolista dell'Espresso?Chiudo con un'ultima considerazione: c'è il rischio che il duello stampa-resto del mondo si riduca a un gioco delle parti e che a quello che scrivono i giornalisti finiscano per credere solo coloro che vogliono essere convinti? Se quello che uno scrive sulla carta stampata o sulla rete deve essere motivo di fede, è finita. So che, per tornare alle amare osservazioni iniziali, alla verità in campo giornalistico credono solo i gonzi, ma io voglio essere uno di quei gonzi. Non mi interessa che i giornali solletichino la mia voglia di antipolitica pubblicando delle bufale, chiedo solo la verità, per quanto sgradita. Se poi questa verità non la vorrò sapere basterà non leggere, ma immaginare che qualcuno si arroghi il diritto di decidere cosa voglio sapere, sarebbe un'evenienza che mi spingerebbe a chiedere gli altri tre poteri come contraltare a questo quarto, così troppo debordante da aver perso ogni funzione originaria.Piccolo esperimento provato in rete: recentemente su Facebook è circolata una bufala sul terremoto che ha avuto migliaia di condivisioni. Lo sbufalamento che ho pubblicato io (non opera mia) ne ha avuti meno di una decina. E' vero che nella rete c'è la notizia falsa e chi la scopre e corregge però, a volte, come fai a credere all'uno o all'altro? Molte volte è l'autorità (ciò che dice l'Espresso contro ciò che dice un politico, seppure di un movimento che si pone in alternativa alla vecchia politica), altre volte un misto di autorevolezza conquistata sul campo e autorità(i due blogger citati prima, per il loro lavoro ma anche per le loro qualifiche). Ma queste due categorie sono variabili: quando il giornalista sfida le istituzioni perde buona parte della sua autorità nei confronti di chi è equidistante ma la mantiene nei riguardi di chi ha già un proprio pensiero.La cosa che voglio osservare è che la verità paga sempre, o almeno quasi sempre, a meno di non diventare un gaffeur di professione, perchè in quel caso paga di meno.
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