Reportage: “Tra le fauci dell’orso. Geopolitica e società di un’Ucraina divisa”.
Il referendum del marzo 2014
Dal 16 marzo 2014 la geografia europea è stata ridisegnata col referendum che ha proclamato la Crimea “parte integrante della Federazione Russa”. Di prevalenza linguistica russofona, la Crimea ha votato a favore dell’annessione alla Russia di Putin con una maggioranza da record, pari al 96% degli aventi diritto al voto. Ma a quel referendum Kiev non ha mai riconosciuto alcuna legittimità, attribuendogli piuttosto il valore di un atto di forza del Cremlino.
Eppure Mosca aveva messo le mani sulla Crimea già da qualche tempo. Un paio di settimane prima delle votazioni, 16mila militari russi – in assenza di mostrine – avevano varcato il confine ucraino, prendendo il controllo della penisola allungata sul Mar Nero. La defenestrazione del presidente Yanukovich si era così dimostrata la conferma dell’acuirsi di tensioni fra gli Ucraini in piazza Maidan e il potere forte di Mosca su quel territorio conteso.
L’avanzata russa in territorio ucraino ha procurato l’insorgere di un nuovo assetto geopolitico dell’Est europeo, che attualmente ruota attorno agli sviluppi di quel fronte caldo.
Lo scoppio della guerra nell’aprile 2014
Referendum sull’indipendenza della Repubblica di Donetsk
Photocredits: Butko/wiki/CC BY-SA 3.0
Il 6 aprile 2014, a seguito della manifestazione armata di un gruppo di uomini che si sono impadroniti – con la forza – di alcuni palazzi governativi nelle città di Donetsk, Lugansk e Kharkiv, si è dichiarato l’inizio effettivo della guerra nell’Ucraina orientale. E proprio da quel giorno si sono proclamate indipendenti: prima la Repubblica Popolare di Donetsk, poi la Repubblica Popolare di Lugansk, quest’ultima il 27 aprile 2014. Una guerra tra “fratelli” con prospettive politiche differenti. I governativi a favore di un’Ucraina unita, sotto l’egida di Kiev; i separatisti filorussi a favore dell’indipendenza e della successiva annessione alla Russia di Putin.
Un conflitto militare che ha visto la progressiva espansione territoriale del controllo separatista nelle città di Sloviansk, Kramatorsk, Horlivka e Mariupol, con la “strage del mercato” – il 24 gennaio 2015 – quando persero la vita 27 civili sotto i colpi dell’artiglieria filorussa. Ma è con l’Accordo di Minsk del 5 settembre 2014, che si fa spazio un debole barlume di tregua in Ucraina orientale. Un cessate il fuoco che, tuttavia, già 48 ore dopo evidenzia profonde fratture: nella giornata del 7 settembre l’aeroporto di Donetsk verrà preso d’assalto dall’artiglieria pesante. Un susseguirsi di eventi politici e militari che hanno incrinato notevolmente l’economia interna dell’Ucraina e destabilizzato – a un anno dal referendum del marzo 2014 – il comparto economico russo.
La Crimea: terra strategica e di confine
La geopolitica della Crimea non è certamente un dettaglio della modernità, o almeno degli ultimi anni di storia. Si parlò per la prima volta di Crimea nel lontano 1783, quando Caterina II di Russia (1762-1796) decise di annettere la penisola al vasto impero zarista. Fu la scintilla che portò nuovamente in auge la guerra russo-turca: un conflitto che iniziò nel 1787 e si concluse col Trattato di Iasi del 1792. Per più di centosettant’anni non si parlò quasi più di Crimea, tranne che per gli assedi di Sebastopoli del 1854-1855 e del 1941-1942. Si tornò poi a ragionare sulla portata strategica di quel “lenzuolo di terra” nel 1954, quando il presidente dell’Unione Sovietica, Nikita Kruscev (1953-1964), di origini ucraine, decise di donarlo al governo di Kiev.
Ma è forse Sebastopoli, con tutto il suo “detto e non detto”, l’autentico perno dell’attuale guerra in Ucraina orientale. Quell’accordo d’affitto concesso da Kiev a Mosca fino al 2042 per ospitare la base militare russa in territorio ucraino. La Russia comprese bene da subito il significato strategico di una base militare alle porte del Mar Mediterraneo, un significato che avrebbe di conseguenza ridisegnato daccapo gli assetti geopolitici di quel territorio. Un approdo militare nel Mar Nero a poche bracciate dal bacino mediterraneo, alle spalle della penisola balcanica e ponte per il Medio Oriente. La Crimea è così divenuta il gioiello per il quale combattere, la vera giustificazione di un nuovo conflitto, l’avamposto sulla polveriera del Caucaso.
La zavorra dell’economia russa
Il potere forte della Russia, l’annessione a tutti i costi della Crimea e il referendum “illegittimo” del marzo 2014, sono stati il detonatore della risposta europea. Le numerose sanzioni economiche sopraggiunte al Cremlino hanno progressivamente rallentato l’economia dell’impero di Mosca. La geopolitica espansionistica a favore della Crimea ha così subito gli urti di una geopolitica interna, segnata dal deprezzamento del rublo – che ha toccato il suo minimo storico il 16 dicembre scorso, con 79 rubli per un dollaro americano – e dal crollo del prezzo del petrolio. Un binomio di fattori che ha procurato una battuta d’arresto per il comparto economico di Mosca. Le mire espansionistiche di Putin hanno determinato l’aumento dell’inflazione in Russia, con un aumento del 42,5% dei prezzi al consumatore.
La Crimea come terra isolata
E intanto Kiev ha tagliato le forniture idriche in Crimea, con conseguenti danni all’agricoltura. La Crimea è stata letteralmente isolata, mentre i collegamenti ferroviari sono stati tagliati con la capitale. Il processo di annessione della penisola ha, dunque, in questo caso favorito il commercio con la Russia, dalla quale giungono i beni di consumo attraverso lo Stretto di Kerch. L’isolamento della Crimea è stato successivamente letto nei termini di una via maestra per nuovi scontri ora di natura locale.Nils Muižnieks, commissario per i Diritti umani del Consiglio d’Europa, ha fatto notare come le tensioni con l’etnia tatara si siano nuovamente accese.
Il teatro di Putin tra affari interni e manie di potere
L’annessione della Crimea non è uno scherzo. Vi sarebbe un piano concreto di riassetto dell’Europa orientale. E poco importa se il Vecchio continente dovesse ripiombare in una seconda Guerra Fredda. In un documentario recente dal titolo “Crimea, ritorno alla madrepatria”, Putin ha affermato di vedere nell’annessione della Crimea il futuro di quella porzione d’Europa. Il progetto sarebbe nato la mattina del 23 febbraio 2014, e pur di portarlo a compimento il presidente russo si sarebbe detto disposto a mettere in allerta l’arsenale nucleare, così da garantire i risultati del referendum del marzo 2014. Un’ennesima prova di forza che mostra il bisogno di proteggere la Crimea dalle attenzioni degli altri Paesi europei.
Le parole di Putin sono benzina per l’opinione pubblica nell’ex Unione Sovietica. La promessa della Crimea mette a tacere le turbolenze economiche del Paese e i dissapori col resto dell’Europa. Una diplomazia – quella del presidente russo – capace di omologare il consenso popolare. Nemmeno l’uccisione dello storico oppositore politico, Boris Nemtsov, avrebbe – secondo i sondaggi – messo a dura prova l’interesse del popolo russo per il suo presidente. Il consenso avrebbe addirittura superato l’86%. Ancora nulla rispetto al 100% che si registrerebbe in Crimea, secondo le affermazioni del primo ministro Sergei Aksyonov. All’interno di questo panorama politico, la Crimea si identifica dunque – con tutto il carico di ambiguità che si deve all’espressione – l’autentica “figlia contesa” fra Russia e Ucraina: la creatura che tutti vorrebbero pur di sentirsi padroni.
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