John-Maynard-Keynes
Nel clima di incertezza generato dalla crisi, oggi si va alla ricerca di spiegazioni alternative per la crescita dei paesi avanzati. Anna Carabelli e Mario Cedrini fanno questo tentativo attraverso l’analisi delle posizioni di John Maynard Keynes sul sistema monetario internazionale che scaturisce dagli accordi di Bretton Woods del 1944[1].
Quegli accordi, decisi in gran parte dagli Stati Uniti, accompagnarono l’espansione economica mondiale degli anni Cinquanta-Sessanta. Ma già agli inizi degli anni Settanta essi furono profondamente riformati. Cambiò radicalmente l’orientamento delle istituzioni nate per accompagnare la ricostruzione e la crescita: la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale.
Gli autori mettono in evidenza che, per la costruzione del nuovo sistema finanziario internazionale, la proposta di Keynes rimase sostanzialmente inascoltata. Quindi propongono di guardare nuovamente a quella impostazione per trovare una via d’uscita ai problemi attuali della crescita; in un’ottica, diciamo oggi, di globalizzazione dei mercati.
Keynes proponeva la creazione di un meccanismo di stabilizzazione del commercio internazionale attraverso una contabilità di crediti e debiti che non prevedeva un reale spostamento di valute fra paesi. I vantaggi di questo sistema risiedevano nel fatto che le politiche commerciali aggressive che risultavano in ampi surplus di bilancia commerciale non avrebbero portato ad un effettivo aumento del flusso di valute; e dunque non ci sarebbe stato l’incentivo alla proliferazione delle politiche protezionistiche[2]. Dalla crisi degli anni Trenta e dalle politiche protezionistiche sarebbe infatti derivata l’instabilità economica e politica del periodo prebellico.
In altri termini, nella visione di Keynes, la costruzione di un sistema finanziario stabile e le politiche per favorire il pieno impiego costituiscono l’unico baluardo contro il ripetersi delle crisi economiche che conducono all’instabilità e alla guerra.
Trasporre l’orientamento di Keynes ai nostri giorni sembra un’operazione più difficile. Del contesto economico internazionale degli anni Quaranta non è rimasto nulla. I flussi commerciali fra paesi sono una frazione molto piccola rispetto ai flussi di capitali; il gold standard è stato soppiantato da un sistema di cambi flessibili; la decolonizzazione e la nascita delle grandi economie emergenti hanno radicalmente trasformato le stesse categorie di paesi avanzati e paesi in via di sviluppo.
Gli stessi autori lo dicono in premessa: gli accordi di Bretton Woods derivano da una confluenza di eventi irripetibile; e dunque pensare di costruire un nuovo sistema di rapporti internazionali su quelle basi sarebbe impossibile. Tuttavia essi pensano che il contributo di Keynes alla definizione di quel sistema abbia un valore, al di là del tempo. Però, per far emergere e vedere finalmente applicata la visione di Keynes, occorrerebbe un momento di riflessione a livello internazionale, un luogo di confronto ed un tavolo di coordinamento fra paesi che, al momento, non sembrano avere nessuna intenzione di stabilire nuove regole per il sistema economico e finanziario internazionale. Il problema è che questo processo di coordinamento è perfino assente dall’Unione Monetaria Europea; dal momento che le politiche indipendenti della Banca Centrale non hanno una corrispondente azione coordinata sulle politiche fiscali e commerciali.
Se un’altra Bretton Woods sembra irrealizzabile a livello planetario, è in Europa che potrebbe essere applicata la visione di Keynes. Purtroppo, se si guarda alle politiche per ridurre la disoccupazione, la priorità del pieno impiego non è mai stata nell’agenda dell’Europa. Anche il recente piano per favorire la crescita nell’Eurozona, varato dal presidente della Commissione Europea Jean Claude Junker, non va nella direzione indicata da Keynes[3]. Per l’Europa, come per la teoria economica mainstream, resta prioritario il momento della produzione. I posti di lavoro e l’aumento del reddito sono solo una desiderabile conseguenza dei processi di crescita. Non era così per Keynes e su questo punto ci sarebbe davvero bisogno di una nuova rivoluzione keynesiana.
In conclusione, il merito del lavoro di Carabelli e Cedrini è quello di leggere sullo stesso piano processi che spesso sono analizzati in momenti separati. I processi di globalizzazione, la crisi economica e le risposte politiche, il ruolo e l’orientamento delle organizzazioni internazionali formalmente disegnate per favorire i processi di sviluppo (Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale e Organizzazione del Commercio Estero) e, non da ultimo, lo spazio di manovra assegnato alle singole economie nazionali nel contesto di recessione. È soltanto avendo in mente questo quadro di riferimento così complesso che si può pensare di ridefinire le regole di un sistema economico e finanziario da troppo tempo, come sottolineano gli autori, in balìa del disordine.
Parole chiave:
[1] A. Carabelli, M. Cedrini, Secondo Keynes. Il disordine del neoliberismo e le speranze di una nuova Bretton Woods, Roma, Castelvecchi, 2014.
[2] Occorre però notare che spesso i due autori confondono e sovrappongono i concetti di protezionismo e mercantilismo. Infatti da questo risulta che Keynes sarebbe contro il protezionismo ma stranamente a favore del mercantilismo.
[3] A proposito del Piano Junker si veda Franco Debenedetti su http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2014-12-23/i-veri-numeri-piano-juncker-063903.shtml?uuid=ABOnohUC.