La crisi di El Correo de Andalucia, venduto per un euro. Il giornalismo spagnolo salvato dalla Rete?
Da Rottasudovest
Per cinque giorni El Correo de Andalucia non sarà in edicola,
a causa di uno sciopero dei suoi dipendenti, che temono per il futuro della testata.
E' il quotidiano più antico di Siviglia, fondato nel 1898, ed è uno dei più
antichi di Spagna, insieme al galiziano Faro de Vigo (1853), il catalano La
Vanguardia (1881) e al madrileno ABC (1903).
Fondato dall'arcivescovo di Siviglia, Marcelo Spinola, è passato poi
nell'orbita socialista all'inizio degli anni '80, quando il PSOE ha conquistato
il governo dell'Andalusia. Nel 2008 è finito nelle mani dell'imprenditore
Alfonso Gallardo e, dopo i licenziamenti degli ultimi anni, da un paio di mesi
i dipendenti non ricevono lo stipendio. La goccia che ha fatto traboccare il
vaso, però, è stata la sua vendita, senza preavviso, al gruppo Abra Invest, per
un euro. E la cosa ancora peggiore è che Abra Invest ha scelto come
amministratore delegato Diego Castrejón, un giornalista finito in carcere anche
per truffa. Gallardo ha cercato di tranquillizzare gli animi, assicurando che
Castrejón non ha niente a che vedere con la vendita del quotidiano, ma la
preoccupazione dei lavoratori non è diminuita. Lunedì, in plaza Nueva, davanti
al Municipio di Siviglia, si sono concentrati i dipendenti di El Correo de
Andalucia e centinaia di simpatizzanti. La città non può permettersi di perdere
la sua unica voce progressista, 53 famiglie non possono perdere la loro fonte
di reddito, il diritto all'informazione degli spagnoli non può permettersi la
perdita di un'altra testata.
Anche se il quotidiano non esce in edicola, i giornalisti sono in redazione,
per mantenere aggiornata la pagina web, elcorreoweb.es, e per preparare un'edizione speciale che racconterà la storia della testata e che uscirà domani. Su Twitter
si moltiplicano le manifestazioni di solidarietà al #Correoenlucha (il Correo
in lotta); sia il presidente della Junta de Andalucia Susana Diaz che l'arcivescovo Juan José Arsenjo Pelegrina hanno manifestato il loro sostegno ai lavoratori del quotidiano e alle iniziative per superare la crisi. Mentre in Spagna si assiste preoccupati alla lenta agonia
dell'informazione e del diritto all'informazione.
In questi giorni si sono concentrati eventi tra loro diversi, ma che hanno come
fondo comune l'informazione nel Paese. El Mundo, che deve sopravvivere al suo
debito e che da mesi sta cercando di rendere allettante Orbyt, la sua
piattaforma a pagamento, ha lanciato il suo nuovo sito web, che risulta,
effettivamente, piuttosto gradevole al primo impatto. Riuscirà Pedro J Ramirez
nell'impresa disperata di salvare il proprio quotidiano dalla rovina? Lui ci
crede profondamente e crede che il futuro sia il web. Ma a pagamento.
Sempre un paio di giorni fa, La Razón, il più monarchico e conservatore dei
quotidiani della destra spagnola, ha riunito ricchi e potenti di ogni settore della società per celebrare i suoi 15 anni: c'erano anche i Principi
delle Asturie, impegnatissimi a lanciare la loro nuova immagine di futuri
sovrani sorridenti e felici di mescolarsi alla folla; la cosa che più ha colpito
è che il giorno dopo tutte le riviste riportavano il saluto di Letizia alla star
televisiva Belén Esteban, soprannominata la 'principessa del popolo' da
TeleCinco; l'incontro delle due principesse di Spagna, nessuno ha potuto
resistere al titolo e questo dimostra, lamentano un po' tutti, il livello
dell'informazione nel Paese.
Oggi il presidente della Comunitat Valenciana Alberto Fabra ha annunciato la
chiusura della tv pubblica regionale Canal 9: dopo gli anni di sprechi e di
gestione micidiale del PP, compresa anche la manipolazione informativa
denunciata oggi dai giornalisti che vi presero parte, mancano i soldi per
continuare a finanziarla e il Governo nazionale non intende darli alla regione.
"Preferisco chiudere la tv piuttosto che un ospedale" ha detto il
presidente, cercando simpatie, mentre i dipendenti di Canal 9 sono comprensibilmente in agitazione.
Sono tutti eventi distanti tra di loro, ma con un fondo comune: la crisi
dell'informazione in Spagna. Testate che chiudono o cercano di rilanciarsi,
quotidiani che si celebrano, finendo per offrire come notizia principale la più
frivola che si possa immaginare, per sottolineare la decadenza del livello
informativo. In questi anni di crisi hanno chiuso decine di testate e
sono rimasti a casa migliaia di giornalisti. Dopo quella degli architetti, si
potrebbe dire che la categoria più in crisi è quella dei giornalisti: 6500
disoccupati, 10mila se si contano i giovani laureati che non trovano poi
lavoro.
Su eldiario.es c'è un'interessante analisi di questa crisi e ci si chiede se sarà
alla fine il web a salvare il giornalismo spagnolo. Il web che è stato tanto
disprezzato in passato, adesso accusato del crollo dei profitti, perché ha abituato
i lettori all'informazione gratuita, e che sta dando casa a nuove testate, che, con
stipendi più consoni a questi tempi, sta difendendo il diritto all'informazione
indipendente. eldiario.es si
chiede se in Spagna non succederà prima o poi come negli Stati Uniti, dove sono i
milionari del web, a cominciare da Jeff Bezos di Amazon, che ha appena comprato
il Washington Post, o da Pierre Omidyar di eBay, che si accinge a fondare un
nuovo quotidiano, a salvare la carta stampata.
Plausibile? Non si immaginano al momento i giovani imprenditori del web disposti a investire
nella carta stampata, ma sarebbe bello che qualcuno credesse nel futuro di El Correo de Andalucia. anche solo nel suo bel sito web.
Suerte al Correo de Andalucia, il mio quotidiano prediletto quando sono a Siviglia (sarebbe un dolore non vederlo più in edicola e lasciare Siviglia senza la sua voce!) e a tutti i giornalisti e dipendenti che in questi giorni spagnoli stanno difendendo non solo il loro posto di lavoro, ma anche la pluralità dell'informazione, prezioso bene di ogni democrazia.
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