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La crisi economica di Israele: un pericolo alla sicurezza nazionale?
Creato il 08 agosto 2011 da Bloglobal @bloglobal_opidi Giuseppe Dentice
Anche Israele sembra essere stato assorbito dalla stagione di proteste che regna nella regione. La crisi economica e il malcontento scoppiato nel mese di luglio, a seguito dell'innalzamento dei costi della vita e degli alloggi, hanno prodotto nel Paese una tale confusione e instabilità di governo paragonabile solo ai momenti di crisi con la controparte palestinese nell'annosa questione dei Territori Occupati. Intanto, dal 14 luglio sono iniziate tra Tel Aviv e Gerusalemme una serie di manifestazioni per chiedere al governo Netanyahu di adottare misure ad hoc contro la crisi. La protesta, che coinvolge oggi l'intero Paese, ha portato migliaia di manifestanti nelle piazze. Tale atto ha ben presto attirato l'attenzione dei media nazionali e internazionali – i quali per analogia hanno comparato le proteste della Rothschild Boulevard alle varie Piazza Tahrir di tutto il mondo arabo – avviando un dibattito pubblico sui problemi che attanagliano il Paese. Intanto sullo sfondo della protesta, il governo cerca delle contromisure adatte a fronteggiare una crisi economica pericolosa alla sicurezza stessa del Paese, sempre alle prese con i problemi legati alla pace con i Palestinesi e ai fragili equilibri regionali.
Quadro macro-economico interno Israele, rispetto alla media regionale, ha reagito bene alla crisi economica internazionale del 2009 e, negli ultimi tempi, ha registrato anche una buona crescita economica del PIL (5,3% per il 2011, ossia +0,6% rispetto al 2010 secondo l’Economist Intelligence Unit Report) e bassi livelli di disoccupazione (6,40% nel 2011, in discesa del -1,20% rispetto all'anno precedente, dati CIA World Factbook). La crescita è stata strettamente legata alla performance delle esportazioni, che costituiscono circa il 40% del PIL totale, e, conseguentemente, alla ripresa economica degli Stati Uniti e dell’UE, principali mercati di riferimento del commercio israeliano. Con un coefficiente di stabilità pari a 2 secondo l'indice SACE, Israele si conferma tra i Paesi più stabili del Vicino Oriente e Medio Oriente. Nonostante il rallentamento economico attestato nel 2009, l’economia israeliana registra tassi di crescita positivi e tale trend dovrebbe confermarsi fino al 2012 (+4,2%, fonte EIU Report), grazie anche alla tenuta dei consumi interni e degli investimenti. Il livello di debito pubblico, dopo aver raggiunto circa l’80% del PIL nel 2009, dovrebbe registrare una riduzione a partire dal 2011 (dal 77,9% del 2010 al 73,3% previsto per l'anno in corso, stime del FMI).
Negli ultimi anni, il costo della vita è aumentato, mentre i salari sono rimasti più o meno gli stessi e il governo non è riuscito a riequilibrare questo scompenso, aumentando l’inflazione media annua (3,9% nel 2011, in crescita del +1,2% rispetto al 2010, secondo il FMI). Questi dati negativi, congiuntamente al rialzo dei prezzi degli alloggi, hanno dato il là alla protesta contro il governo Netanyahu, accusato di aver concentrato troppe risorse sulla politica estera e sulla sicurezza nazionale e di aver trascurato completamente i problemi socio-economici interni. Le grandi spese militari e i costi per la sicurezza nazionale (come il sistema antimissile Iron Dome) hanno incrementato la pressione fiscale. Questo dovrebbe comportare, inoltre, una nuova crisi in vista di un probabile aumento del prezzo dell’energia elettrica dovuto all’incremento del prezzo del petrolio e del gas.
Le proteste contro l'aumento dei prezzi delle case Dal 14 luglio scorso, alcuni studenti e giovani lavoratori si sono accampati con delle tende nel Rothschild Boulevard, una delle via principali della capitale Tel Aviv, per protestare contro l’aumento del costo delle case. Tra il 2007 e il 2010 il costo degli alloggi in Israele è aumentato di circa il 60%, soprattutto a causa della mancanza di case disponibili. La protesta ha preso spunto dall'esempio spagnolo degli indignados – anche per analogie con le rivendicazioni socio-economiche – un movimento apartitico e trasversale che ha coinvolto vasti settori della società. La protesta in Israele si è diffusa prima a Tel Aviv, dopo ha coinvolto Gerusalemme, Be'er Sheba e Haifa e, infine, il resto del Paese. Ai giovani che da tre settimane manifestano contro il carovita e i prezzi delle case, l'ondata di proteste si è allargata anche ad altre categorie di lavoratori. Ad esempio, dai tassisti, che protestano per l'aumento dei prezzi del carburante, ai medici della comunità arabo-israeliana che hanno indetto uno sciopero generale dei servizi sanitari in solidarietà con i dimostranti e per gli aumenti dei prezzi della sanità israeliana. Ieri, alla terza settimana di proteste, approssimativamente 300.000 persone, secondo i dati del Ministero dell'Interno israeliano, hanno partecipato alle manifestazioni.
I dimostranti scesi in piazza hanno chiesto riforme economiche radicali, la diminuzione del costo delle case e hanno protestato contro le politiche socio-economiche del governo. Il Primo Ministro Binyamin Netanyahu ha promesso di approvare al più presto delle misure per risolvere la situazione e, insieme con Yuval Steinitz (Ministro delle Finanze) e ad Ariel Atias (Ministro della Casa), ha definito un nuovo piano statale nella gestione degli alloggi. Tra le altre promesse fatte dal governo, verranno approvati nuovi incentivi per favorire le giovani coppie che comprano la loro prima casa e verranno incrementati i finanziamenti per i dormitori degli studenti. Inoltre, il Ministro Atias ha promesso la costruzione di 6.000 nuove unità abitative, nessuna delle quali, però, verrà costruita a Tel Aviv o nei dintorni, bensì molte saranno destinate alle colonie della Cisgiordania e della Striscia di Gaza.
Risvolti delle proteste nella politica nazionale e regionale Secondo un sondaggio pubblicato lo scorso 26 luglio da Haaretz, il maggiore quotidiano nazionale, il premier Netanyahu avrebbe perso la maggioranza dei consensi nel Paese a causa dei problemi sopra riportati, passando dalla percentuale del 51% di due mesi fa, ad un 32% attuale. Soprattutto il Primo Ministro è stato accusato da Tzipi Livni, leader del partito d’opposizione Kadima, di voler “smorzare la protesta”, invece di impegnarsi a “risolvere i problemi” dei ceti disagiati e della classe media impoverita. Infatti, alcune misure annunciate da Netanyahu sono state bollate dai manifestanti e dalle opposizioni politiche come insufficienti o, addirittura, controproducenti. In realtà, la crisi economica dell'ultimo biennio ha colpito principalmente la classe media israeliana, la “vera forza motrice” del Paese. Ad ogni modo, la classe politica non sembra essere riuscita a dare risposte concrete anche a causa della frammentarietà e dell’estrema debolezza della coalizione di maggioranza. Già nello scorso gennaio il Labour Party di Ehud Barak è uscito dalla coalizione di governo diminuendo i seggi della maggioranza, passati da 74 a 66 su 120. Se a queste preoccupazioni vengono aggiunte quelle relative alla situazione politica nei Territori Palestinesi e alle turbolenze nella regione, le sfide per il Paese sono innumerevoli e di difficile soluzione.
L’evoluzione delle recenti rivolte nella regione potrebbero influenzare le relazioni israeliane con i Paesi limitrofi con riflessi negativi anche in politica interna. In particolare, l’esito della transizione istituzionale in Egitto potrebbe comportare cambiamenti a livello diplomatico e commerciale, come in parte anticipato dalle tensioni sull’accordo di fornitura di gas (Arab Pipeline Gas) tra i due Paesi. L’avvicinamento tra i leader palestinesi di Hamas e Al-Fatah potrebbe ulteriormente allontanare la ripresa dei negoziati di pace tra Israele e Autorità Palestinese, soprattutto, se a settembre durante il consesso ONU verrà votata la risoluzione a favore dell'indipendenza dei Territori Occupati. Resta elevata la tensione con l’Iran in merito alla questione del nucleare e alle ambizioni regionali di quest’ultimo. Infine, le tensioni di questi mesi con la Turchia – in merito alla questione “Freedom Flotilla” – e con il Libano – ultimo caso di scontro diplomatico è stato la piattaforma “Leviathan” – rendono Israele particolarmente vulnerabile. Pertanto, sarà importante risolvere la crisi economica per poter affrontare serenamente le problematiche politiche legate ai Territori Occupati Palestinesi e alle questioni mediorientali per evitare l'isolamento internazionale.
Conclusioni I dimostranti chiedono interventi economici per ridurre il costo della vita e misure per garantire un futuro occupazionale meno incerto ai giovani. I manifestanti, inoltre, pretendono che la politica si assuma gli impegni promessi in merito all’aumento degli affitti, dei prezzi del cibo e dell’energia, che riduca le tasse, che renda gratuita l’istruzione e modifichi il sistema sanitario. Da parte sua, il premier Netanyahu ha promesso pronti interventi e ha usato toni molto concilianti verso i manifestanti, giudicando le proteste come “un’opportunità” di crescita culturale per Israele. Sarà importante, quindi, che il governo trovi nuovamente compattezza e forza per fronteggiare tutta una serie di problematiche che rischiano seriamente di far tornare il Paese indietro nel tempo, prima ancora dello spartiacque del 1967, dove la crisi economica era ben più forte e destabilizzante di qualsiasi conflitto regionale. Giuseppe Dentice è Dottore in Scienze Internazionali (Università di Siena)
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