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La cura per le parole

Da Marcofre

Non biasimo mai l’insuccesso: ci sono troppe situazioni complicate, nella vita; ma non ho alcuna pietà per la mancanza d’impegno.

Questa è una di quelle frasi che andrebbe scolpita, e imparata a memoria. Ripetuta a chi con faciloneria giudica l’insuccesso; lo so che spesso è il risultato di una cronica mancanza di talento.
Però che cos’è il successo?

Numeri, non persone. Chiacchiere, non conversazione. Prodotti, non beni. Non mancano le eccezioni, come ripeto spesso: ma la regola è sempre feroce. Accanto a casi eccezionali (Dickens, Tolstoj) la normalità di autori di valore che se sono fortunati, saranno scoperti e rivalutati anni dopo, quando la loro residenza sarà il cimitero. E alcuni nemmeno allora.

L’impegno, poi. Spesso la scrittura viene considerata semplice, alla portata di chiunque. La maggioranza delle persone non aspira a fare lo scultore (il marmo richiede impegno, e spazi), e anche la pittura richiede un minimo di attrezzatura. Scrivere è più democratico, o almeno così pare; ecco perché tutti ci provano.
Per un istante lasciamo da parte il talento, non consideriamolo. È indispensabile certo, ma facciamo finta che sia possibile escluderlo.

Scrivere. Anche un’email, due righe in un post devono comunicare il rispetto per chi leggerà. Questo circo che si chiama Web non renderà ricchi o famosi, quindi mettiamo da parte i sogni di gloria e occupiamoci delle cose importanti. La cura per le parole, l’attenzione per i lettori, e non importa se sono 2 o 20.

Naturalmente Scott Fitzgerald (ancora lui!), con questa frase si riferiva agli autori, e forse scorgeva se stesso sul viale del tramonto. Attorno, la solita ciurma di aspiranti scrittori che alzavano la voce, pretendevano, accampavano diritti. Dopo aver scribacchiato una storia sull’onda di un entusiasmo che si sarebbe estinto nel giro di un mese, senza nemmeno rileggere o correggere errori e refusi.

Tanto ci sono i correttori di bozze.

La frase che apre il post è dedicata agli aspiranti, è dedicata a me.
Non esistono cose facili; la scrittura per restare, per essere letta anche tra 60 anni, deve contenere arte. O almeno qualcosa di artistico. Se nessuno ci bada, e ripete: “Al diavolo l’arte, voglio vendere”, beh, buona fortuna.

Se scrivi ti infili in un cespuglio di rovi da cui si esce o per dedicarsi ad altro, o grazie al proprio talento. Nella maggior parte dei casi le persone non hanno talento.

 


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