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La “d” eufonica

Creato il 04 marzo 2012 da Queenseptienna @queenseptienna

L’uso della d in chiave eufonica, nell’italiano, è attestato sia nell’uso della lingua parlate che in quella scritta. Tale fenomeno consiste nell’aggiunta finale (epitesi) della lettera “d” ad alcune particelle, qualora l’incontro vocalico con parole inizianti per vocale dia adito a cacofonie o difficoltà di pronuncia. Nell’uso moderno della lingua italiana la d eufonica ricorre in tre casi:

  • nella preposizione ad (“a“),
  • nella congiunzione ed (“e“)
  • e raramente nella congiunzione od (“o“);

mentre anticamente il fenomeno era attestato anche nei seguenti casi:

  • ned (“né”)
  • sed (“se” solo congiunzione)
  • e ched (“che” congiunzione talvolta anche come pronome)

Di tali usi più antichi si trova ancora traccia in forme poco comuni come qualcheduno e ciascheduno.

Non esistono oggi regole ferree circa l’uso della d eufonica. I manuali moderni di italianistica ne consigliano l’adozione solitamente negli incontri tra vocali del medesimo timbro e nelle forme consolidate, come nella locuzione “ad esempio“, lasciando del resto margine alla discrezione dell’autore o del parlante, ma sconsigliandone comunque un uso pedissequo e massiccio, o laddove possa ingenerare a sua volta cacofonie come “autori ed editori” o polisemie.

Fonte: Wikipedia

 

NELLA SCRITTURA

E’ d’uso, durante la stesura di un testo (racconto o romanzo), evitare il più possibile la D eufonica. E’ bene utilizzarla solo ed esclusivamente (proprio come in questo caso) quando le due parole portano la stessa vocale.

Alcuni esempi:

  • Ad esempio” è sbagliato. Meglio usare “Per esempio” o “A esempio” sebbene la prima formula sia più agevole.
  • Ed eccoci qui” è corretto, poiché E si accoppia con ECCOCI, stessa vocale che crea una cacofonia. Di conseguenza l’uso della D eufonica è indispensabile.

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