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La decostruzione dell’immagine nell’arte pittorica di Davide La Rocca

Creato il 23 aprile 2011 da Fabry2010

di Massimo Maugeri

La decostruzione dell’immagine nell’arte pittorica di Davide La Rocca
Sul concetto di realtà si è detto e scritto di tutto. C’è una sorta di istinto naturale, insito nell’uomo, che spinge a comprenderla a tutti i costi, quasi a voler meglio identificare se stessi rispetto al mondo esterno. Ma la realtà è sfuggente, e forse è davvero inutile provare ad agguantarla, a misurarla. Senza dimenticare che, come sosteneva lo scrittore e filologo irlandese C.S. Lewis, “la realtà, guardata fissamente, è insopportabile”. Certo, bisogna anche considerare il punto di osservazione da cui la si fissa. Vista da troppo vicino rischia di inghiottire lo sguardo dell’osservatore, restituendo un’immagine di se stessa distorta e parziale. Meglio prendere le distanze dalla realtà, allora. In tutti i sensi.
Queste riflessioni nascono dopo aver ammirato i nuovi quadri di Davide La Rocca: noto pittore catanese, classe 1970, oggi residente a Milano.
In questi ultimi anni La Rocca ha maturato un linguaggio pittorico che analizza la decostruzione dell’immagine. La sua mostra più recente, Ritratti”, tenutasi a Milano a Corsoveneziaotto a fine 2010, va proprio in questa direzione: riflettere sui meccanismi percettivi del reale, proponendo una maglia finissima di segni che lo scompongono fino a ridurlo in particelle.

La sua opera più recente è una tela dalle dimensioni considerevoli (cm322x340, olio su tela, 2010) che riproduce la Vocazione di San Matteo” di Caravaggio. Un’opera finalizzata a rendere omaggio al celebre artista secentesco che ha cambiato la storia della pittura attraverso la costruzione delle forme con la luce. La Rocca ribalta la scena in maniera speculare e sostituisce gli originari toni caldi con venti sfumature di rosso e di verde, stese con pennellate regolari. Visto da lontano il quadro che si può contemplare appare identico a quello originale di Caravaggio, ma avvicinandosi gli effetti della puntinatura, della frammentazione, creano un’immagine quasi astratta, distorta, quasi come fosse un’immagine in via di sintonizzazione  visualizzata su un monitor.
È uno sguardo e una testimonianza sull’attuale riproduzione digitale delle immagini, quella che Davide La Rocca offre attraverso questo quadro. Quante sono le rappresentazioni del capolavoro caravaggesco diffuse attraverso la rete, i libri o la televisione? Ma quelle immagini sono “reali”? Fino a che punto possono essere considerati corrispondenti agli originali? L’obiettivo di La Rocca, forse, è quello di dimostrare – attraverso l’antica pratica dell’arte pittorica – che le immagini che accompagnano il nostro vivere quotidiano non sono altro che una traduzione di impulsi digitali più o meno raffinati e, pertanto, non corrispondenti all’originale.

Davide La Rocca ha realizzato e partecipato a mostre in tutta Europa e oltre: da Milano a Dusseldorf, da Roma a Valencia, da Udine a Berlino, da Parma a Bruxelles, da Rovereto a Tallin (fino ad arrivare a Guangzhou, in Cina) e così via… ricevendo consensi importanti dalla critica e aggiudicandosi premi di assoluto prestigio.

- Davide, quale “esigenza” o impulso creativo ti ha spinto ad occuparti della decostruzione dell’immagine?
I miei primi quadri erano molto curati, voglio dire da un punto di vista tecnico. Ero affascinato dalla pittura  iperrealista americana fino a quando ho scoperto gli artisti europei in particolar modo i tedeschi, come Gherard Richter, più attenti alle possibilità espressive che la fotografia può fornire alla pittura che la mera riproduzione di esse. Così ho cominciato a sperimentare le sfocature, le immagini sdoppiate, le sovra e sottoimpressioni, accorgendomi che il mio occhio si avvicinava sempre di più alla superficie dipinta e che diventava per me sempre più importante dare dignità ad ogni cmq della superficie dipinta. Mi destreggiavo con maggiore sicurezza a conferire uniformità al trattamento pittorico, distribuendo pennellate uniformi, ma i risultati stentavano ad arrivare. Il lavoro ricordava sempre quello di qualcun altro, e questo è molto frustrante, perché quando inizi la tua ricerca, che potremmo definire orizzontale, non fai che copiare illudendoti che qualcosa di diverso uscirà fuori. Ci vuole molta pazienza e perseveranza e come dicono gli antichi: bisogna montare sulle spalle dei giganti per guardare lontano.
A questo potrei aggiungere un aneddoto che mi diverte raccontare e che può in parte spiegare perché quello che inseguiamo è spesso frutto di una intuizione generata dall’equivoco. Il mio studio di via Sant’Anna a Catania si trovava al piano terra, e come un negozio aveva una luce sulla strada. Per questo poteva entrare chiunque. Un giorno si presenta un tizio che dipingeva quadri di paesaggio e nature morte che insiste che io veda i suoi lavori. Gli dico che li avrei visti con piacere. Il giorno dopo si presenta con un rotolo di carta, che mi mostra. E’ un calendario con le foto dei suoi dipinti in bella mostra. Vedo più o meno quello che mi aspettavo, dopo che me li aveva lungamente descritti il giorno prima, ma rimango colpito dalla texture che mi sembra molto interessante. Le fotografie, in bassa risoluzione, apparivano sgranate con i pixel in evidenza e davano al tutto un’aria molto interessante. Chiedo se è un effetto voluto e come sia riuscito ad ottenerlo, lui fa lo gnorri, annuisce e tenta di spiegare, ma non mi persuade. I dipinti del nostro si rivelarono dei dilettanteschi oli su tela, ne ebbi la prova vedendone uno dal vivo tempo dopo, ma il fascino che mi suggerirono quelle foto a bassa risoluzione cominciò ad insinuarsi come un tarlo che non mi dava tregua. Dovevo risolvere quel problema: come riuscire a restituire quell’effetto? Cominciai a preparare griglie, grafici, a usare l’episcopio, e alla fine venne in soccorso il computer. A questo si aggiunse un particolare non irrilevante. Tempo dopo, approdato a Milano, dimenticai l’episodio, e cominciai a dipingere quadri aventi come soggetto una moltitudine di inquietanti personaggi interamente truccati di bianco, tu ne sai qualcosa, che io stesso avevo fotografato. Inutile dire che non vendevo un quadro, così mi imposi di cambiare radicalmente stile per poter sbarcare il lunario e fu così che ripensai a quel tale che venne nel mio studio a mostrarmi i suoi dipinti…

- Nell’odierna società dell’immagine, tecnologica e multimediale, che ruolo occupa un’arte antica come quella della pittura?
Estremamente marginale, così io almeno la percepisco. Mi sono chiesto più volte quanto sia utile oggi che è tutto angosciosamente e meravigliosamente veloce, cimentarsi in una impresa titanica come io intendo la pittura. Attirare l’attenzione di uno spettatore abituato ad assistere a film d’azione dal montaggio serrato di sequenze da un secondo e mezzo di durata composte con fotogrammi che si susseguono 24 volte al secondo è una vera e propria sfida. E’ chiaro che alla pittura non si è mai chiesto e mai si chiederà di scuotere lo spettatore con effetti speciali in dolby surround, ma la tentazione di gettare la spugna per un pittore è sempre dietro l’angolo. Pittura e cinema sono due mezzi espressivi cugini, affini per certi aspetti ma molto diversi per altri. Ciò che si chiede al fruitore di un dipinto è impensabile chiederlo allo spettatore di una sala cinematografica. In sala e solo in sala, ci si aspetta che accada qualcosa di sorprendente. Un film può far riflettere, sognare, commuovere, scandalizzare, indisporre o divertire, ma davanti a un quadro non si può fare altro che contemplarlo, mentre le emozioni possono raggiungerti anche quando sei già a casa a preparare la cena. Una disposizione d’animo, la contemplazione, rigorosamente censurata dal cinema, dove torna utile la tua citazione di C.S. Lewis, “la realtà, (di cui il cinema è la più credibile mimesi contemporanea), guardata fissamente, è insopportabile”. E guardare fissamente un quadro? Costringere uno spettatore ad assistere allo spettacolo immobile, trattenendolo di fronte a una immagine bloccata, per di più impedendogli di usare il telecomando, somiglia a un sequestro di persona. Fortuna che c’è rimasto qualcuno che, come si dice, ama ancora farsi “rapire” dalla pittura.

- Progetti per il futuro?
Girare un film, appunto!



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