Avanza la crisi finanziaria, dimagrano i consumi, svaniscono gli eccessi che generano il necessario (Zola), si limitano gli sprechi che arricchiscono e si gonfiano le sproporzioni sociali che impoveriscono, rimpiccioliscono i desideri, si miniaturizzano i sentimenti travolgenti, le ispirazioni illuminanti e le aspirazioni edificanti, la voglia di costruire, di sognare, di rischiare. Allunga la foia di farsi astuti verso il basso e di sottrarre a man bassa sull’urgenza d’investire e di produrre. Quando la furbizia non incontra più limiti, quando l’ingannatore è sempre sicuro di farla franca, quando lo Stato si svuota di sovranità e di coraggio e si satolla di ladruncoli e truffatori, quando la corruzione diventa regola spudorata, quando la giustizia chiude tutti e due gli occhi anziché uno solo, quando la peggiore feccia antropica si accatasta nelle istituzioni, quando si concreta tutto questo scempio viene meno quel meccanismo virtuoso e creativo che rende fecondi i vizi umani, al pari delle tanto osannate e celebrate virtù. Questa decadenza economica e politica sta inficiando la morale e il morale del popolo italiano ormai bolso come i suoi pesanti e vetusti valori e più ristretto culturalmente dei suoi disossati orizzonti. L’intransigenza bacchettona, dopo aver fatto entrare tra le mura domestiche l’equino americano, ha occupato lo spazio pubblico inghiottendo la realtà e le sue passioni, dalla gioia al dolore, rilasciando intorno soltanto feci esistenziali, scarti nichilistici e teoresi da mercatino dell’inservibile e da becero servilismo liquidatore del domani. Per questo sprofondiamo nella indifferenza e nella melma. In detta palude generale il clima pestilenziale favorisce la riproduzione di ogni specie di succiasangue che assorbe la vita fino a scoppiare, accelerando l’incedere delle macerie e della distruzione. Ma i peggiori tra i parassiti che infestano il nostro misero ambiente sono proprio gli anticipatori della disfatta travestiti da santoni visionari, gli adulatori della frugalità ad intelligenza 0, i mercenari dell’antimodernismo col tablet in tasca e la pastorizia nel cuore, i frati scalzi della sobrietà pagata dalle tasse altrui, i rinnovatori energetici che ci ingrassano la bolletta e ci sottraggono risorse, i cavalieri della semplicità agreste senza sudore né odore perché appresa dalla televisione, gli incensatori del calore comunitario che predicano il ritorno al passato in quanto incapaci di vivere il presente e di pianificare l’avvenire. Intellettualacci che vendono retorica e comprano cibi biologici di nome ma non di fatto, filosofastri anelanti all’esodo ma costantemente tra i piedi a predicare l’orticello nel bel mezzo della metropoli, i depravatori a basso consumo di idee e massimo sperpero di frasi fatte, i corruttori della gioventù che per aumentare il prezzo sulla copertina dei loro libri inutili usano carta riciclata e pensieri spazzatura, gli invasati fondamentalisti che vorrebbero ridurci allo stato brado per far discendere in terra la loro fede ecologista, i propugnatori della morigeratezza che chiedono a gran voce di accontentarsi di poco perché loro hanno già tutto. Costoro, se fossero davvero coerenti, dovrebbero imprimere le loro profezie fasulle sulle pareti delle caverne, mandare in giro piccioni viaggiatori per far conoscere la loro buona novella ed utilizzare la macchina dei Flinstone per recarsi alle conferenze sul riscaldamento globale ed il surriscaldamento cerebrale. La decrescita felice è il solletico che i rivoluzionari della rapa fanno ai rapinatori del capitale, illudendosi di poter mettere a tacere i cannoni con i loro fiori. Alla ciarlataneria di un Serge Latouche che qualche giorno fa sull’Espresso ancora evangelizzava, contro ogni evidenza e decenza, sulla lenta uscita dal capitalismo per raggiunti limiti del suo sviluppo, con successivo ed idilliaco avvento di un’epoca di affettività e amore reciproco, preferisco la brutalità realistica di un Giuliano Ferrara, dura da digerire ma lontana dal provocare stitichezza industriale e depauperamento collettivo. Ferrara ha affermato “di voler prendere per il collo ogni odiatore snob del denaro, della mercificazione, del marketing, della pubblicità e del superfluo eppoi costringerlo a dare l’assalto ai saldi come i milanesi di Manzoni davano l’assalto ai forni… Facciamo colossali esercizi di nevrosi depressiva e moraleggiante, quando invece si trat-terebbe di santificare ogni giorno la passione, il furore e la fantasia di avere cose, di alimentare il famoso circuito denaro-merce-denaro (DMD nella versione marxiana). Coltiviamo invece una men-talità fintamente agropastorale, idilliaca, a spese della realtà, che poi si vendica con gli strumenti tipi-ci del capitalismo finanziario, da Lady Spread alle quotazioni di Borsa stagnanti o calanti, fino alla demenziale rincorsa della spirale del debito inestinguibile senza la produzione di nuova e crescente ricchezza, principalmente a mezzo del Dio o del Diavolo dei consumi”. Non condivido ogni parola ma mi rendo conto di vivere in questo mondo dove se non ci si attrezza per le battaglie economiche e le guerre politiche con i mezzi esistenti si finisce alle ortiche. Proprio dove vorrebbero portarci i decrescisti prima del tempo, facendo un favore a chi non aspetta altro che seppellirci in campagna. Meglio stare lontani da questi coltivatori di fandonie i quali, consapevolmente o meno, vogliono condurci alla carestia sociale.