La deriva di Twitter

Da Bibolotty

Il mondo è vasto e multiforme, ma nemmeno tanto, e i social media, e posso dire purtroppo, sono lo specchio della realtà, a volte parziale ma pur sempre effettiva. Qualcosa sta cambiando fuori e dentro il mio Mac. L’aggressività aumenta a dismisura e pare che il solo fatto di avere facoltà di parola faccia sentire buona parte di umanità in credito di opportunità e di insulti. Insultano sui giornali, su Feisbuc, per strada. Sui quotidiani on line leggo dei commenti da far accapponare la pelle. I webmaster sono costretti a mettere filtri per non vedere i propri giornalisti lapidati pubblicamente per aver scritto una verità o azzardato un’ipotesi. E solo per invidia, perché due anni fa qualcuno si è svegliato in vena di fare il giornalista e perché tutti quelli che stanno dall’altra parte del vetro, si sa, sono dei raccomandati e basta. Insultano se per caso fai notare a qualcuno che va contromano. Come quando, picchiata in strada e aiutata dalla folla, la vittima difende il suo carnefice scagliandosi su chi l’ha difesa, succede, eccome. Siamo diversi. Comunque twitter sta cambiando e la sua trasformazione si è palesata durante questo agosto rovente di anticicloni e perturbazioni dai nomi fantastici e su cui a lungo si è tuittato. Anche la meteorologia si adegua ai tempi.
Un tantino diffidente, l’account su tuitter l’avevo aperto mesi fa. Ero affezionata al mondo ovattato di feisbuc, all’universo del consenso obbligato, degli autoscatti, dei cani randagi, dei gattini finti, dei “ciao chi sei” e dei “buongiorno mondo”. Inoltre, il mio maestro ed ex datore di lavoro, Roberto Cotroneo, fuggito molti mesi fa da FB, scriveva sul suo blog dei post così sublimi sull’uso di twitter e il suo senso filosofico, sul linguaggio e sui modi da usare da sentirmi quasi intimidita e inadeguata da questo nuovo mondo pieno d’intellettuali e giornalisti. Mi pareva si trattasse più di una lezione di semiotica che di un social media. Aperto l’account sono rimasta a guardare. Il giudizio positivo del mio amico scrittore dipende forse dal fatto che ha quasi diecimila follower e meno di trenta following? Che la sua finestra è aperta su un cortile pieno di magnolie e gelsomini con poca gente e tutta ben educata? È logico che poi giustifichi persino “l’intellettuale di Voghera” e il citazionista dato che nemmeno li vede.
A casa mia non farei mai entrare una che si chiama “masturfantasy” o roba del genere, e che la prima cosa che mi ha domandato stamattina è se e quanto mi piace masturbarmi, e che vista la mia risposta, ha smesso di seguirmi. Come se l’avessi fatta accomodare nel mio bel salotto liberty, mi avesse domandato del tè, e alla mio educato “mi spiace bevo solo caffè” se ne fosse andata senza salutare e sbattendo la porta. Strano che non mi abbia anche insultata. Però potrebbe sempre farlo dopo la lettura di questo post. Vorrei tanto sbagliarmi ma mi sa che tuitter Italia è proprio alla deriva. A differenza di qualche settimana fa vedo moltissimi account con due, trecento follower e due, trecento following. E questo dice molto. Dice che da oggi, per i "commons", vige la legge del do ut des. Racconta che il cyber opinionista, il narratore di colazioni, pranzi e ruttini del nipote, il fotografo di spiagge affollate e brutte, di sentieri di montagna e della casa al paesello, il pensionato, disoccupato, professionista o urlatore, non ti segue se non seguito a sua volta.
La bellezza e la caratteristica rivoluzionaria di twitter sta proprio nella mancanza di obbligo di reciprocità. È un po’ il manifesto dell’umiltà –termine in disuso-, il riportare le cose ad avere un senso: io sono un personaggio conosciuto e tu no. Che sia a ragione o a torto è comunque un dato di fatto e anche se pieno di bile conviene che te ne faccia una ragione. Funziona, o dovrebbe, che leggi un tuit interessante, perlustri le poche info presenti sul profilo e provi a vedere come va. Se quella persona ti piace continui a seguirla anche se lei non ti segue, se poi ti piace un casino o ti serve conoscerla per lavorare o flirtare, cerchi il modo più intelligente per farti notare. Essere seguiti o essere letti non è un diritto. Lo fai perché è un giornalista, un intellettuale (pseudo o reale è sempre complicato da capire attraverso un monitor) ma comunque, come in una festa affollata, cerchi e magari lo trovi, un modo per attaccare discorso. Non puoi pretendere di restare in un angolo buio e che qualcuno t’inviti a ballare solo perché stai lì. Le regole comunque sono e dovrebbero restare queste: evitare i saluti collettivi –che io cestino immediatamente e ai quali non rispondo- i post banali sul caldo, la pioggia e la neve, i “chi sei” tanto per perdere tempo, quando basta dare un’occhiata al profilo o domandarlo a google. Evitare di entrare nel merito di affermazioni dal sapore poetico, rintuzzare di continuo le battute e le opinioni -che tali sono e dovrebbero restare-, soverchiare con la propria le voce quella degli altri. Evitare i FF (Forward Friday) al lunedì o al sabato. Se sei un cafone con famiglia chiassosa al seguito, non posso impedirti di guardarmi, però posso evitare di interloquire con te. Non risponderti. Ignorarti. Invece, da un po’ di settimane a questa parte, il neofita di twitter ti insulta anche se non gli rispondi.
FB sono mesi che non mi dà più né riscontri umani né di lavoro. Si clikka sui post senza leggerli -non tutti sanno che esistono modi legali per sapere chi viene realmente sul blog-. Commentano articoli senza sapere di cosa si parla, tanto basta il titolo, come da bambini bastavano le figure. La maggior parte degli utenti di FB potrebbe condividere un articolo pro pedofilia senza nemmeno saperlo. Ma naturalmente guai a dirlo. Ci sono i negazionisti diplomati e i difensori della facoltà di parola a tutti i costi. Quelli che con la scusa della “persona e la legge” giustificano anche il più efferato delitto. Pazienza se quella frase è stata rubata, se quel tuit lo leggo per la centesima volta e mi sento in piena demenza senile, non importa se si parla di un autore senza averlo letto e si pretende anche di avere ragione. Lo stesso temo stia accadendo su twitter. Che l’insensatezza e la banalità si stanno diffondendo come un virus letale. Che la filosofia viene ingoiata e digerita e riproposta come propria. Che le regole vengono cambiate e se non si ha un pensiero raffinato e in grado di riassumere idee complesse in 140 caratteri, pazienza, si scrivono post a puntate. Un’urgenza può concludersi nella toilette di un aeroporto o aver bisogno di una vita intera per esaurirsi. Perché non tutte le esistenze hanno diritto di essere narrate né di essere seguite.


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