La sinistra è morta, viva la sinistra. Sembra una provocazione, un'uscita del genere, con un Pd al 41%, dopo il voto per le Europee. Paradossale, ma è così: la sinistra intesa come sinistra politica è oggi frantumata in tanti rivoli, divisi e anche in lite tra loro, e dunque di scarso peso in Parlamento.
Il Pd è altra cosa: un lungo processo di trasformazione l'ha fatto diventata in quello che oggi è il partito renziano, dove uno decide assieme a pochi, e gli altri annuiscono entusiasti.
PD che anziché sposare battaglie sugli ultimi, sui senza lavoro, senza casa, senza diritti civili, abbracciando le larghe intese con gli ex nemici (?) di una volta, ha votato di volta il fiscal compact, la legge Fornero, la riforma delle pensioni, il decreto Poletti sui precari. E ora si appresta a votare il TTip, l'accordo internazionale che permetterà alle grandi compagnie americane di passare sopra le leggi nazionali espresse dai governi votati dai cittadini.
Qualcuno si ricorda ancora le settimane che hanno preceduto la non vittoria di Bersani alle elezioni del 2013? Era un continuo rincorre, da parte del PD, dell'agenda di Monti, il loden di Monti, i punti del suo programma. Perfino dei suoi ministri (Passera e la Fornero) erano indicati come futuri ministri del governo di centrosinistra che non c'è stato.
Abbiamo visto come è andata a finire: Monti, chi?
Dal post “I giorni di Monti”
Primo, il voto favorevole alla riforma delle pensioni. «Anche qui, è chiaro che abbiamo sbagliato», dice Fassina. «Però la legge Fornero era contenuta nel decreto di stabilità approvato in fretta e furia appena Monti era diventato premier e in quel momento non c’erano le condizioni per fare diversamente. Eravamo consegnati nelle mani del Professore, che era considerato da tutti il salvatore della patria. Quella cosa fu approvata in cinque giorni: ci sentivamo in emergenza completa. E poi avevamo appena votato la fiducia al governo Monti: sull’atto più importante, la legge di stabilità, quello su cui era nato lo stesso governo, non potevamo fare altro».Errore successivo, aver sostenuto l’esecutivo anche quando Berlusconi lo aveva già mollato: «Dopo le elezioni amministrative del maggio 2012 il capo del Pdl era ancora formalmente nella maggioranza, ma si comportava come se fosse all’opposizione», ricorda Fassina: «Insomma noi siamo rimasti lì con il cerino in mano a sostenere da soli le politiche di austerity. Io allora ebbi l’ardire di dire che dovevamo anticipare la nuova legge di stabilità e andare a votare a ottobre, ma fui massacrato in modo pesantissimo nel mio stesso partito, con tanto di richiesta di dimissioni. Penso che invece avremmo dovuto fare proprio così. Cioè dire: “questa è stata l’emergenza ma non può essere il nostro programma, noi abbiamo un altro progetto e adesso che la fase più grave è passata si va alle urne”. Ripeto: fui bastonato pesantemente, solo per averlo proposto».Ulteriori errori, elenca Fassina, il fiscal compact e il pareggio di bilancio: «Averli appoggiati fa parte di quella subalternità che ha viziato il Pd fin dall’inizio. Se avessimo avuto una qualche autonomia culturale, noi di sinistra, avremmo potuto pressare Monti per ottenere almeno delle clausole migliori. Lo sbaglio nostro, quello che sta alla base di quelli successivi, era appunto precedente: stava nella versione soft del paradigma liberista adottata dal mio partito fin dal discorso di Veltroni al Lingotto. Nasce tutto da là».Ancora più duro sul passaggio che segna la nascita del governo Monti è il segretario della Fiom, Landini: «La sinistra non aveva alcuna proposta alternativa a quello che ci avevano detto di fare Trichet e Draghi nella loro lettera dell’estate 2011. Così, quando cadde il governo Berlusconi, si scelse di non andare a votare e di appoggiare il governo dei tecnici. Fu un errore tragico: per un anno ci siamo bevuti la ricetta imposta dalla Troika, dalla riforma delle pensioni al pareggio di bilancio. L’appiattimento del Pd a quelle politiche, durante quel periodo, è stato decisivo nell’aprire le praterie al risultato di Grillo nel 2013».Vincenzo Vita, ex senatore Pd, offre un racconto di quei giorni ancora caldo di emozione e a tratti agghiacciante: «Il partito non aveva capito l’importanza di quello che stava facendo. Quando cercavo di spiegare ai colleghi del mio gruppo che stavamo votando una cosa demenziale, tutti mi rispondevano: “ma Vincenzo, qui cade il governo”. Non ci fu nemmeno l’agio di un confronto né nel partito né tra i parlamentari: neppure sul pareggio di bilancio che pure ebbe un percorso lungo, in quanto modifica della Costituzione. Niente: era una cosa calata dall’alto e noi dovevamo adeguarci per non far cadere Monti. Io ci provai fino all’ultimo: ancora nel giorno del voto finale, nell’aula di Palazzo Madama, passai tra i banchi dei miei compagni per cercare di parlare con loro a uno a uno, ma senza alcun successo. Mi dicevano: “lascia stare, dai, lascia stare”. Perfino Ignazio Marino, di cui ho grande stima, mi rispose: “Vincenzo, non ho studiato bene il dossier”. Ma quale dossier? Ma cosa c’era da studiare? Era evidente che non aveva alcun senso quella roba, proprio a livello di logica elementare. Ci stavamo mettendo in una gabbia di ferro da soli, senza motivo, e lo stavamo facendo perché “altrimenti cadeva il governo”. Rimasi quasi solo. E non mi riferisco soltanto al mio partito, ma anche al mondo della sinistra italiana, che con pochissime eccezioni non comprese assolutamente la rilevanza di quel passaggio».Il pd renziano.
E ora? Con Renzi stiamo inseguendo un progetto di riforme che non è autoritario: semplicemente riduce di molto lo spazio per le opposizioni e allontana il palazzo dai cittadini (non eleggibilità, le firme per i referendum, lo sbarramento per i partiti minori..).
Si, gli 80 euro (prima del voto alle europee, appunto): non hanno cambiato di molto la bilancia di spesa, e non risolvono il problema di quanti non hanno lavoro o, avendolo, fanno fatica ad arrivare a fine mese.
Fare politica di sinistra sarebbe ridurre la forbice tra ricchi e poveri, garantire i servizi pubblici di eccellenza per tutti (sanità, scuola, trasporti). Puntare tutto su istruzione, cultura, ricerca: da quanto tempo si sente ripetere che l'università non ha più la funzione di ascensore sociale?
Ma la sinistra, intesa come gente di sinistra, no, quella non è scomparsa.
Divisa, litigiosa, incapace di parlare a tutti e a mettere le mani nella "merda", i mille rivoli della sinistra esistono ancora e ancora sono in attesa di una nuova casa.
Non sorprenda il voto alle europee: il boom Renzi lo ha fatto prendendo voti al centro e nel centrodestra (in termini assoluti ha preso un milione di voti di meno rispetto alle elezioni perse da Veltroni nel 2008.
Voti che sono finiti anche nel M5S che, non sarà di destra o sinistra, ma proviene da quell'area là. I suoi eletti e i suoi elettori, in larga parte sono di sinistra.
La sinistra è un grande serbatoglio elettorale. O meglio, lo sarebbe, sempre che ci fosse un contenitore, una casa capace di accoglierli. Con un leader che non schiaccia il partito con la sua immagine, ma capace di dare invece il buon esempio nei comportamenti concreti.
Come Alexis Tsipras, che in Grecia, nel corso di anni, ha creato un nuovo partito di sinistra, che ha soppiantato il Pasok, l'equivalente del Partito democratico.
Dopo la sinistra della diaspora, quella divisa in mille partiti (da Sel fino al M5S), nei movimenti, dentro la società civile, negli ultimi capitoli, Gilioli prova ad immaginare la sinistra che dovrebbe essere, partendo dai principi, le parole, i valori propri della sinistra.
L'inclusione e non l'esclusione degli ultimi: significa reddito minimo di cittadinanza,“finalizzato a “stipendiare i fannulloni” ma a fornire uno strumento di soccorso e di reinclusione sociale”.
Significa diminuire la distanza tra politica (oggi sempre più medioevalizzata) e le persone: “affiancare ai referendum abrogativi quelli propositivi. Aprire canali internet tra le persone e i partiti: “una nuova forma di 'democrazia continua' basata sul controllo digitale ininterrotto degli atti e delle decisioni di ogni pubblico amministratore.”
La redistribuzione della ricchezza e non la forbice tra ricchi e poveri che si allarga. Significa una vera lotta all'evasione e alla corruzione. Una ruberia non più tollerabile ai danni degli ultimi che, sempre più spesso, sono costretti a prendersi sulle proprie spalle il peso dell'austerità.
Significa smetterla con queste grandi opere, sempre più spesso utili solo all'arricchimento dei politici e degli imprenditori che si prendono i lavoro.
Spostare le risorse nei mille rivoli della riqualificazione del paese: le scuole, i paesi a rischio alluvione e frane, la messa in sicurezza dei fiumi.
La decrescita felice, perché non possiamo continuare a consumare a questo ritmo tutte le risorse, con un ritmo di lavoro forsennato, mentre il resto del mondo non ha lavoro e non ha risorse.
Queste le parole chiave secondo il filosofo Latouche “rivalutare, riconcettualizzare, ristrutturare, ridistribuire, rilocalizzare, ridurre, riutilizzare, riciclare.” Una filosofia critica contro il neoliberismo e contro questo concetto di mercato perché“la concorrenza e il libero scambio sono il protezionismo dei predatori, degli speculatori”.
La rivalutazione del merito e la definizione, in Costituzione, del concetto dei beni comuni, quelli cioè imprescindibili per una vita dignitosa delle persone, come cittadini pienamente coscienti di una democrazia. Dall'acqua, al paesaggio alla rete internet: “in modo che il digital divide nel nostro secolo non si trasformi in una forma di discriminazione d’opportunità inaccettabile, proprio come non era accettabile che i figli delle famiglie povere non potessero andare a scuola perché non c’erano i bus”.
Inserire in Costituzione un principio che “stabilisca una correlazione tra il Pil e la cifra minima da investire nel welfare”, privilegiare la spesa nella scuola pubblica rispetto alla scuola privata, diversificare il concetto stesso di spesa pubblica.
Distinguere cioè la spesa pubblica che finisce in spese militari, da quelle che finiscono in welfare, “declinando per ciascuna di esse vantaggi e svantaggi sociali”, come spiega Rodotà.
E ancora, più asili e meno cliniche convenzionate, più ferrovie per il trasporto pubblico e meno autostrade, più uguaglianze e meno restrizioni alle risorse.
Insomma, sono tanti concetti che meriterebbero di essere affrontati, e che nulla hanno a che fare con le riforme presunte, messe oggi sul piatto dal centrosinistra.
Servirebbe una visione, un progetto, idee forti su cui costruire il futuro della sinistra stessa.
Obiettivo ambizioso e di lungo respiro. Ma questa è la direzione.
La scheda del libro, presa dal blog di Gilioli:
Il libro che avete tra le mani è un’indagine sulla sinistra italiana. Quella che secondo alcuni è sparita e secondo altri, invece, ha stravinto le ultime elezioni europee. Due visioni estreme: e chi leggerà le pagine che seguono vedrà che sono un po’ sbilenche entrambe.Questo libro è diviso in tre parti.La prima è sul passato più recente. Il periodo preso come punto di partenza è il biennio tra il 2007 e il 2009.Il 2007 è l’anno in cui è nato il Partito democratico e in cui Beppe Grillo ha tenuto il suo primo V-day. Nel 2008 il Pd ha perso le elezioni, la sinistra radicale è scomparsa dal Parlamento, Grillo ha lanciato le sue prime liste civiche. Nel 2009 è implosa la segreteria Veltroni, con la sua ambizione di riunire tutta la sinistra italiana in un unico partito plurale e “a vocazione maggioritaria”, mentre lontano dai riflettori nasceva il gruppo dei rottamatori che avrebbe aperto la strada a Matteo Renzi; in quello stesso anno è stato fondato il Movimento 5 Stelle e si è diffusa la protesta di piazza contro il governo Berlusconi. Partendo da quel biennio, in questa prima parte si sono analizzati quindi gli sviluppi successivi, fino alle elezioni politiche del 2013 e a quelle europee del 2014. La ricostruzione storica non è però proposta in modo strettamente cronologico, ma attraverso le diverse forme in cui le persone e le rappresentanze della sinistra si sono manifestate, evolute o involute.La seconda parte del libro è sul presente. E qui l’indagine è concentrata sulle tre forze politiche verso le quali si indirizza l’elettorato della sinistra italiana: il Pd di Renzi, il Movimento 5 stelle e l’area della lista Tsipras. Manca la quarta area in cui questi elettori sono defluiti: l’astensionismo. Ma questo non è, evidentemente, un soggetto politico.L’ultima parte di questa ricerca è sul futuro, quello più prossimo nel tempo. E ha anche la piccola ambizione di fornire agli elettori e agli attivisti della sinistra italiana qualche strumento utile in termini costruttivi: niente di sistematico, solo mattoni e tasselli.Il libro è intessuto di colloqui con alcuni protagonisti della politica che, con le proprie testimonianze e le proprie opinioni, contribuiscono alla rappresentazione storica, alla fotografia del presente e alle prospettive per il domani. I virgolettati dei personaggi intervistati sono spesso molto difformi tra loro: e non sempre chi li ha raccolti concorda con essi. Ma costituiscono comunque i fili di un ordito e di una trama il cui risultato finale – in termini di interpretazione, di tesi e di proposte – risulterà chiaro a chi leggerà questo libro. O, almeno, qui ce lo si augura.Sempre da blog Piovono rane e da l'Espresso, tre capitoli del libro:
- Chi inventò la Leopolda (http://espresso.repubblica.it/palazzo/2014/07/10/news/sinistra-chi-invento-la-leopolda-1.172958)
- I giorni di Monti (http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/07/21/la-diaspora-i-giorni-di-monti/#more-22854)
- Il caso Rodotà (http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/07/24/la-diaspora-il-caso-rodota/#more-22856)
- il video della presentazione https://www.youtube.com/watch?v=ZJq-Ji-xesc
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