A settant'anni dalla resa della Germania nazista, a Mosca sono andati in scena dei monumentali festeggiamenti, con grandi decorazioni disposte per tutta la città, bagni di folla e la più importante parata militare dell'era post-sovietica. Mentre simili (e più contenute) celebrazioni andavano in scena anche nel padiglione russo dell'Expo a Milano, sulla piazza Rossa non si è fatto attendere il discorso del premier Vladimir Putin. Decisivo quanto atteso il suo passaggio sull'unità della grande nazione russa contro il nemico più temibile del Novecento, ma sopratutto importante il suo commento sul ruolo delle altre potenze vincitrici: dopo i doverosi ringraziamenti per l'impegno profuso dagli Alleati nella vittoria contro Hitler, infatti, il presidente della Federazione Russa ha proposto un paragone con la realtà di oggi, che vede gli antichi partner militari ricoprire un ruolo sempre meno chiaro nei confronti della patria ex-sovietica.
Non è questione da poco, e basta osservare la platea presidenziale per accorgersi dell'evidenza di queste parole: se per il sessantesimo anniversario del 9 maggio 1945, celebrato dieci anni fa, erano presenti cinquantatré dei sessantotto leader mondiali invitati, oggi accanto a Vladimir Putin se ne scorge meno della metà. Un clima che mostra quanto la crisi ucraina già costituisca un dramma diplomatico mai verificatosi tra Est e Ovest dalla fine della Guerra Fredda ad oggi, prima di apparire come un rischio insostenibile sui temi dell'economia dell'interdipendenza e della politica globalizzata. Accanto al segretario delle Nazioni Unite Ban-Ki-Moon spiccavano soltanto i volti del leader autoritario cinese Xi-Jinping e quelli di altre personalità non eccelse dell'area asiatica, come il presidente kazako Nazarbaiev, mentre USA e i Paesi dell'Unione Europea hanno scelto di disertare o di celebrare in tono minore l'evento.
Il nostro ministro degli Esteri Paolo Gentiloni è ad esempio stato accompagnato dall'omologo francese nell'omaggio al Milite Ignoto, senza però partecipare allo spettacolo offerto dall'esercito russo durante la parata della piazza Rossa. Così Angela Merkel, che ha visitato il premier russo soltanto il giorno dopo, a festeggiamenti ufficialmente conclusi. Considerate le sanzioni economiche ancora in atto, la scelta dei Paesi occidentali può ritrarre una logica di coerenza politica con quanto espresso negli ultimi mesi di guerra in Ucraina. Eppure non sono mancate le critiche, anche autorevoli, per quella che può essere stata un'altra occasione persa nel difficile processo di normalizzazione delle relazioni diplomatiche del post-Maidan.
In Italia si è levata la voce di Silvio Berlusconi, già paladino del rapporto bilaterale tra il Belpaese e la Russia (in un ben noto balletto di politica estera e di amicizie private che coinvolgeva anche la Casa Bianca di George W. Bush), con una lettera inviata alle pagine del Corriere della Sera. Il leader di Forza Italia spiega le ragioni del suo dissenso in due punti fondamentali: non si può ignorare l'importanza dello scambio economico tra Russia e UE, pur con le attenuanti politiche dell'invasione della Crimea, e sopratutto non si dovrebbe auspicare un allentamento dei legami con Putin in favore di una inevitabile maggiore integrazione tra Russia e Cina. Partecipare alla manifestazione di Mosca, prosegue Berlusconi, avrebbe dovuto essere uno dei punti mediatici utili per provare a rilanciare un'idea di cooperazione che è ancora possibile, ed è sicuramente preferibile rispetto ad uno scontro aperto contro il Cremlino. Uno scontro che nel futuro potrebbe perfino strutturarsi come un effettivo frazionamento geopolitico tra un Ovest liberale e frammentato contro un Est autoritario e monolitico.
Che abbia ragione o no l'inquilino di Arcore, questo 9 di maggio sembra aver rappresentato tutte le incertezze che segnano le relazioni internazionali di oggi. Con un'Europa ad un passo dall'implosione di fronte al braccio di ferro sul debito greco e sempre più confusa sul proprio ruolo di potenza regionale e di provider di sicurezza mondiale, e proprio mentre gli Stati Uniti si dividono in lotte parlamentari sulla firma dei fondamentali trattati di libero scambio con Asia ed Europa, in Ucraina la violenza continua ad infiammare le zone di confine senza che esista una strategia di lungo termine sostenibile da parte degli attori coinvolti. Senza nominare i teatri di guerra mediorientali e i nuovi conflitti africani, il caos politico di oggi potrebbe in effetti essere attenuato dall'osservanza semplici protocolli di cortesia tra le grandi e medie potenze. Una cortesia non solo rispettosa della memoria storica, ma anche proattiva verso un progetto di stabilizzazione che con tutta probabilità converrebbe ai Paesi occidentali, i quali, a differenza di Putin, non possono né dovrebbero sfruttare lo scontro internazionale per capitalizzare il consenso interno su posizioni nazionalistiche, e che al contrario vedono sempre più aumentare le difficoltà incontrate dalle imprese nazionali di fronte alla politica sanzionatoria rivolta contro Mosca.
Matteo Monaco
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