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La disfatta dei fatti

Da Straker
Molti si chiedono e ci chiedono per quali motivi gli ideatori delle varie operazioni false flag siano così sciatti e superficiali: qui un errore, là un buco nella sceneggiatura, qui un’incongruenza, là un’esagerazione... Sono tutti svarioni che rendono inverosimili gli eventi, improbabili certi particolari.
La disfatta dei fatti
Si considerino, a guisa di esempio, i “fatti” inerenti all’aereo della Malaysia airlines precipitato, ma che non è precipitato, in Ucraina. Gli artefici del misfatto hanno commesso tanti e tali sbagli nella costruzione dell’accadimento che, a volte, anche un fruitore sprovveduto ha l'impressione che qualcosa non quadri. Il particolare che non dovrebbe sfuggire neppure ad una persona animata da cieca fiducia negli organi di regime è quello dei passaporti: sono documenti intatti, senza una sola traccia di bruciatura, persino con la fodera di plastica integra. Tralasciati altri aspetti che solo osservatori attenti e smaliziati notano, perché tanto pressappochismo?
Le risposte possono essere le seguenti. In primis, i registi di queste pellicole ai “confini della realtà” sanno che il cittadino medio, ridotto a suddito votante, è di una stupidità assoluta. Crede in tutto quello che propina la televisione. Di fronte a qualche incoerenza, la sua mente piccola piccola all’inizio ha uno sbandamento, ma poi riorganizza il quadro generale del mondo affinché coincida con quello disegnato dal piccolo schermo. Costui è simile al bigotto che, non essendo in grado di rilevare alcune gigantesche illogicità dei Vangeli, basa la sua fede sulla catechesi per cui il Messia può essere nato contemporaneamente in due anni differenti, senza che ciò scalfisca i suo convincimenti.
Mai sopravvalutare l’opinione pubblica il cui tratto saliente è il non avere alcuna opinione. La gente non si pone domande e, anche se è sfiorata da un dubbio, la perplessità è subito eliminata in una concezione normalizzante che garantisca il quieto vivere a base di partita, birra e rutto libero.
Vedrei anche nelle sviste che punteggiano gli avvenimenti orchestrati dalla feccia mondialista delle provocazioni, quasi si volesse sfidare il manipolo di investigatori veri a scovare gli indizi di una macchinazione. Tanto sono i farabutti ad avere il coltello dalla parte del manico. Non è vero ciò che è vero, ma quanto essi affermano essere tale, contro ogni evidenza. Vedi alla voce geoingegneria clandestina e bis-pensiero orwelliano.
Qualcuno ritiene che, essendo la storia umana un gioco, ancorché crudele e con regole truccate, la disseminazione di tracce sia uno sprone affinché una minoranza dell’umanità possa evolvere attraverso una sempre maggiore presa di coscienza. E’ necessario lacerare i veli degli inganni e delle illusioni per acquisire una Weltanschauung più scaltrita e persino disincantata. E’ una spiegazione che ci pare plausibile, anche se abbisognerebbe di qualche rettifica su cui in questa sede non indugiamo.
Ciò esposto, crediamo che per comprendere le cause dell’incuria che dimostrano i registi degli eventi globali si debba focalizzare l’attenzione sulla natura assunta dal mondo attuale. La realtà di oggi è mediatica non solo perché è trasmessa dai media, ma soprattutto in quanto è mediata, filtrata, costruita dai media. Essi creano delle narrazioni, delle storie in cui sono più importanti la suspense e l’intreccio accattivante della verosimiglianza. Così i passeggeri degli aerei che si schiantano o spariscono sono morti, ma sono vivi. Il velivolo è un Boeing, ma hai i motori di un Piper. E’ caduto in due luoghi diversi. Ha seguito più corridoi. E’ stato abbattuto dai Russi, dagli Ucraini, dalle tartarughe Ninja, dai frombolieri di Corinto, da uno sciame di calabroni... Le liste dei viaggiatori cambiano di continuo, come il numero dei deceduti (possibilmente è un numero simbolico). I defunti resuscitano; i sopravvissuti non si riescono a rintracciare. Oggi su quel volo viaggiava uno scienziato nucleare, ieri si era imbarcato un gigolò di Tortona, domani salirà a bordo un ragioniere di Caniccattì. La madre di un ebreo ortodosso non conosce una parola di ebraico, ma parla con accento californiano ed è talmente disperata per il rapimento del figlio che se la ride. Che importa? Lo scopo di questi romanzi d’appendicite è scatenare un conflitto planetario. Molti giurano e spergiurano che ci riusciranno. Non importa come! Tanto il pubblico-spugna assorbe tutto, come fosse (e, in parte, lo è) un teleromanzo in cui la trama tanto più è avvincente, quanto più è imbrogliata e surreale. Le differenze tra realtà e finzione sono sempre più labili: la finzione spesso è più realistica ed esercita maggiore attrattiva su una massa anestetizzata e stupida. Si prova dolore non per gli innocenti che muoiono, ma per un contrattempo che ci impedisce di vedere una puntata di “Cento vetrine”.
Per parafrasare Walter Benjamin, ormai l’opera d’arte vive nell’epoca della sua falsificabilità tecnica. La televisione e la Rete permettono di falsificare, ritoccare i dettagli, cambiare il plot (ed il complotto) a posteriori, correggere gli errori di sceneggiatura, montare nuove sequenze, il tutto ad uso e consumo di spettatori scemi ma avidi di effimere emozioni: il 9 11 fu una tragedia... televisiva.
Invano oltre e dietro molte sequenze narrative cercheremo i fatti ed i nessi logici. I fatti, se mai sono esistiti, oggi non esistono più. Non esistono i fatti, ma solo le televisioni.

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