All’interno del Teatro Civile Festival di Monte Sant’Angelo intervista con Matteo Latino, vincitore del premio Scenario 2011 per le nuove drammaturgie contemporanee con lo spettacolo INFACTORY
Elena Scalia. Dal 20 al 24 luglio il Castello di Monte Sant’Angelo (Città Unesco) ha ospitato il Teatro Civile Festival di Legambiente che giunto alla sesta edizione è diventato un riferimento per gli artisti del teatro sociale, impegnati a denunciare, suscitare emozioni e riflessioni, proporre il cambiamento. Quest’anno il festival, come FestambienteSud, si è concentrato sul tema della crisi globale e della “fine del mondo”. http://www.festambientesud.it/index.php?lang=1&ch=teatro&cat=null. All’interno della sezione di teatro contemporaneo si sono susseguiti una serie di lavori che esplorano linguaggi teatrali differenti, ma tutti incentrati sull’osservazione e sull’analisi di una realtà sociale, politica, ambientale ed esistenziale i cui effetti risultano avere la stessa potenza di una vera e propria bomba a orologeria; una realtà che vista attraverso gli occhi di questi artisti pone domande ma esige al più presto anche risposte e soluzioni chiamando in causa ognuno di noi. Tra le varie compagnie il festival ha ospitato Matteo Latino/Teatro Stalla vincitore del premio Scenario 2011 con lo spettacolo INFACTORY. Ci è sembrato importante approfondire la conoscenza di questo artista/ “artigiano” e della sua poetica visiva che a nostro avviso elabora e riflette una condizione troppo spesso trascurata, quella della giovane generazione contemporanea.
1) La prima domanda riguarda la tua formazione artistica, ci puoi parlare del tuo percorso?
Ho incontrato il teatro da poco. Alla fine della Laurea in Economia a Napoli ho capito perché avevo scelto quel corso di laurea. I numeri e i loro equilibri sono un elemento fondamentale per il teatro e la scrittura che ho in mente. Subito dopo ho frequentato una scuola di recitazione a Roma. È stato un triennio impegnativo con un forte impatto. Gli studi erano indirizzati prevalentemente ad una formazione attoriale. Eppure ho sempre avuto una propensione alla costruzione della scena e del testo, questo grazie anche a Maestri che hanno saputo passare conoscenze importanti non relative solo al lavoro dell’attore in quanto interprete, ma arricchendo il lavoro con una visuale più ampia. Una volta andato via dal mio paese, pensavo di trovare qualcosa che la provincia, ancor di più la provincia del sud, non era stata in grado di darmi. Ho scoperto con piacere che avevo ricevuto tutto. Dovevo solo riconoscerlo. Finito il triennio di recitazione ho avuto altre esperienze di teatro, ma posso considerare INFACTORY e il PremioScenario come l’inizio di un percorso che mi vede lavoratore a tempo pieno nel teatro.
2) Come nasce il progetto Infactory? In particolare da dove viene l’immagine fondante dello spettacolo: la metafora tra i vitelli in stabulazione fissa prossimi al macello e la condizione della giovane generazione contemporanea?
I miei genitori possiedono un agriturismo. Per me questa struttura è tutto. Rappresenta tutte le mie debolezze e tutti i miei punti di forza. Per la costruzione dell’agriturismo la mia famiglia, che partiva da una situazione serena, ha investito tutto. Non solo dal punto di vista economico. Ma energie, emozioni, serenità familiare, scambi di idee, attenzioni, tutto ha subito una trasformazione da quando abbiamo iniziato a costruire questa struttura, dove non sempre il sacrificio e l’onestà trova la giusta retribuzione. Queste sono le verità del nostro Paese. Da qui che si deve partire per capire le difficoltà economiche, emotive e lavorative che affliggono oggi il Paese e in particolar modo la mia generazione. Una generazione che sarebbe dovuta diventare linfa nuova della società contemporanea, e che ancora non è in grado d’essere indipendente. Una generazione che spesso ha paura di rischiare, o che forse non sa rischiare.
Ora possiamo parlare dei vitelli. Ogni volta che andavo al caseificio dell’agriturismo a prendere i prodotti da servire ai clienti, attraversavo le stalle. E osservavo i vitelli. Fermi li. Di fronte al macello. Mi sono sempre chiesto se percepissero quella porta di ferro, rossa, come un pericolo. Di solito, quando si macella un animale, maiale, vitello, pecora o capra, qualsiasi animale, tutti gli animali della fattoria percepiscono il pericolo e si agitano. Nelle ore e alle volte nei giorni a venire diventano diffidenti. Non si avvicinano. E poi torna la fiducia. E riprendono a mangiare. Ed è li che si annida il pericolo. Bisogna continuare ad avere fiducia? Lo stesso accade a noi. Verso le Istituzioni, verso quell’educazione che riceviamo e che ci trasmette fiducia. Da piccoli ci fidiamo dei nostri genitori, come loro si fidano del Sistema. Credendo nella formazione dell’individuo attraverso un percorso di studi e una famiglia che perde sempre piu credibilità. Facendoci credere che un giorno potremmo essere liberi con le nostre conoscenze. Liberi di mettere in pratica tutte le conoscenze acquisite. Liberi di svolgere la professione per la quale abbiamo studiato. Eppure ci si ritrova di fronte a un macello economico, emotivo, sentimentale. Perché non ribellarsi? Perché i vitelli grossi cinque volte il loro carnefice non si ribellano con una cornata? Perché i giovani nel pieno delle loro forze, delle loro energie, non riescono a trovare la determinazione giusta e il coraggio indispensabile, per ribellarsi a questo macello? Questo è stato il punto d’incontro tra il vitello e me. Il divenire animale dell’uomo e il divenire uomo dell’animale. C’è un punto dove le due esistenze si incontrano nel loro divenire terza entità. E lì, che secondo Deleuze, possiamo trovare la poetica. Ho cercato di evidenziare questo punto d’incontro e di metterlo in scena.
3) Quali sono state le tappe e i tempi del processo artistico dell’opera?
Qui bisogna parlare del Premio Scenario e di come è strutturato il premio. Le fasi sono tre. Inizialmente viene presentato il progetto e cinque minuti dello spettacolo. Una volta superata la prima fase, si arriva in semifinale presentando venti minuti. Arrivati in finale si ripresentano i venti minuti. Ogni selezione prevede un colloquio con la commissione, che ha la funzione di indirizzare gli artisti. Per me i colloqui sono stati incontri di valore più che incontri di lavoro. Scambi di idee embrionali e di possibilità future che hanno permesso, a me e al mio lavoro, una crescita costante e costruttiva. Cosi come è strutturato, il premio permette uno sviluppo del progetto graduale e intenso, dandoti la possibilità di riflettere su ogni oggetto, parola e movimento.
Un altra tappa importante fondamentale per la realizzazione del progetto è stato l’incontro con il Kollatino Underground a Roma. Il Kollatino è la mia residenza artistica. Uno luogo dove si può lavorare con tutti gli strumenti indispensabili. Se non ci fosse stato il Kollatino sicuramente INFACTORY avrebbe avuto un’altra forma, influenzandone l’effetto. In più lavorare in uno spazio del genere diventa una scelta. Non significa soltanto portare avanti una semplice idea di teatro indipente, ma portare avanti uno stile di vita tale da permettere un piccolo cambiamento della società. E credo che alla base di ogni lavoro, di ogni individuo, di ogni opera d’arte deve esserci questo obiettivo. Altrimenti vivremo solo per realizzare la nostra piccola carriera, il nostro piccolo io, senza trasformare lì dove necessita una trasformazione. Credo che ognuno di noi abbia una funzione. La sfida di noi giovani, responsabili del futuro, è capire quale sia la nostra di funzione per poter esprimere tutto il nostro potenziale. Qualsiasi essa sia la forma. Il Kollatino mi ha aiutato ad avere un’indipendenza artistica. Non solo perché avevo uno spazio dove poter lasciare gli oggetti e dove provare, ma perché si è trasformato, e a sua volta ha trasformato me, in un’occasione di crescita. LA RICERCA. Questo ha permesso. Tralasciando l’esito ad un’osservazione più personale e intima, questi Spazi permettono di ricercare nuove forme di comunicazione ed espressione. Nuovi linguaggi e nuove tecniche di racconto, per aiutare sempre più, e qui torna il grande obiettivo, quello a lungo termine, per aiutare dicevo la società, a vivere meglio. Essere felici.
Dopo il debutto allo Short Theatre, farò lo spettacolo al Kollatino. Organizzando anche un piccolo cartellone stagionale. Partiamo con l’autunno. Poi si capirà. Intando stiamo tutti aspettando l’assegnazione dello spazio dalla Provincia che, come ogni cosa frutto del sistema occidentale, tarda troppo ad arrivare.
Ciò che rende Infactory un’opera d’arte di forte impatto emotivo risiede, a mio avviso, nel fatto che ogni immagine, azione, ritmo e parola arriva allo spettatore come agita, sofferta, lavorata, smussata, elaborata e costruita fin nei minimi dettagli. Questo spettacolo risponde ad un’urgente necessità interiore? Nasce ed è guidata da alcune domande guida?
Avevo una grande necessità, per questo sono nato. Per essere qui, in questo mondo, con questi tempi e con queste regole, bisogna per forza di cose avere una grande necessità. Io ne avevo una, altrimenti non avrei scelto nuovamente di nascere essere umano. Così ne aveva una lo spettacolo, che si è fatto strada nei miei pensieri, nelle mie quotidianità, fino ad emergere e presentarsi nella sua forma completa. Tutto quello che racconto, che descrivo con immagini, suoni, parole, è sempre stato dentro di me. Il mio unico impegno costante è stato quello di dargli una forma. Concretizzare la necessità, dandomi la possibilità di condividerla con altri. AGITO. Come ogni cosa, dietro la forma di presentazione c’è un lavoro enorme di preparazione. Sarebbe stato un errore raccontare INFACTORY eliminando la fatica fatta per realizzarlo. Questo è quello che a me piace vedere al teatro, al cinema, in un concerto, dietro una fotografia. Non la perfezione. Non mi interessa. Cerco la verità costruita con la giusta fatica. RITMO. Credo che siano due le funzioni che possa svolgere la musica all’interno di uno spettacolo. Una quella emotiva. L’altra è quella fisica. Uso prevalentemente la musica per soddisfare una necessità fisica. Lo spettacolo inizia con lo JumpStyle. Una tecnica di ballo che ho scoperto da poco e che subito mi è sembrata potermi tornare utile. Cosi per la musica techno.
Arrivo in sala prove che è tutto scritto. Le immagini definite. Per questo mi aiuto molto con i disegni, che poi sono diventate vere e proprie illustrazioni. Dove non rappresento spazi scenici, ma condizioni emotive.
Ciò che rende possibile questo è la volontà incessante di sapere. Il desiderio di dire, pensare, rappresentare. È un processo fatto di tante piccole negoziazioni tra differenti livelli di desiderio, in costante movimento tra scelte consapevoli e pulsioni inconsce.
5) I due personaggi, vista la loro interscambiabilità e l’assenza di dialogo, sono la stessa persona o rappresentano due persone con il medesimo vissuto?
L’ ho capito mentre scrivevo che erano facce diverse della stessa medaglia. Una volta realizzato che il vitello e il ragazzo viaggiavano sulla stessa frequenza, non ho fatto altro che assecondare il tutto con la scrittura e con i disegni. In fondo, non possono essere che due emotività della stessa entità. L’uno diviene l’altro. Come sostiene Deleuze con la sua teoria del DIVENIRE. Muore uno per lasciare spazio alla morte dell’altro.
6) Ad un anno dal premio Scenario, che riscontro ha avuto lo spettacolo tra gli spettatori?
Questo lo dovrebbe chiedere a loro. Io posso dire che come prima esperienza di regia, scrittura e gestione di uno spettacolo sono più che contento. Ancora di più perché ho vinto un premio. Naturalmente le difficoltà sono triplicate all’improvviso. Ma credo di aver tenuto botta. Va considerato poi che viviamo un periodo di profonda crisi. E questo non aiuta chi vuole iniziare un percorso da zero. Ma ormai credo che la mia generazione, e questo lo dimostra lo spettacolo, ne è consapevole.
7) I tuoi progetti lavorativi futuri?
Dopo lo spettacolo ho pubblicato INFUMETTO INFACTORY e ho realizzato il corto cinematografico INFACTORY INMOTION. Ora sto lavorando al nuovo spettacolo BAMBY SEYS FUCK e alla performance CONTAINER.
Infine sto cercando di realizzare la dimora del Teatro Stalla. Ossia la trasformazione di una parte delle stalle dell’ Agriturismo MonteSacro in un teatro – sala prove, dove poter lavorare e ospitare altri gruppi. Spero a breve di poter realizzare questo obiettivo.