Magazine Attualità

La dubbia parabola ascendente di Assad

Creato il 15 dicembre 2011 da Yleniacitino @yleniacitino

La dubbia parabola ascendente di Assad

da www.ragionpolitica.it

Lo avevano dato per spacciato. O moribondo, per lo meno. Stando alle conclusioni affrettate di molti commentatori, lo scoppio della Rivoluzione dei gelsomini avrebbe contagiato anche quella terra. Forse, si era detto, la verve agitatrice avrebbe facilitato lo strappo dal potere anche in capo al temibile e dinastico reggente in Siria. Eppure, se alla primavera araba va ascritto il merito di aver depennato tre pesanti dittature, a nulla sono valse le analoghe proteste contro il governo di Damasco, se non a fomentare un criminoso e quotidiano eccidio.

Bashir al-Assad sembra quasi uscirne rafforzato, visto che la comunità internazionale rimane tuttora lacerata sulle misure da prendere in concreto. Ma quanto può resistere? Le pressioni sull’economia siriana stanno aumentando progressivamente dal momento in cui la Lega araba, gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno deliberato l’imposizione di sanzioni economiche senza precedenti: stop agli investimenti in Siria, stop al commercio e alle importazioni se non per i beni primari, stop agli affari con la Banca Centrale Siriana. La Turchia ha seguito a ruota questa strategia.

Così, ad oggi la Siria ha visto contrarsi le sue riserve di valuta estera di circa 18 miliardi di dollari e, a causa dei blocchi, la lira siriana non viene acquistata più nemmeno sul mercato nero, tanto è basso il suo valore. È difficile poter fare previsioni sulla resistenza di un’economia già provata. Certo, la Siria non è la Corea del Nord, non potrebbe sopravvivere a lungo ad un regime di autarchia finanziaria eteroindotto. A meno che il meccanismo non presenti delle falle così vistose da permetterle di salvarsi. E lasciare il campo sgombro ad Assad e al suo potente clan familiare-religioso. A livello regionale, infatti, l’Iraq ha mostrato chiaramente di non voler aderire alle contromisure sanzionatorie e la Russia continua a sostenere le spese militari dell’alleato siriano.

L’Iran, che sposa i medesimi interessi di Assad, non ha smesso neanche un solo istante di commerciare con Damasco. Non che la Siria sia un paese a forte produzione petrolifera. Eppure, è una pedina importante dello scacchiere della penisola araba e del Golfo perché sul suo territorio si dà asilo ai gruppi militanti palestinesi di Hamas e a quelli libanesi di Hezbollah. Dunque, Israele sta sempre sul chi va là, in ragione delle contestazioni siriane sulle alture del Golan, e si trova ad essere sponsorizzata dagli Americani, che vorrebbero sottrarre la Siria dall’orbita iraniana (leggasi russa).

Da Mosca, invece, si monitora con cautela la situazione non solo per i forti legami economici ma anche per paura che lo scoppio di un’eventuale guerra possa contagiare l’instabile regione del Daghestan, da sempre teatro di episodi di separatismo e tensioni etniche di matrice islamica. Contro Assad, invece, oltre al mondo occidentale, c’è la Turchia, che ha rovesciato la sua vecchia alleanza per emergere come nuova potenza e mostrare un radicale cambiamento di rotta nel suo tracciato diplomatico. Ma ci sono anche molti paesi del Golfo per un diverso motivo, ovvero rovesciare il governo di minoranza elitaria alauita e favorirne uno sunnita. Cosa che provocherebbe non pochi fastidi agli sciiti persiani.

Insomma, esiste un tale bilanciamento di forze da mantenere stabile quell’equilibrio che sta consentendo alle Forze Militari Siriane di agire incontrastate, fino al punto da cagionare la morte di 5000 innocenti, ciò che in diritto penale internazionale si configura come crimine contro l’umanità. Lo ha sottolineato di recente anche Navi Pillay, Alto Commissario Onu per i diritti umani, criticando l’incapacità del Consiglio di Sicurezza di pervenire ad una risoluzione di condanna, a causa dello stallo determinato dal veto russo e cinese. Intanto, Assad, in un’intervista rilasciata al «The Guardian», si lavava le mani affermando che le Forze non sono sue, ma «appartengono dal governo»e che «nessun governo uccide il suo popolo, solo un governo retto da un folle lo farebbe». Giustificazioni che ai più paiono quasi oltraggiose, se confutate con i video postati di ora in ora su YouTube, in cui si mostrano agenti della Polizia Siriana e miliziani della Shabiha che aprono il fuoco su manifestanti disarmati o colpiscono senza apparente ragione i cittadini scesi in piazza.

Se il regime di Assad sembra ben tutelato sotto il profilo economico-finanziario, così non sono i suoi cittadini, gli unici a patire i costi della scarsità di cibo e dell’inflazione. Ben Alì è stato mandato in esilio, Gheddafi ucciso, Mubarak processato. Ma non è detto che il popolo siriano sia altrettanto forte per aprirsi la propria via verso la libertà.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :