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La duratura importanza di Keynes

Creato il 18 settembre 2013 da Keynesblog @keynesblog

Skidelsky

di Lord Robert Skidelsky  

Permettetemi di cominciare col dire qualche parola su Keynes e gli economisti italiani. Keynes aveva conosciuto Luigi Einaudi, un professore di finanza pubblica all’Università di Torino, alla Conferenza di Pace di Parigi nel 1919. Nel 1921, Keynes commissionò un articolo sulla finanza pubblica italiana ad Einaudi, un articolo destinato ai Manchester Guardian Reconstruction Supplements, dei quali Keynes era curatore. L’articolo fu pubblicato nell’ottava edizione, in data 28 settembre 1922. Il 7 dicembre 1921, Keynes fece la conoscenza a Londra di Piero Sraffa, uno studente ventitreenne di Einaudi, che gli si presentò con una lettera di presentazione scritta dal Professore Salvemini. Il rapporto con Einaudi si spense, quello con Piero Sraffa fiorì. Nel corso del tempo, questo rapporto diede vita alla caratteristica scuola italiana di economia keynesiana Sraffiana o neo-Ricardiana, della quale Pierangelo Garegnani, Luigi Pasinetti e Alessandro Roncaglia sono stati degli esponenti illustri.


Non esistevano le condizioni per un’amicizia intellettuale tra Keynes e Einaudi. Nella mia biografia ho scritto ‘Keynes, naturalmente, aveva buoni amici liberali in Europa, risalenti all’epoca delle sue attività alla Conferenza di Pace e nel Ministero del Tesoro. Il problema era che i liberali europei erano contro gli esperimenti sociali, mentre coloro che erano a favore erano antiliberali’. Keynes era un liberale a livello politico, ma per quanto riguardava l’economia, egli era un interventista, o antiliberale come il liberismo economico veniva definito a quell’epoca. Questo fatto lo separava dai liberali come Einaudi, per i quali il laissez-faire era parte integrante del loro liberismo.

Il rapporto tra Keynes e Sraffa fu molto più stretto. Come è noto, Keynes lo fece venire a Cambridge, nonostante il fatto che Sraffa provasse orrore per l’insegnamento, e infine gli trovò un posto come curatore dell’edizione della Royal Economic Society degli articoli di Ricardo. Sraffa fu un protetto personale di Keynes, ma egli aveva una mentalità decisamente troppo autonoma per diventare un protetto intellettuale. Inoltre, egli proveniva da una tradizione intellettuale di tipo diverso.

Come è stato ben documentato, fra le due guerre ci furono due ‘rivoluzioni’ a Cambridge. La prima fu lo sviluppo della teoria della domanda effettiva associata a Keynes. La seconda fu l’attacco alla teoria marginalista del valore e della distribuzione associata a Sraffa. Durante una conferenza, quando Laurie Tarshis chiese ‘se Keynes prese parte attivamente all’altra rivoluzione …’ il Professore Austin Robinson replicò: ‘quasi per niente’. Joan Robinson si ricordava che Sraffa aveva mostrato a Keynes il manoscritto del suo libro The Production of Commodities by Commodities (che non fu pubblicato fino al 1960) nel 1928. ‘Keynes evidentemente non ne ha dato molta importanza …’ In cambio, Sraffa non ha praticamente preso parte alla rivoluzione keynesiana1. Qui c’è un enigma, perché, come è stato sottolineato da uno studioso, ‘il contributo di Keynes all’analisi economica ….si inserisce con meno difficoltà nella descrizione alternativa del valore e della distribuzione fornita dall’approccio surplus sviluppato da Ricardo e perfezionato da Marx e Sraffa’.2 

A questo punto sono tentato di fare una più ampia, ma mi auguro non irragionevole, ipotesi in merito all’origine della disaffezione di Keynes per l’economia italiana del suo tempo. L’economia italiana era legata alla comunità più ampia di economia in due modi. Uno conduceva, attraverso l’enorme contributo di Vilfredo Pareto, alla matematica-scientizzazione dell’economia e conseguente sviluppo del paradigma marginalista. L’altro legame era con la più antica tradizione Ricardiana ‘classica’, di cui il Marxismo fu la più importante propaggine politica. Keynes ripudiava entrambi. La sua General Theory fu un attacco sia al sistema Walrasiano di autoregolamentazione dei mercati che alle ‘fondamenta Ricardiane del Marxismo’.3 

Infatti, egli raggruppava entrambe le tradizioni nel suo attacco alla teoria ‘classica’, che secondo lui aveva preso una svolta decisamente sbagliata con Ricardo. Trasformare Keynes in un neowalrasiano dopo la sua morte già implicava una grande distorsione del suo contributo; il tentativo di trasformarlo in un neoricardiano potrebbe sembrare un’impresa destinata al fallimento, ma, come illustrerò, esiste un motivo per farlo.

Keynes e le Aspettative Incerte 
L’interpretazione neoricardiana di Keynes è un tentativo di usare la teoria classica di valore e distribuzione per fornire delle micro-basi ricardiane per la teoria di domanda effettiva di Keynes. Infatti, viene fatta una forte affermazione che la ‘teoria generale’ di Keynes fallisce come teoria generale a meno che ciò non si faccia, poiché Keynes non era riuscito a dimostrare nulla oltre la presenza di ‘imperfezioni’ nel sistema di mercato che impedivano l’autoregolamentazione istantanea dei mercati. Questo ha fatto della sua teoria un ‘caso speciale’ della teoria neoclassica, ottenuto grazie all’aver imposto le restrizioni ad hoc sulla flessibilità salariale e dei prezzi.

Sono tentato di dire che i neoricardiani hanno tentato di inventare una ‘teoria generale’ più coerente basandosi sulla frase di apertura delle ‘Note Conclusive’ della Teoria Generale di Keynes: ‘I difetti lampanti della società economica in cui viviamo sono la sua incapacità di provvedere alla piena occupazione e la sua distribuzione arbitraria e iniqua della ricchezza e dei redditi’.4 La pertinenza della suddetta teoria con il primo di questi è evidente. Ma ci sono anche due aspetti importanti in cui è pertinente col secondo. In altre parole, vogliono farsì che il livello di occupazione dipenda dalla distribuzione del reddito. Keynes non ha fatto della distribuzione del reddito un fattore determinante dell’occupazione in General Theory. In effetti, ai fini della sua teoria, egli prese come presupposto la ‘distribuzione del reddito nazionale’. Tuttavia, uno dei suoi fattori determinanti dell’occupazione, ‘la propensione al consumo, può essere interpretato come ricardiano, o perfino marxista, e cercherò di farlo nelle mie conclusioni. Ma prima vorrei specificare quale sia secondo me il punto principale del contributo di Keynes, in particolare in relazione alla crisi attuale.

L’opinione più diffusa sul recente crollo bancario è che sia stato causato dall’errata valutazione del rischio. In effetti abbiamo l’autorevolezza di Alan Greenspan per affermare proprio questo, e lui più di tutti dovrebbe saperlo. Dietro a ciò sta il concetto che il rischio possa essere valutato correttamente, ma che gli insuccessi dell’informazione o degli incentivi hanno ostacolato la scoperta di questi prezzi corretti da parte dei mercati. La chiave di prevenzione di altre crisi è dunque una migliore ‘gestione del rischio’ da parte delle banche e dei regolatori. La disputa principale è tra coloro che dicono che i rischi sono sempre valutati correttamente e coloro che riconoscono che gli shock esogeni o gli incentivi disallineati possono far sì che i prezzi di mercato deviino temporaneamente dai prezzi corretti indicati dai ‘fondamentali’.

Per contrasto, Keynes faceva una distinzione fondamentale tra il rischio e l’incertezza. Il rischio è quando le probabilità possono essere conosciute (misurate); l’incertezza esiste quando non si possono conoscere queste probabilità. L’economia keynesiana si costruisce sull’irriducibile incertezza. E’ un’incertezza in cui la nostra conoscenza del futuro è ‘solitamente molto minima e spesso irrilevante’ e in cui le aspettative sono frequentemente soggette alla delusione.5 Questo rende la teoria dell’investimento ‘un metodo inadatto per i metodi della teoria economica classica’.6 I modelli di previsione, che suppongono che si hanno le probabilità calcolabili, sono fondamentalmente dei prospetti fraudolenti. Per farla breve, l’affermazione principale di Keynes era epistemologica: un rifiuto del parere che i partecipanti del mercato abbiano una conoscenza perfetta, o perfino sufficiente, degli eventi futuri. Egli identificava questo come il tacito presupposto chiave della teoria classica del mercato autoregolamentante. Tutto ciò che la teoria delle aspettative razionali ha ottenuto è di rendere esplicito questo presupposto. Fondamentalmente è questo il risultato del rovesciamento della rivoluzione keynesiana.

Che cosa è stato a rendere impenetrabili al calcolo probabilistico grandi parti del futuro? Il mio esempio preferito dagli scritti di Keynes è la sua descrizione di una mela dotata di caratteristiche ‘umane’. La fisica newtoniana ci dice che la mela cadrà a terra sempre ad una velocità determinata dalla forza esercitata su di essa divisa per la sua massa. Ma nessuna previsione del genere può essere fatta in relazione alla mela ‘umana’. Keynes scrive: ‘E’ come se la caduta a terra della mela dipendesse dalle motivazioni della mela, se vale la pena di cadere a terra, se la terra volesse la caduta della mela, e dai calcoli errati da parte della mela su quanto distasse dal centro della Terra’.7 

Una parte dell’incertezza sulla velocità della caduta della mela può essere attribuita agli errori matematici da parte della mela (‘calcoli errati’), che in linea di principio sono correggibili. Tuttavia, le principali caratteristiche ‘umane’ di cui Keynes dota la sua mela sono le ‘motivazioni’ e le ‘intenzioni. Sono queste le caratteristiche che spezzano il nesso tra l’economia e la fisica, e che rendono l’economia una scienza ‘morale’, non ‘naturale’. Il punto di Keynes è che l’economia ‘affronta l’introspezione e i valori …. le motivazioni, le aspettative, le incertezze psicologiche’. Il futuro non può essere previsto, perché il futuro è imprevedibilmente variabile. In gran parte è imprevedibilmente variabile perché è come noi scegliamo di renderlo. Questo punto di vista implica una grande limitazione dell’applicabilità dell’econometria. Fondamentalmente, Keynes credeva che potesse essere applicata soltanto in quei settori in cui il rischio è misurabile. Questo escludeva molti dei rischi a cui si è esposti nei mercati di investimento.

La tecnica principale che adottiamo per far fronte ad un futuro incerto è quella di attribuire dei numeri ai rischi – di supporre che questo sia calcolabile. Questo è ciò che fanno i modelli di previsione matematica, utilizzando una qualche versione del teorema di Bayes per trasformare le scommesse soggettive in probabilità oggettive. Fare questo ci dà la sicurezza di cui abbiamo bisogno per investire. Ma è una falsa sicurezza. Mentre scommettere ripetutamente sui cavalli vi consente di aggiornare le vostre scommesse per allinearle ai ‘veri’ meriti dei cavalli, non esistono i dati sugli eventi economici passati in grado di farvi avvicinare alla reale probabilità che essi si verifichino nel futuro, perché il futuro sarà sicuramente diverso dal passato. Noi utilizziamo la matematica per inventare un mondo di probabilità calcolabili, che poi mettiamo allo specchio del mondo reale.

Considerare il futuro calcolabile è compatibile, come notato da Keynes, con una notevole quantità di stabilità. Prima di tutto, il futuro a brevissimo termine è calcolabile: la domanda di prodotti probabilmente non cambierà di molto; in questo settore le aspettative razionali sono una stilizzazione plausibile. Inoltre, le previsioni matematiche possono influenzare il futuro che pretendono di prevedere, perché determinano le nostre aspettative. Se tutti sono concordi che i prezzi degli immobili dovrebbero essere in salita, essi continueranno a salire.

La tecnica per trasformare l’incertezza in rischio calcolabile si basa sulla convenzione che ‘la situazione attuale continuerà a tempo indeterminato, tranne che nella misura in cui ci sia uno specifico motivo per prevedere un cambiamento nel prossimo futuro …stiamo supponendo, infatti, che la valutazione del mercato attuale, qualunque sia stato il metodo per effettuarla, sia singolarmente corretta in relazione alla nostra conoscenza attuale, e che la situazione cambierà soltanto in proporzione ai cambiamenti nella nostra conoscenza’. Questa convenzione viene facilitata dall’abitudine di vedere il lungo periodo come una successione di periodi molto brevi, generando l’illusione che in ogni momento l’investitore sia dotato di tutte le informazioni disponibili riguardo al futuro corso dei prezzi delle azioni. In un suo passo molto sottile Keynes scrive che, attraverso l’utilizzo della convenzione, l’investitore può ‘legittimamente incoraggiare se stesso grazie all’idea che l’unico rischio che egli corre è quello di un vero cambiamento delle notizie nel prossimo futuro’, il quale è improbabile che sia molto grande. ‘Di conseguenza per il singolo investitore l’investimento diventa ragionevolmente ‘sicuro’ per brevi periodi e quindi per tutta la successione dei brevi periodi …se egli può contare abbastanza sulla mancanza di interruzione della convenzione’.8 

L’imperfezione nel metodo è il fatto che prescinde dall’incertezza partendo dal presupposto che il futuro sia costituito da una successione di intervalli molto brevi. All’atto pratico, il rendimento atteso di un investimento su un certo numero di anni è soggetto ad ogni tipo di incognita per quanto riguarda la situazione futura di domanda per le diverse categorie di investimento, determinata dai tassi d’interesse e d’inflazione, dai tassi di cambio, dalle modifiche tecniche, e così via. Il presupposto dell’ ‘ipotesi di mercato efficiente’ che tutte le informazioni rilevanti sui prezzi futuri dei titoli sono già contenute nei loro prezzi attuali è eroico quanto la convinzione che l’analisi fondamentale ci fornirà le informazioni attendibili del corso futuro delle variabili economiche sia micro che macro. La prima non riesce a spiegare come i prezzi attuali possono divergere dai cosiddetti valori ‘intrinsechi’; la seconda presuppone la conoscenza di cose per le quali non esiste una base scientifica. Keynes credeva che l’incertezza costringe l’investimento professionale a diventare speculazione, poiché nessuno può permettersi di rimanere con una moneta senza valore alla fine dei giochi. Keynes scrisse: ‘Gli speculatori non possono nuocere in qualità di bolle in un flusso costante di impresa. Ma la situazione è grave quando l’impresa è una bolla in un mulinello di speculazione. Quando lo sviluppo del capitale di un paese diventa un sottoprodotto delle attività di un casinò è probabile che il lavoro venga fatto male’. 

Qualsiasi considerazione del futuro basata su ‘fondamenta così fragili’ è soggetta a ‘cambiamenti improvvisi e violenti’ appena cambiano le notizie, poiché non vi è alcuna base di conoscenza reale per tenerla stabile. ‘Il mercato sarà soggetto alle ondate di opinioni ottimistiche e pessimistiche, che sono irragionevoli ma tuttavia in un certo senso sono legittime, dove non esiste una base solida per un calcolo ragionevole’. Improvvisamente tutti cominciano a rivedere le loro scommesse. ‘L’abitudine della calma e dell’immobilità, della certezza e della sicurezza viene meno. All’improvviso le nuove paure e le nuove speranze assumeranno il controllo del comportamento umano. Le forze della disillusione potrebbero improvvisamente imporre una nuova base convenzionale di valutazione. Tutte queste tecniche graziose ed educate, create per una sala di consiglio rivestita di pannelli meravigliosi e per un mercato ben regolamentato, rischiano di fallire’. (CW, xiv, 114-5).

Questa è la migliore spiegazione teorica che io abbia mai conosciuto per il tracollo nell’autunno del 2008.

Ora, se si vuole farlo, si può chiamare l’‘incertezza’ con il nome ‘imperfezione del mercato’, riducendo il suo status ad informazioni ‘imperfette’ o ‘incomplete’. In sostanza questo è ciò che i ‘nuovi keynesiani’ hanno fatto. Possiamo quindi applicare la stessa procedura alla teoria sulla preferenza di liquidità di Keynes e alla sua spiegazione del perché è poco probabile che le riduzioni di salari in denaro aumentino la quantità di occupazione (o perché non avvengono affatto). Con tali metodi l’economia convenzionale può continuare il suo cammino e relegare Keynes in un ghetto teorico, pur riconoscendo l’importanza pratica per la politica delle varie imperfezioni nella purezza di mercato che egli individuò.

Si ritorna a Ricardo? 
Tuttavia, esiste un problema nel spiegare ciò che Keynes volesse veramente dire. The General Theory si basa su aspettative incerte, ma questo non è l’argomento del libro. Si tratta di una teoria sull’equilibrio – una teoria sull’‘equilibrio della sottoccupazione’ – nella quale le aspettative sono considerate come un dato di fatto. Il crollo è accaduto; non ci viene raccontato cosa lo ha causato. E’ come se qualcuno fosse caduto in una buca. Noi non sappiamo perché ci è caduto dentro. Forse qualcuno lo ha spinto, forse ci è caduto dentro perché è inciampato. Tutto ciò che sappiamo è che non può uscire dalla buca senza l’aiuto di qualcuno. Ciò che Keynes ha fatto è unire l’instabilità finanziaria e l’adeguamento di rendimento per ricavare una teoria sul persistere della disoccupazione.

E si potrebbe argomentare che il nesso sia artificiale: nessuna delle due cose è dipendente dall’altra. Si può avere una teoria sull’instabilità finanziaria che non porta alla disoccupazione quasi permanente; e si può avere una teoria sulla disoccupazione quasi permanente che non dipende dall’esistenza dell’instabilità finanziaria. Si tratta del divario attraverso il quale, se non vado errato, i neoricardiani sono entrati.

Per poter capire come, consentitemi di ritornare all’affermazione di Keynes di aver ‘respinto’ le ‘fondamenta ricardiane del marxismo’. Cosa voleva dire con ciò? E’ noto che l’economia ricardiana era ‘un’indagine sulle leggi che determinano la divisione dei prodotti dell’industria tra le classi che contribuiscono a formarla’. La forza di queste leggi era ritenuta alla pari con le leggi della natura, e che quindi fosse immune alle modifiche – tranne temporaneamente – provenienti dall’azione pubblica.

C’era un singolare tasso di profitto associato con l’equilibrio: per cui delle ottime ragioni per laissez-faire. La ‘legge di ferro dei salari’ di Ricardo – che diceva che i salari non potevano mai superare i salari di sussistenza – era basata sul diritto della popolazione di Mathus. Marx ha sostituito il valore del surplus con il surplus della popolazione.

I cicli maltusiani di popolazione divennero cicli di occupazione marxisti: i profitti capitalisti potevano essere mantenuti soltanto attraverso il costante creare e ri-creare un ‘esercito di riserva dei disoccupati’. Quindi la crisi capitalista, per i marxisti, è stata il risultato diretto di un metodo di produzione in cui una classe (la classe capitalista) era in grado di privare una classe molto più numerosa (i lavoratori) della loro forza di lavoro, la quale era la fonte di ogni valore. Questa situazione ha portato alle crisi attraverso varie strade, ma la fonte delle crisi era la stessa: lo sfruttamento. Il rovesciamento delle ‘fondamenta ricardiane’ effettuato da Keynes consisteva nell’affermare che la produzione e l’occupazione potevano essere limitate dalla mancanza di domanda effettiva; e che nella maggior parte dei casi, e particolarmente quando la disoccupazione era pesante, potevano essere incrementate con delle azioni governative per aumentare la domanda effettiva. Non è assolutamente stato il risultato di una particolare distribuzione del reddito come affermavano i marxisti e i socialisti di sinistra come Hobson.

Keynes stava facendo una considerazione politica, una considerazione cruciale per il suo ruolo come ‘salvatore’ del capitalismo. La disoccupazione di massa non era il risultato di un’errata distribuzione del potere d’acquisto: era il risultato di capacità inutilizzate, non comandate né dai ricchi, né dal potere. In altre parole, l’espansione della domanda attraverso il trovare un uso produttivo per le risorse inutilizzate avrebbe giovato sia ai salari che ai profitti, lasciando invariate le quote di reddito delle diverse classi. E’ facile vedere come la politica di piena occupazione adottata da tutti i governi occidentali dopo la seconda guerra mondiale è divenuta la base di un nuovo consenso sociale. Con la produttività in rialzo, la piena occupazione e l’accumulo di profitti nelle mani di entrambe le classi attraverso i poteri di controbilanciamento dei governi e dei sindacati, la lotta di classe sarebbe stata inghiottita da un’ondata crescente di prosperità.

Tuttavia, c’erano due aspetti dell’argomento di Keynes che indicavano delle conclusioni piuttosto inquietanti. La sua genialità politica è stata quella di capire che, quando il problema consisteva in capacità inutilizzate, la ridistribuzione fosse un problema minore che poteva essere rinviata. Ma per la stessa ragione, la sua economia gettò poca luce su cosa accadrebbe alle quote salariali e ai profitti delle classi una volta che le sue politiche avrebbero ottenuto la piena occupazione in condizioni dove i sindacati fossero in grado di imporre gli aumenti salariali in anticipo della crescita della produttività. In una tale situazione, sarebbe necessario che i datori di lavoro ricreassero l’‘esercito di riserva dei disoccupati’ di Marx per rimanere in attività? Oppure il governo sarebbe costretto ad aumentare il tasso di inflazione per mantenere i profitti più alti dei salari? Quest’ultima ipotesi è ciò che Jacob Viner presumeva sarebbe accaduto una volta che la società si fosse abituata alla piena occupazione.9Keynes stesso ha ammesso che ‘non aveva nessuna soluzione …per il problema dei salari in un’economia a piena occupazione’.10 Anche i marxisti credevano che la lotta di classe sarebbe ricominciata con la piena occupazione e che i tentativi di sconfiggerla con l’inflazione avrebbero creato soltanto una soluzione temporanea. A lungo andare, quindi, il capitalismo era impegnato a mantenere un ‘esercito di riserva’ dei disoccupati che potesse fungere da freno ai salari. Dove i marxisti sbagliavano era nel credere che una tale situazione, in cui i poveri ed i disoccupati erano protetti dai sussidi statali, avrebbe portato a disordini sociali diffusi. Proprio come questi ultimi giorni in Grecia hanno dimostrato, è soltanto quando una incombente bancarotta al livello governativo minaccia di revocare questi sussidi che la lotta di classe si intensifica.

Ma esiste un motivo molto più potente per l’entrata neoricardiana nel sistema keynesiana, e si trova nell’influenza dei consumi sull’investimento e sulla domanda effettiva. La teoria pre-keynesiana riteneva che ci fosse una relazione inversa tra i consumi e gli investimenti. Keynes ha ribaltato questa teoria, ritenendo che in condizioni di disoccupazione più erano alti i consumi e più elevato sarebbe stato il reddito nazionale e di conseguenza maggiore sarebbe stato il risparmio della comunità per poi poter finanziare un aumento degli investimenti.11 Il nesso di causalità, perciò, non era tra il risparmio e gli investimenti, ma tra il consumo e gli investimenti – e alla fine, al consumo senza gli investimenti quando la domanda di beni capitali si saturava. Keynes, a ogni modo, riconosceva il fatto che, in un’economia in crescita, sarebbe molto più facile mantenere la piena occupazione se il denaro andasse meno ai ricchi e più ai poveri, per via della maggiore propensione al consumo di questi ultimi.

Sin dagli anni Ottanta operiamo in base ad un principio completamente diverso, consentendo alle disparità di reddito di aumentare fino ai livelli normali negli anni venti, ma che pensavamo fossero stati eliminati. In tutto il mondo occidentale il livello mediano dei redditi è sceso come percentuale del P.I.L.; e a livello mondiale c’è stata una maggiore disuguaglianza tra i paesi ricchi e quelli poveri. In gran parte questa è stata causata dall’abbandono della politica della piena occupazione, dalla deregolamentazione del sistema finanziario e dalla liberazione dal controllo nazionale del capitale. Una delle conseguenze del nuovo paradigma è che lo stato del welfare come base del contratto sociale è stato sostituito dall’accesso al credito.

Come un commentatore americano ha scritto, ‘Mantenere la crescita della spesa per i consumi richiede un continuo eccessivo indebitamento ed una continua riduzione del tasso di risparmio.’ Un continuo eccessivo indebitamento richiede che i prezzi dei beni e il rapporto debito/reddito siano sempre più alti; di qui la sistematica necessità delle bolle (che alla fine scoppiano). Nel frattempo, quando il tasso di risparmio arriva a zero, è quasi impossibile ridurre ulteriormente. Di conseguenza, alla fine si esauriscono entrambi gli elementi di motore della domanda’. E ‘il trionfo della politica della globalizzazione ha accelerato il processo e lo ha trasformato in crollo finanziario’.12 

Signor Presidente, Rettore Magnifico, Signore e Signori, questo crescente divario tra ricchi e poveri è, secondo me, la vera crisi del nostro tempo. E’ una crisi economica, politica e umana. Per superarla, abbiamo bisogno di una nuova economia politica radicata in Keynes, ma che si ispira ai neoricardiani, nonché di un modo più compassionevole per mettere in atto l’economia.

Note:
(1) Joan Robinson, ‘Keynes and Ricardo’, Journal of Post-Keynesian Economics, 1,I, Fall 1978, pp.12-18
(2) Murray Milgate, Capital and Employment: A Study of Keynes’s Economics, 1982, p.6. Le citazioni sono tratte dal mio saggio ‘Keynes e Sraffa: Un Caso di Non-Communicazione’: estratto dal volume a cura di Riccardo Belliofore, Tra teoria economica e grande cultura europea: Piero Sraffa, Milano, Franco Angelli, 1986.

(3) Come ha espresso in una lettera scritta a G.B.Shaw, 1 gennaio 1935, citato in R. Skidelsky, John Maynard Keynes: The Economist as Saviour, 1992, p.521
(4) John Maynard Keynes, Collected Writings, vol.vii,1973, p.372. In seguito, JMK,CW.
(5) Ibid., vol.VII, 194,293-4.
(6) Ibid., vol.XIV,1973 p.113
(7) Ibid., vol..XIV, p.300
(8) JMK, CW,VII, pp.152-3
(9) In John Cunnington Wood (ed) John Maynard Keynes: Critical Assessments (4 volumi), 1983, ii,p. 83.Viner scrisse: a quel punto ci sarebbe ‘una costante gara tra la macchina tipografica e i sindacati, con il problema della disoccupazione in gran parte risolto se la macchina tipografica riuscisse a rimanere costantemente in testa …’
(10) CW,XXVII,385
(11) Vedi Ibid., VII, p.373
(12) Thomas Palley, ‘America’s Exhausted Paradigm: Macroeconomic Causes of the Financial Crisis and Great Recession’ New American Foundation, Washington DC, 2009, pp. 14,16

 (*) Lectio Magistralis tenuta all’Università Roma

da il Sole 24 Ore del 16 febbraio 2010


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