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Mi raccontano che Catania, a cavallo tra gli anni '60 e '70, veniva considerata a ragione la Milano del Sud. Io ricordo poco di quel periodo di espansione che fece lievitare la popolazione fino ai 400.000 residenti: l'unica conseguenza vissuta sulla mia pelle furono i turni pomeridiani degli anni trascorsi alle scuole elementari. Poca cosa per una bambina cresciuta in una città - e in un quartiere, Picanello – che faceva i conti con la recrudescenza mafiosa legata a un boom economico che faceva gola a molti.
Erano gli anni dei cavalieri del lavoro e della guerra di mafia tra i clan dei Santapaola e dei Cursoti, anni raccontati da Pippo Fava. Ricordo perfettamente il giorno in cui lo ammazzarono a pochi passi dal teatro Stabile dove la nipotina recitava in Pensaci Giacomino. Ad inaugurare quella stagione dello Stabile era stata L'ultima violenza, dramma-denuncia scritto dallo stesso Fava e portato in scena da Turi Ferro.
Seguirono gli anni della caduta dei cavalieri e poi quelli della cosiddetta primavera catanese. Quelli sono anni che ricordo bene: l'ex città della guerre di mafia si era trasformata nella Seattle d'Italia, il centro storico prima abbandonato pullulava di nuova vita. Questa nuova Milano del Sud l'ho lasciata nel 2002 per trasferirmi nella Milano lombarda. A Catania torno spesso (e volentieri): ci sono la mia famiglia e le radici del mio lavoro. Il fatto è che, anno dopo anno, trovo la mia città sempre più cambiata, avvolta nelle spire di un'involuzione senza fine che va al di là delle mode che possano far preferire un'altra zona a quel centro storico che ha guadagnato grandi e bellissimi spazi (piazza Università e piazza Teatro Massimo) ma ha perso la sua connotazione di centro di aggregazione giovanile. A dare il colpo di grazia, se ce ne fosse stato bisogno, il degrado di zone come il Passiatore o corso Martiri della Libertà dove si è spostato il giro della prostituzione, e l'assenza di un'offerta culturale che riscatti almeno coloro che vogliono uscire da un autunno che rischia di prolungarsi.
Ma nella lombarda Milano non è tutto oro quello che luccica. Se l'offerta culturale (nonostante le lamentele di chi vorrebbe di più cercando di superare Roma capitale) continua a mantenersi su buoni livelli, cresce l'allarme sicurezza trasformando Milano in una specie di Catania del Nord. A Milano nessuno è sicuro, e non è solo questione di evitare talune zone, come la Stazione Centrale, Quarto Oggiaro o i parchi e le metropolitane dopo una certa ora, per stare tranquilli. Le forze dell'ordine sono impotenti di fronte a una tale massa di disadattati, quali sono una buona parte degli stranieri che vengono sedotti dall'ostentazione pacchiana di una ricchezza alla quale vogliono accedere a tutti i costi. Così prostituzione, spaccio, rapine e truffe diventano il modo più veloce per poter avere il denaro per avvicinarsi a quel modello, sognando di poterlo replicare prima o poi nelle loro città.
Senza fare facili demagogie, mi trovo spesso a pensare che la differenza tra le città come Milano e quelle come Catania sta nell'organizzazione della criminalità. Materia nella quale (purtroppo) al Sud c'è chi è piuttosto esperto: non per nulla si parla di organizzazioni criminali quando si citano mafia, 'ndragheta, camorra o sacra corona unita. Un esempio su tutti quello delle rapine in villa, che al Nord sono una piaga difficile da debellare. In Sicilia ne ricordo poche. Una fece clamore: quella in cui nel 2005 venne ucciso Pancrazio Muscolino. Qualche mese dopo, grazie ad alcune soffiate, in una grossa operazione denominata Vesta furono arrestate 112 persone in tutta Italia, assassini di Muscolino compresi.
Posso sbagliarmi, ma ritengo non si tratti di un caso. Ecco a Milano non c'è quell'organizzazione criminale di controllo del territorio che dà le "regole" che in tutto il territorio nazionale dovrebbe essere patrimonio delle forze dell'ordine e dello Stato. Un "vuoto" che i racket dell'Est (in alcuni settori) e quelli cinesi (in altri) stanno cercando di colmare facendo sprofondare Milano in una sorta di Catania del Nord degli anni bui delle guerre di mafie.
Editoriale scritto per Eventi (allegato trimestrale del quotidiano La Sicilia) qualche tempo fa ma sempre straordinariamente attuale
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