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La fallacia dei salvataggi bancari

Creato il 04 febbraio 2013 da Riecho
Non meraviglia il fatto che la politica si immischi nella gestione di una banca (ovviamente portandola verso il fallimento). Non meraviglia neanche il fatto che la politica usi i soldi dei cittadini per salvarla, al fine di continuare a mantenerne il controllo. Stupisce invece che qualcuno tenti di giustificare tutto ciò. Il fantomatico “bene comune” colpisce ancora...le tasche dei contribuenti.
Le risorse (manodopera, macchinari, energia etc) sono scarse. Perciò il mercato cerca di allocarle nella maniera più efficiente, investendole in progetti che producano beni e servizi utili ai cittadini. Se sono davvero utili, producono profitti. Se non sono utili, generano perdite. Se alcune risorse sono state impiegate male, il danno è fatto; l’unica cosa da fare è liquidare il cattivo investimento, cosicché non vengano sprecate ulteriori risorse. Si tratta di buon senso. Quindi il mercato, cioè l’insieme delle innumerevoli azioni economiche individuali, si comporta in maniera razionale: estromette le attività economiche improduttive, di modo che altre ne prendano il posto.
Queste considerazioni, benché generali (e quindi applicabili ad ogni attività economica), vengono puntualmente disattese in merito a determinati settori. La recente vicenda del Monte dei Paschi di Siena, per esempio, ha visto proliferare numerose fallacie a supporto di un intervento statale – il cui fine è ostacolare i processi di mercato suddetti. Si sostiene che l’attività bancaria sia essenziale per un’economia sviluppata, che il fallimento di una grande banca causerebbe danni ancora maggiori, che si potrebbe scatenare un “contagio” verso altre banche. Quindi la “ricetta” consiste nell’evitarne a tutti i costi il fallimento, magari introducendo nuove forme di controllo con cui i politici e burocrati possano evitare il ripetersi di questa situazione. Una telenovela già vista, insomma. 
Prima di analizzare tali argomenti, è utile ricordare i motivi per cui sono dannosi i salvataggi statali: 1) impediscono il riallocamento delle risorse; 2) premiano chi ha investito male (gli azionisti dell’azienda da salvare); 3) puniscono chi ha investito bene (i contribuenti che, tramite tassazione, dovranno pagare il costo di tali salvataggi). I salvataggi pubblici non curano i danni arrecati al sistema produttivo, ma ne trasferiscono il costo da chi li ha causati al resto dei cittadini. Inoltre pongono le basi per ulteriori danni, incentivando gli imprenditori a prendere rischi eccessivi (di cui potranno godere i profitti e scaricare su altri le perdite). Questi motivi sono validi anche nel caso del settore bancario, dunque non vedo come si possano auspicare a cuor leggero forme di sostegno pubblico a una banca (come i “Monti bond” di cui usufruirà MPS o i “Tremonti bond” di cui ha già beneficiato). 
L’attività bancaria serve ad allocare risorse in maniera efficiente. Se quest’ultime vengono usate bene, ciò porta un notevole beneficio alla prosperità del paese. Ma se vengono impiegate male, ciò porta un notevole danno. Dunque l’attività di una banca è essenziale fintanto che produce buoni investimenti, mentre è deleteria quando ne produce di cattivi. Non ha alcun senso sostenere che sia essenziale a priori. Qualora fallisca una banca, le altre si contenderanno la sua fetta di mercato. O magari nasceranno nuove banche, le quali saranno più avvedute della precedente. Peraltro il salvataggio non diminuisce i danni arrecati dai cattivi investimenti: il fallimento è il sintomo, non la causa. Se (per esempio) la banca ha investito nella costruzione di immobili rimasti invenduti, il danno consiste nelle risorse (tempo, materiali etc) consumati inutilmente da tale lavoro. Non esiste trucco monetario che permetta di tornare indietro nel tempo ed impedire tale spreco di risorse. Il rischio di contagio dipende dall’esistenza o meno di investimenti fallimentari messi in atto dalle altre banche. Se una banca è solida, cioè ha avuto una condotta prudente, non ha nulla da temere. Non avrebbe alcun senso che i suoi clienti corressero a richiedere i soldi dei loro conti correnti. Per quale motivo logico dovrebbero farlo? L’unico motivo sarebbe la presenza di perdite tali da mettere a repentaglio la situazione finanziaria dell’ istituto di credito, dunque non si tratterebbe affatto di una banca solida. Questo dice il buon senso. Questo dicono le evidenze storiche (interessante, da questo punto di vista, il terzo capitolo di “Abolire le banche centrali” – Kevid Dowd). Del resto, una banca che volesse rassicurare i propri clienti potrebbe semplicemente far revisionare i propri conti da una terza parte esperta in tali pratiche. Infine, l’idea che nuove regole o un maggiore controllo politico possano evitare il ripetersi di crisi bancarie è altamente discutibile. Il controllo politico di MPS (o di altre banche italiane, spagnole e tedesche) non ha portato risultati particolarmente buoni, anzi. Le regole più efficaci, quelle di mercato, sono state messe fuori gioco da tempo. La minaccia di corse agli sportelli era un deterrente automatico e forte all’assunzione di rischi eccessivi da parte delle banche; è stata eliminata grazie all’assicurazione obbligatoria sui depositi. Un altro deterrente era la minaccia di perdite elevate per gli azionisti, ma grazie alla Consob e ai suoi arbitrari divieti sulle vendite è stato annacquato anche quello.  Il fallimento, poi, viene escluso a priori per mezzo di varie garanzie (implicite e non) da parte dei Governi. Quindi le regole burocratiche non servono ad impedire le cattive condotte, ma solo a giustificare i successivi interventi di salvataggio. “Abbiamo rispettato tutte le regole che avete richiesto, quindi non è colpa nostra. E’ il capitalismo che tende a fallire”. Tutto vero, eccetto che non si tratta di capitalismo
Di Weierstrass
Contributor EconomiaeLiberta.com
 

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