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La fame dell’autore

Da Marcofre

Non sembra, ma continuo a scribacchiare.
Dopo aver terminato undici racconti (oppure sono quattordici?), ne ho iniziato almeno un altro. Prima ho scritto undici, ma in realtà quei tre incerti sono ancora legati alla stessa matrice degli altri.
Non è mai chiaro finché tra loro e noi non si stabilisce una certa distanza.

Adesso sono al lavoro su un altro, e credo che non sarà simile agli altri che ho scritto in precedenza. È quello che cerco e voglio, si capisce: la matrice potrebbe essere differente, o forse è la medesima, ma trattata in maniera diversa.

Il punto è questo: a un certo punto mi sono incagliato. No, non è era affatto il blocco dello scrittore, l’ho capito subito che lo scoglio era un altro. Vale a dire: una storia differente, che pretendeva da parte mia un’attenzione e una cura maggiore.

Lo stop si è creato perché stavo scrivendo ancora con lo stesso sistema utilizzato per gli altri racconti. Non mi ero reso conto che la nuova storia, richiede una strategia differente. Possiamo affermare che ogni storia è una battaglia nuova, e ci si deve adattare, o perire.

È di certo utile pianificare (ma non troppo), studiare personaggi, pensarci su (e penarci su, questo lo sanno un po’ tutti). Però alla fine quello che appare, quasi abbagliante, è che, se non sei già diventato una specie di “catena di montaggio” di storie, devi adeguarti alla storia, e cambiare.

Se si getta un’occhiata agli autori del passato, si scopre che hanno sempre cercato qualcosa di meglio, un’opera più ambiziosa.

Questo ci insegna che chi scrive e si vede come una creatura palpitante in realtà o non ha talento, oppure non ha ancora capito di che cosa sta parlando.

Tolstoj o Zola erano uomini con un’enorme ambizione. Certo, il russo scriveva appelli allo Zar per la pace del mondo, siamo tutti fratelli di questo pianeta, baci e strette di mano, e via discorrendo.

Per fortuna ha scritto “Anna Karenina”, e lo ha fatto spinto da un’ambizione mostruosa. Questo interessa, il resto sono dettagli.

La scrittura è un’evoluzione: per questo è necessario scrivere ma soprattutto leggere sempre, e interrogarsi. Non che queste attività garantiscano qualcosa, anzi. Lo si deve fare così come un violinista continua a esercitarsi ore e ore davanti allo spartito anche se non si esibirà mai alla Scala di Milano. È irrilevante quale sia il pubblico davanti al quale ci si esibisce: 12 persone o l’Opera di Parigi. L’impegno lo si è preso con l’arte e a questo punto diventa di scarso interesse quanti ci ascoltano.

Certo, sarebbe bello se: ma se si è a caccia di un sistema che garantisca soddisfazioni, forse è meglio rivolgersi a qualcosa di differente. Per esempio il poker.

Quello che deve essere chiaro, è che un autore deve conoscere la fame, qui intesa non come stimolo a mangiare (mi pare ovvio), bensì come molla per osare di più. Sedersi, compiacersi perché si è scritto una storia che sembra buona, è sciocco. Magari è davvero buona, però non importa.

Come? Ah, certo, si può essere vittima di una colossale illusione. Certo.


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