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La famiglia del Rajasthan

Da Patriziayoga
Vivere con una famiglia del Rajasthan, in un villaggio, non è cosa semplice, soprattutto se hai sposato un indiano e sei una "nuora" occidentale.

Il villaggio, Jat Behror, era affascinante perché antico nello stile di vita. 
I miei suoceri possedevano un'antica casa nel centro del villaggio e una casa moderna costruita a ridosso dei loro campi. Io amavo la casa antica ma non c'era il confort del gabinetto!!!
I pavoni si posavano sui terrazzi delle case al mattino attratti dai chicchi di grano che venivano lasciati lì per loro, gli uccellini passeggiavano indisturbati nelle stanze e, al tramonto, in lontananza, in fondo ai campi si potevano scorgere, quelle che erano chiamate le mucche blu "nil gai" una razza di antilopi che godevano di grande rispetto e considerazione. Animali schivi e prudenti, potevano cibarsi di ciò che offrivano i campi coltivati e che fosse di loro gradimento.


La famiglia del Rajasthan
Il villaggio, a quei tempi, era servito dalla compagnia elettrica per una o due ore al giorno e non tutti i giorni. In quell'occasione si azionava la pompa elettrica che tirava su l'acqua dal pozzo e tutti si davano un gran da fare per riempire tutti i recipienti disponibili nella casa.
La famiglia mangiava soltanto ciò che era prodotto dalla propria terra  e beveva il latte munto dalla propria bufala e, se ce n'era a sufficienza, si potevano avere anche lo yogurth e il burro.
Il cibo, semplice e sapientemente speziato, era cucinato su fornelli fatti di terracotta il cui fuoco era alimentato da rametti secchi e sterco di mucca mescolato alla paglia e fatto essiccare al sole. 
Il pane (chapati) rigorosamente non lievitato, sottile e di forma circolare, prodotto fresco ad ogni pasto.

La famiglia del Rajasthan
Fino al giorno in cui non mi lavai con l'acqua attinta dal pozzo di un certo tempio di un loro Guru deceduto da circa cento anni, non potevo entrare in cucina, e dovevo chiedere alle altre donne di servirmi persino un bicchiere d'acqua attinta dalla grande anfora di terracotta ... non ero purificata!
L'ora del tè così come l'ora dei pasti era stabilita dalla suocera, per me facevano un'eccezione perché straniera e accettavano il fatto che avessi altre abitudini, per quanto fossero stupiti che si potesse avere un desiderio diverso dal resto della famiglia! 

Le donne giovani, figlie e nuore, vivevano soprattutto nel retro della casa che, per fortuna si affacciava su vasti campi. 
Il patio era luogo degli uomini e delle donne anziane, le uniche alle quali era consentito parlare con uomini che non fossero il marito.Le mie cognate avevano sempre il capo coperto da un lungo velo ed erano  pronte a farlo scivolare sul viso se sentivano avvicinarsi i passi di un uomo.Sbalordita cercavo di comprendere le loro regole mentre ammiravo la loro tempestività nel compiere quel movimento che avrebbe celato il loro volto al mondo maschile. A loro era proibito parlare con il marito in pubblico ovvero di fronte a qualunque familiare di sesso maschile poiché all'interno e nel retro della casa non erano ammessi gli estranei. Senza la suocera, non uscivano mai di casa. Se i mariti avevano qualcosa da chiedere alle loro mogli, in genere, si rivolgevano alla madre che faceva da intermediaria. 
Qualunque tipo di contatto fisico in pubblico, perfino lo sfioramento, era impensabile.

Le sorelle, cugine o nipoti di mio marito non potevano mai uscire da sole sempre rigorosamente scortate da una donna anziana, da un fratello, zio o padre e soltanto per motivi importanti.Ho impiegato diversi giorni per comprendere queste regole.

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