Due Papi viventi e due Papi santi. Con circa due miliardi di altre persone ho assistito alla diretta tv di un evento storico. Due Papi, il celebrante in carica e l’altro, emerito, concelebrante, insieme per la canonizzazione Giovanni XXIII, J XXIII secondo i grandi palloncini bianchi e gialli di piazza San Pietro, e Giovanni Paolo II, JP II. Attorno a loro, un mare di gente festante, fedeli arrivati da ogni parte del mondo e semplici curiosi che gremivano la grande piazza e tutta via della Conciliazione. Un simile dispiegamento di forze in Vaticano, quattro Papi, non si era mai visto. Ma che significato ha oggi parlare di santità e di fede?
Santi, miracoli, beati. Vita eterna. Guardando scorrere le immagini in tv, ascoltando il resoconto dei commentatori, le testimonianze di chi ha conosciuto i due Papi canonizzati e le parole delle persone arrivate da ogni dove per assistere a questa cerimonia, cercavo di capire cosa può significare tutto questo al giorno d’oggi. Che senso hanno la santità e la fede oggi che non ci fidiamo l’un l’altro, non accettiamo il dolore, vogliamo essere sempre felici e vivere senza problemi. Cercavo di capire cosa porta un milione di persone, tra cui tantissimi giovani, a sfidare lunghi viaggi e enormi scomodità per arrivare a Roma a ringraziare, implorare una grazia, pregare. E due miliardi di persone in tutto il mondo a seguire in televisione questo evento.
La festa dei quattro Papi
Nessun altro evento è capace di suscitare partecipazione come una grande manifestazione religiosa. È una partecipazione sempre contenuta, intima, anche nella festa, che, ad esempio, non ha nulla a che vedere con lo sfogo un po’ sguaiato che accompagna le vittorie sportive. Mai viste tante persone per tanto tempo in silenzio. Un silenzio religioso e innaturale, come quello che ha accompagnato tutte le vicende degli ultimi Papi, la loro elezione, le loro celebrazioni pubbliche, la loro morte.
Giovanni XXIII, il Papa dei bambini e del Discorso alla luna. Giovanni Paolo II, il pontefice delle Giornate Mondiali della Gioventù, che ha quasi inspiegabilmente trascinato e portato alla fede tantissimi ragazzi, che in Sicilia, nella Valle dei Templi, ha chiesto ai mafiosi di convertirsi. Il Papa che ha contribuito al crollo del muro di Berlino. Che ha commosso tutti nei giorni della sua malattia e della sua morte.
Ascoltando la tv, ho appreso che quel che accomuna Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II è il loro legame al Concilio Vaticano II, l’esigenza di rinnovare la chiesa e farla ritornare alla semplicità della comunità cristiana iniziale, basata sulla fraternità e la misericordia. Quello che oggi sta cercando di fare Papa Francesco che, nella sua omelia, ha ribadito che la Chiesa deve tornare alle origini: i due Papi santi, come i discepoli duemila anni fa, hanno accolto nella loro vita la carne ferita di Gesù che, risorto, non aveva nascosto le sue piaghe. Le aveva fatte toccare a chi non credeva nella sua resurrezione.
Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, ha detto Francesco, sono stati coraggiosi e, come i primi discepoli, non si sono scandalizzati del dolore, non se ne sono vergognati. Noi invece quante volte lo abbiamo rifiutato? Quante volte abbiamo rifiutato la fede, dicendo che non può esistere un Dio che permette i soprusi e le ingiustizie? Quante volte ci siamo scandalizzati per il dolore?Papa Francesco ha dato un’altra chiave di lettura: non dobbiamo rifiutare il dolore perchè Gesù Cristo sta in quel dolore, in quelle piaghe. Sta nel sacrificio quotidiano, non nel benessere. In quelle difficoltà che tentiamo disperatamente di allontanare dalla nostra vita.
Giovanni Paolo II avrebbe voluto essere ricordato come il Papa della famiglia, Giovanni XXII era il Papa dei bambini: oggi che la chiesa deve fare i conti con cambiamenti epocali della società, Francesco – hanno detto i commentatori televisivi – si dovrà appellare alla loro intercessione nel percorso che la chiesa sta avviando per tutelare il nucleo essenziale su cui si basa da millenni la nostra società. E quattro Papi insieme, due in cielo e due in terra, oggi sono stati un dispiegamento di forze eccezionale per difendere una fede cristiana attaccata in ogni parte del mondo.
Fede. Parola che fa paura. Salto nel buio. Quanto è difficile fidarsi di qualcosa che non riusciamo a vedere e toccare. Don Mario, parroco della mia parrocchia, durante la messa domenicale ha detto spesso che la fede è un dono che viene dato a tutti al momento del battesimo. Un dono impacchettato che sta lì, dentro il cuore di ognuno. Qualcuno di noi lo lascia chiuso, qualche altro lo rispedisce al mittente rifiutando il battesimo e chiedendo di sbattezzarsi, qualcun altro invece prova a spacchettarlo per vedere cosa c’è dentro. Si fida, alla cieca. Perchè se ci fossero certezze non sarebbe fede.
E’ una scelta che richiede la massima libertà. Personalmente io, non credente di lungo corso, da qualche tempo ho provato con circospezione a spacchettarlo, anche se magari non ho ancora capito bene cosa c’è dentro. Probabilmente è qualcosa che va sperimentato poco a poco, giorno dopo giorno. Senza mai dare nulla per scontato. Con libertà e voglia di confrontarsi con tutte le altre persone che trovi lungo la strada.
La diretta è finita, anche se per tutta la giornata le tv racconteranno con documentari, speciali e fiction i particolari della vita dei due Papi santi.
Sfumando tra cardinali biancovestiti, autorità politiche in giacca e cravatta, militari in alta uniforme e fedeli arrivati da lontano che per ricordare questa giornata storica si fanno il selfie con il Papa da postare sui social network, la Rai cambia programma.
Dopo la diretta della canonizzazione dei due Papi ora c’è Linea Verde. Il presentatore, ospite in una fattoria, cita uno degli aforismi di Freak Antoni: “La vita è come la scala di un pollaio: corta e piena di cacca” (nella versione originale “merdosa”).
Penso che alla fine, con tutto l’affetto possibile per il defunto leader degli Skiantos (RIP), sia proprio questa la differenza tra l’aprire quella scatoletta infiocchettata che sta nel nostro cuore oppure rispedirla al mittente senza neppure vedere quello che c’è dentro. Si può scegliere di vedere la vita come una scaletta corta e piena di merda oppure come una strada lunghissima, eterna, in cui quello terreno e doloroso è soltanto un piccolo brevissimo passaggio. Siamo liberi. Sempre.