Raffaello Sanzio-La scuola di Atene
Etica significa costume, questo termine ci appare, per la prima volta, proprio negli scritti aristotelici "Magna Etica" "Etica Eudemea" e "Etica Nicomachea", l'ultimo è il testo più importante che riguarda questa materia.Nella sua "Filosofia del diritto" Hegel dice, a proposito dell'etica che essa è: "L'insieme delle norme e delle leggi che culminano nell ethos di un popolo". Quindi per etica si intende un approfondimento di tutto ciò che ha a che fare con l'uomo: il bene e il male, il piacere e il vizio etc.Nella "Etica Nicomachea", Aristoteleparla della ricerca principale dell'etica, ovvero, la ricerca del sommo bene. Il filosofo ammette la non esistenza di esso, perché, essendo soggettivo può variare da persona a persona, ad esempio Xpotrebbe vedere reincarnato nel sommo bene il piacere, di conseguenza egli vivrà alla ricerca solo dei suoi più sfrenati piaceri; mentre Ypotrebbe vedere il sommo bene nell'arte. Da qui Aristotele, escludendo l'esistenza di un sommo bene comune, ammette però l'esistenza di un sommo bene soggettivo, a cui da il nome di felicità.Secondo il filosofo la felicità è quella condizione in cui l'uomo fa ciò che gli è proprio, qui c'è anche una variazione dell'indagine preposta all'inizio del libro, ora infatti non c'è più il bisogno di spiegare cosa sia il bene, ne tantomento cosa sia la felicità, bensì cosa ci rende felici.
Platone e Aristotele (a destra)
Nel libro viene spiegato che noi diventiamo felici solo grazie alla virtù. Il filosofo divide le virtù in due categorie:virtù etichee virtù dianoetiche, le prime fanno riferimento all'esercizio della ragione, mentre le seconde consistono nel dominio della ragione sugl'impulsi sensibili. Chi riesce, grazie alla ragione, a dominare i propri impulsi, raggiunge la saggezza, e di conseguenza la felicità. La virtù è propria solo al saggio, al sapiente, ma Aristotele ci spiega (anche se non direttamente) come si diventa saggi.Il saggio per Aristotele deve essere come un arciere che sa subito con quale forza deve scagliare una freccia, e questo lo ottiene solo grazie ad un esercizio, lungo ed estenuante, quindi il saggio deve esercitare la virtù proprio come l'arciere scaglia una freccia, con costanza; come se questa fosse un'azione abituale.Altro elemento che contraddistingue il saggio è la praxis(prassi), ovvero l'azione; il modo di compierla, facendo sempre in modo che questa produca del bene.L'azione va sempre compiuta in base ad un criterio che Aristotele chiama Mesotès(giusto mezzo),che inquadra la proporzione esatta da applicare prima della scelta dell'azione, facendo sì che questa non sia attuata ne per eccesso ne per difetto.Per il filosofo la virtù è collocata proprio nella mesotès, dice infatti a riguardo: "L'intermedio relativo alla cosa è ciò che dista in modo uguale da ciascuno degli estremi" (Etica Nicomachea libro II 1106a 30).Questa è solo una piccola parte del libro che ho riassunto perché pare quasi svelare i segreti del raggiungimento della felicità, che molte volte ci appaiono solo come volgari piaceri, ma che ci schiavizzano fino a renderci vuoti e infelici.Per chi volesse approfondire meglio l'argomento invito alla lettura dei primi due libri del capolavoro dell'etica aristotelica.
Saluto e ringrazio tutti i lettori, anticipando che nelle prossime settimane questo tema verrà approfondito, prendendo in esame le visioni di Seneca ed Epicuro. Articolo originale di Sentieri letterari. Non è consentito ripubblicare, anche solo in parte, questo articolo senza il consenso del suo autore. I contenuti sono distribuiti sotto licenza Creative Commons.