La filosofia celata dietro il "The Truman Show"
Creato il 13 giugno 2014 da Lucia Savoia
"E io chi sono?""Tu sei la star!""E non c'era niente di vero?""Tu eri vero!"Questo è il dialogo che racchiude l' opera profetica di Peter Weir del 1998 "The Truman show". Il film narra le vicende di un uomo Truman, che vive in un posto chiamato Seaheaven, impiegato mite, persona che si incontra tutti i giorni, l'uomo è, a sua insaputa, il protagonista di un format televisivo che va in onda da 30 anni, "7 giorni a settimana, 24 ore al giorno, senza censure." Senza addentrarci troppo nella trama, Truman scopre che qualcosa nella sua città non quadra e cercherà di capire cosa stia succedendo.Il film è stato oggetto di dispute mediatiche, religiose, antropologiche e filosofiche. Alla base dell'analisi filosofica c'è la condizione in cui vive il protagonista, che rappresenta un uomo comune vittima di un sistema, in questo caso mediatico, dalla quale non può venire fuori. Partendo dal nome è possibile cogliere il primo spunto riflessivo, Truman è infatti l'unione di true(vero) e man (uomo), egli è l'unico che recita la parte di se stesso, senza copione, con spontaneità, ma soprattutto, all'oscuro del sistema mediatico creato per l'intrattenimento di miliardi di telespettatori. Egli quindi rappresenta quello che è l'uomo vero, che, antropologicamente parlando, crescendo cerca costantemente di raggiungere la libertà. Essa non è da attribuire alla fuga dal set televisivo ma a quella voglia di abbandonare la monotonia, di mollare tutto e realizzare quello che era il suo più grande sogno, diventare esploratore. La storia di Truman è quindi paragonabile alla massima di Rosseau "L'uomo è nato libero, ma ovunque è in catene". La riflessione filosofica potrebbe spingersi anche oltre, infatti la pellicola potrebbe portare alla domanda "è tutto vero ciò che percepiscono i nostri sensi?".Posta in questo modo ci porta direttamente alla riflessione cartesiana, e guardando il film con gli occhi del filosofo francese la risposta potrebbe essere,appunto: "no". Potremmo anche parlare di tematiche etiche e morali, chiedendoci se sia giusto o meno trattare così un uomo. Conoscendo la situazione di Truman, figlio di una gravidanza indesiderata, si potrebbe rispondere in molti modi. Altro punto focale, è la condizione dei telespettatori, iponitizzati dal format,seguendolo costantemente come fossero schiavi del tubo catodico. Proprio riflettendo su questo punto si ritorna, metaforicamente, alla condizione del protagonista, solo che questa volta, l'uomo non si rende conto di essere schiavo di qualcosa che può toccare con mano e che potrebbe facilmente estirpare spingendo un bottone.
Il telespettatore e Truman, in qualche modo sono la pura immagine della nostra generazione, che è vittima dello schiavismo mediatico. Il regista drammaticamente, 14 anni fa, ci ha implicitamente lanciato un messaggio, un invito forse a rivolgere l'attenzione altrove. Torna allora a tuonare la citazione di Rosseau "L'uomo è nato libero...", bisogna però parafrasarla e intenderla come fosse una domanda, ma soprattutto, non bisogna intendere la schiavitù come qualcosa di concreto che ha imprigionato nei secoli migliaia di uomini, ma deve essere intesa metaforicamente.Ritornando,a questo punto alla domanda, chiedo,"L'uomo è libero?"
Articolo di Dante CianiArticolo originale di Sentieri letterari.
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