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"La Fine del Mondo”, un titolo dalle mille sfumature, capace di abbracciare sensi ampissimi e vasti abbastanza da scartare celermente quello apocalittico più agevole e adottato. Si rimette alla regia Wright, e si fa aiutare alla sceneggiatura dal fido Pegg, che torna irresistibile protagonista anche davanti alla macchina da presa, al fianco dell'amicone Nick e di altri grandissimi interpreti (Martin Freeman, Rosamund Pike, Eddie Marsan, Paddy Considine, David Bradley), i quali, chi più chi meno, non avevano intenzione né di mancare al saluto finale e né di perdersi il maestoso party d’addio. Ecco sorgere allora l'elementare spunto in cui un gruppo di amici persi di vista da circa vent'anni si riunisce per ritentare la scalata fallita in gioventù al percorso mappato che dovrebbe vederli bere almeno una pinta di birra a testa nei dodici, popolari, pub della loro zona, il nome dell'ultimo, la meta proibita ovviamente, è proprio The World's End.
Ma c'è di più. C'è di più perché chi conosce i precedenti di Edgar Wright sa benissimo qual è lo stampo garantito delle sue invenzioni, sa che le situazioni scoppiano all'improvviso, si moltiplicano, si rompono e si ricostruiscono in una forma simile ma differente a quella di partenza. E "La Fine del Mondo" sotto questo fronte non fa assolutamente eccezione, sceglie di non deludere i fan e di continuare su un canovaccio funzionale e funzionante, e ben presto quella che era partita come una rimpatriata forzata da un alcolista anonimo immaturo per guadagnarsi il raggiungimento del punto più alto della sua vita si trasforma in una lotta soprannaturale, all'ultimo corpo, tra il gruppetto che ha ricomposto ed il resto degli esseri umani. E così la storia brucia certezze, frulla generi, passa dal comico al drammatico e dall'azione alla fantascienza con una fluidità chirurgica e una perdita di benzina pari allo zero. Colpi di scena, birre, risse e battute si susseguono nella girandola di avvenimenti (evitiamo spoiler) che coinvolgono i protagonisti e non solo. La furbizia di Edgar Wright e Simon Pegg scrittori spinge la loro pellicola ad approfondire territori simili a quelli calpestati nei lavori precedenti, non rinunciando pertanto al mutamento e al delirio umano che questa volta è trattato in maniera assai più luminosa del solito. L'estro con cui scatenano la loro immaginazione e il loro punto di vista sui tempi che corrono innalza conseguenze assurde ma allo stesso tempo imprevedibili e penetranti, scalciando a velocità supersonica lassù, in alto, al pari livello dei fratelli maggiori, quello che apparentemente è stato rinominato come il terzo capitolo di una saga anomala e straordinaria.
Con una scia positivissima dunque un plauso diventa d'obbligo, come è d’obbligo da parte degli autori decidere di mettere la parola fine a qualcosa di fortunatissimo che inizialmente della parola trilogia non conosceva neppure il significato. Tuttavia sperare che gli estremi per un quarto progetto si facciano vivi in futuro da parte nostra è, e sarà sempre, un comportamento assolutamente umano. E visto quanto hanno dimostrato di comprenderci bene, sia Wright che Pegg, speriamo possano farci un pensierino a riguardo. Se non altro per premiare una delle poche volte in cui noi, umani incomprensibili e incompresi nonché schiavi della tecnologia, siam convinti veramente di quel che vogliamo.
Da loro, perlomeno.
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