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La fine triste della Lega magna-magna

Creato il 15 settembre 2011 da Massimoconsorti @massimoconsorti
La fine triste della Lega magna-magnaCi dispiace infinitamente. Un po’ il cuore ci piange. Pensiamo alla nostra amica casalinga di Abbiategrasso che sta bruciando soffritti su soffritti, ai candidi produttori di latte e ai giocatori di biliardo del Bar dello Sport di Adro. Pensiamo ai bambini che ogni santo giorno sono costretti a varcare i cancelli della scuola e che, oltre alla presenza diseducativa del maestro siculo in aula, sono costretti a trovarsi di fronte il Sole Padano e inchinarsi davanti alla statua di Gianfranco Miglio. Pensiamo agli imprenditori del Nordest che nella Lega hanno investito fior di danè, ai pensionati che ogni anno si mascherano da vichinghi e vanno a Pontida, a coloro che amano cibarsi di bistecche d’orso e al Trota, poverino, che finisce qui la sua carriera politica e prima ancora di potersi laureare con il Cepu. Pensiamo allo sguardo perso dell’insonne di Varese, Roberto Castelli, agli spray disinfestanti di Mario Borghezio, alla Ferrari di Speroni, ai comizi di Gentilini, ma soprattutto, il nostro pensiero in queste ore tristi va a lui, a Roberto Calderoli che ha visto in un amen infrangersi il sogno di Bossi-Tarzan schiantatosi su un baobab per colpa di una liana difettosa. Calderoli probabilmente tornerà a fare il mestiere per il quale è stato concepito, l’inceneritore umano. Solo che questa volta invece delle leggi inutili darà fuoco alle cartacce, alla monnezza irriciclabile, alle cicche di sigarette e alla carta oleata della mortadella. Gramo destino il suo anche se, baciato dalla sorte e da Umberto Bossi com’è stato, potrà sempre sfogliare l’album dei ricordi e ripercorrere i giorni felici del suo ministero, del matrimonio celtico, della comparsate in bermuda e polo verde. La Lega è stata pesantemente contestata alla Camera dopo che si era sparsa la voce del suo voto contrario all’arresto di Marco Milanese. Ma il malumore della base dura ormai da tempo, da quando Bossi ha deciso di legarsi a filo doppio con Silvio Berlusconi e gli ha salvato il culo in cento circostanze. Un partito nato nel segno della legalità dopo la bufera di Tangentopoli, si è ridotto a fare da scendiletto alla politica dissennata del bunga-bunga di un Capataz sull’orlo di una crisi verticale di nervi. Lo striscione apparso ieri alla Camera è una nemesi storica. Sono finiti i tempi delle forche e delle fette di mortadella azzannate a mascelle piene dopo la caduta del governo Prodi. Sono finiti i tempi dei cartelli “Roma ladrona” issati dai peones mentre il capo supremo se la rideva sotto i baffi. E sono finiti i tempi della pajata in piazza con Alemanno, ché poi arriva una vecchia pensionata e vi piglia a pesci in faccia insultandovi come e meglio di uno scaricatore di porto livornese. La Lega è finita, prendetene atto cari, piccoli industriali, proprietari di masi incorrotti, di vacche al pascolo, di socializzanti prosecchini, di afterhour spritz e aperitivi con le cipolline: tutto è compiuto e perduto, perfino l’onore. Dell’ultimatum a Berlusconi letto a Pontida non c’è più traccia. S’è perso, come Andrea, lungo la strada dell’asservimento al potere spacciato per governabilità. Il senso dell’onestà del camionista bresciano e del piccolo imprenditore edile bergamasco, si è perso nelle brume di un berlusconismo d’accatto che a tutto ha pensato meno che a salvare questo paese dalla merda con la quale l’ha ricoperto. A Radio Padania sono ormai costretti ad assoldare figuranti che, a cinquanta euro ad intervento, sostengono ancora la politica di Bossi perché se parlasse la base vera, quella che s’attacca al telefono e le cose non le manda a dire, incazzata com'è farebbe chiudere la radio per vituperio e blasfemia. Bossi fugge dai comizi, quando mai era accaduto? Scappa di notte come Bettino Craxi dal Raphael ed è costretto a rompersi un gomito (memore di quanto accaduto a Silvio dopo l’attentatuni milanese) per continuare a raccattare un po’ di solidarietà dai suoi. Poi appare ingessato in tivvù, inebetito, quasi incredulo di quello che sta accadendo, sui banchi del governo, mentre il cattocomunista Dario Franceschini la mena giù dura nei confronti di Silvio e del suo maggiordomo Umberto. Ma l’avete vista la faccia di Bossi? Era terrea, incredula, incapace di intendere e di volere esattamente come un autistico quando si cerca di fargli dire il suo nome e cognome. Poi è apparso lo striscione “Basta Lega. Basta Roma. Basta tasse”, e Umberto si è sentito mancare. Erano state le sue parole d’ordine, il motivo principale del suo successo e ora non gli appartengono più. È stato travolto, Umberto, dalle auto blù, dalle scorte ministeriali, dai privilegi della casta dei politici, dalla sensazione inebriante di un potere che da alla testa e fa dimenticare da dove si viene, chi si è realmente e dove si sta andando. Ma l’Umberto, politicamente nato sotto il regime demo-socialista di Craxi e di Andreotti, sa prevedere anche il futuro immediato e lo aveva detto: “Se affonda Silvio noi gli andiamo appresso”. Tanto sta accadendo in queste ore nelle quali Berlusconi resta appeso, come un ragno alla carta moschicida, ai 316 voti che lo mantengono in vita come fossero un polmone artificiale. Mentre nell’aula di Montecitorio va in scena l’ennesima farsa all’italiana dell’approvazione di una legge contro i più deboli e sfacciatamente pro-ricchi, fuori i Cobas protestano e si arriva quasi allo scontro fisico con la polizia quando Andrea Ronchi li chiama “cialtroni di merda”. Mai come in questo periodo la merda tira tanto. Ce ne stiamo chiedendo il perché ma non abbiamo nessuna risposta plausibile.

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