Quattro gatti, forse cinque. Lui arriva a bordo della Lancia di rappresentanza e ad accoglierlo a Cassano Magnago, il suo paesello natio, un pugno di leghisti della prima ora. Inizia tardi il comizio conclusivo della festa della Lega. Il microfono gracchia, la telecamera piuttosto che inquadrare lui, si sofferma sulle sedie di plastica vuote. Ad ascoltarlo solo un piccolo gruppo di irriducibili. Sono scomparsi tutti: i leccaculi di una volta, gli adepti al cerchio magico, i servi e le ballerine di Miss Padania che facevano tanto harem ma poca, anzi pochissima, sostanza. Umberto Bossi è rimasto “uno”, come il ciclista semianalfabeta che la sorte e il coraggio gli fanno vincere una tappa al Giro d'Italia. Ma almeno il ciclista, pedalando, lavora. Bossi non ha mai fatto un cazzo in tutta la sua vita e quando arrivò il momento del “pezzo di carta”, si rivolse all'Istituto RadioElettra di Torino per comprarsi un diploma per corrispondenza. Folgorato da Gianfranco Miglio sulla strada del Federalismo, Bossi è stato la gioia e il dolore di Berlusconi, la sua stampella preferita, la gruccia sulla quale fondare la granitica maggioranza alla Camera e quella al Senato di un centrodestra fasullo, anzi tarocco, come i Rolex che si vendono a Spaccanapoli. Corresponsabile tanto quanto Berlusconi dello sfascio della Nazione, l'uomo che ri-nobilitò la canottiera a spalline strette, è disperatamente solo, abbandonato da tutti, alla mercè di un autista che gli fa da bodyguard e pure da badante addetto al pannolone. Questo momento storico è il suo personalissimo Sunset Boulevard, e la fregatura è che non gli hanno dato neppure la parte che fu di Eric von Stroheim. Qualcuno dice che fa tenerezza, che visto così barcollante, quasi indifeso, vittima di se stesso e della sua dispotica arroganza, a Bossi bisognerebbe dare almeno l'onore delle armi. Si potrebbe fare se il Senatur, come i vecchi combattenti, avesse condotto le sue battaglie con onore. Non lo ha fatto anzi. Ha disonorato il suo partito, la sua gente, le corna dei vichinghi, le sorgenti del dio Po, la sua troupe di mezzeseghe miracolate, la sua famiglia di affamati cronici e di frequentatori di yacht e sale giochi, e ridotto a una forchettata di rigatoni co' 'a pajata, il senso del suo fare politica. Dopo la scoperta dei fondi neri del partito in Tanzania e l'investimento in diamanti, la Roma ladrona è diventata all'improvviso la Padania ladrona. Solo che Roma esiste, c'è, la riportano le cartine geografiche di tutto il mondo. La Padania è un'entità astratta nella quale crede ancora solo Bobo Maroni, fra tutti i traditori dell'ex Capo, il peggiore.
Magazine Politica Italia
La fine triste di Umberto Bossi detto O' Padano. Da leader di una nazione inesistente a marionetta di re Silvio
Creato il 06 luglio 2013 da Massimoconsorti @massimoconsorti
Quattro gatti, forse cinque. Lui arriva a bordo della Lancia di rappresentanza e ad accoglierlo a Cassano Magnago, il suo paesello natio, un pugno di leghisti della prima ora. Inizia tardi il comizio conclusivo della festa della Lega. Il microfono gracchia, la telecamera piuttosto che inquadrare lui, si sofferma sulle sedie di plastica vuote. Ad ascoltarlo solo un piccolo gruppo di irriducibili. Sono scomparsi tutti: i leccaculi di una volta, gli adepti al cerchio magico, i servi e le ballerine di Miss Padania che facevano tanto harem ma poca, anzi pochissima, sostanza. Umberto Bossi è rimasto “uno”, come il ciclista semianalfabeta che la sorte e il coraggio gli fanno vincere una tappa al Giro d'Italia. Ma almeno il ciclista, pedalando, lavora. Bossi non ha mai fatto un cazzo in tutta la sua vita e quando arrivò il momento del “pezzo di carta”, si rivolse all'Istituto RadioElettra di Torino per comprarsi un diploma per corrispondenza. Folgorato da Gianfranco Miglio sulla strada del Federalismo, Bossi è stato la gioia e il dolore di Berlusconi, la sua stampella preferita, la gruccia sulla quale fondare la granitica maggioranza alla Camera e quella al Senato di un centrodestra fasullo, anzi tarocco, come i Rolex che si vendono a Spaccanapoli. Corresponsabile tanto quanto Berlusconi dello sfascio della Nazione, l'uomo che ri-nobilitò la canottiera a spalline strette, è disperatamente solo, abbandonato da tutti, alla mercè di un autista che gli fa da bodyguard e pure da badante addetto al pannolone. Questo momento storico è il suo personalissimo Sunset Boulevard, e la fregatura è che non gli hanno dato neppure la parte che fu di Eric von Stroheim. Qualcuno dice che fa tenerezza, che visto così barcollante, quasi indifeso, vittima di se stesso e della sua dispotica arroganza, a Bossi bisognerebbe dare almeno l'onore delle armi. Si potrebbe fare se il Senatur, come i vecchi combattenti, avesse condotto le sue battaglie con onore. Non lo ha fatto anzi. Ha disonorato il suo partito, la sua gente, le corna dei vichinghi, le sorgenti del dio Po, la sua troupe di mezzeseghe miracolate, la sua famiglia di affamati cronici e di frequentatori di yacht e sale giochi, e ridotto a una forchettata di rigatoni co' 'a pajata, il senso del suo fare politica. Dopo la scoperta dei fondi neri del partito in Tanzania e l'investimento in diamanti, la Roma ladrona è diventata all'improvviso la Padania ladrona. Solo che Roma esiste, c'è, la riportano le cartine geografiche di tutto il mondo. La Padania è un'entità astratta nella quale crede ancora solo Bobo Maroni, fra tutti i traditori dell'ex Capo, il peggiore.
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