Il giudizio di Antonio Valerio SperaSummary:
Un originale film di genere, l’opera seconda di Claudio Noce, La foresta di ghiaccio. Il giovane regista romano, che con il suo esordio Good Morning Aman, uno dei più interessanti del nuovo millennio, aveva indagato il sociale e la sfera umana con una storia d’immigrazione incentrata sull’incontro di due personaggi disadattati alla ricerca di un senso nella propria esistenza, per il suo ritorno dietro la macchina da presa cambia completamente registro, presentando però la stessa efficacia nel tratteggiare l’animo umano e nel saper rendere il contesto ambientale circostante perno fondamentale dell’azione.
Nonostante, quindi, si tratti di due pellicole molto lontane tra loro, il tocco di Noce si sente eccome. E se nella sua opera prima centrale era Roma, con la sua multietnicità e la sua anima da metropoli ricca di contraddizioni, ne La foresta di ghiaccio a fare da sfondo è l’innevato e freddo paesaggio alpino, dove prende vita e si svolge l’intero racconto. Nel primo caso Roma si vedeva poco, ma si faceva sentire nei comportamenti dei protagonisti, qui invece quest’influenza sui personaggi viene rafforzata da una cornice onnipresente, che avvolge la narrazione in un’atmosfera gelida quasi disturbante, inquietante, dalla quale sembra impossibile fuggire. È il proprio il bianco accecante dello sfondo scenografico a rendere claustrofobica la storia e a contribuire alla crescita graduale della tensione. In essa si muovono quattro personaggi, due fratellastri, una donna misteriosa ed un ragazzo giunto lì per lavoro. Ognuno di loro ha un segreto, una storia personale segnante, ed i loro destini si incrociano in un turbine di colpi di scena.
Di quest’ultimi è opportuno non parlare per non rovinare la visione. E’ però necessario dire che quella messa sul piatto da La foresta di ghiaccio è una materia narrativa complessa ed articolata, non solo ricca di svolte e di personaggi, ma anche di tante tematiche. Noce mette insieme il tutto in una struttura da western con atmosfere da thriller davvero suggestiva, ma a tratti sembra che qualcosa gli sfugga di mano. Ciò è dovuto principalmente al fatto che la solida ed affascinante messa in scena, in alcuni momenti, non trova un corrispettivo adeguato e all’altezza nella sceneggiatura, che presenta qualche ingenuità, risvolti non molto chiari, personaggi non sempre riusciti o addirittura quasi estranei al racconto (vedi la ragazza con problemi mentali).
Durante la visione queste pecche si avvertono, però alla fine non si può negare che il film funzioni. Funziona nella costruzione del mistero e della suspence, funziona nella descrizione delle figure principali, funziona nel ritmo e nell’impianto visivo. E a funzionare sono anche gli attori, da Emir Kustirica a Domenico Diele, da Ksenia Rappoport ad Adriano Giannini. Quest’ultimo in particolare dimostra nuovamente che è un attore eccessivamente sottoutilizzato dal nostro cinema, un interprete capace di affrontare ogni ruolo con coraggio. Un coraggio che senza dubbi condivide con Claudio Noce. Un autore, che pur non avendo firmato un’opera convincente come la precedente, non ha paura di rischiare e di intraprendere strade poco percorse dal nostro cinema.
Di Antonio Valerio Spera per Oggialcinema.net