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La formula della revisione

Da Marcofre

Non male ma gonfio. Deve revisionare per stringere. Formula: 2 bozza = 1 bozza – 10%. Buona fortuna.

Questo è il consiglio che riceve Stephen King da un redattore al quale aveva spedito una storia, all’inizio della sua carriera. La formula della revisione, quella che un autore dovrebbe applicare alla sua scrittura ogni volta che termina di scrivere. Perché è allora che si comincia a fare sul serio.

Scrivere è alla portata di chiunque, il bello viene dopo, ma per fortuna alla maggior parte delle persone questa bellezza non è rivelata. Anzi, la ritengono una seccatura.

Qui non è il caso di meditare se il 10% è giusto o sbagliato, o come applicarlo. È da fare, e basta.

Quello che però mi interessa nella frase non è il concetto della revisione, sul quale sono in disaccordo solo le capre. Bensì quello della fortuna. Perché la tecnica si può imparare, per esempio. Basta leggere molto, leggere con attenzione e cura, smontare le scene, i dialoghi, e alla fine qualcosa si riesce a spremere.

Il talento, si sa, o c’è oppure no, ma a guardare le classifiche direi che ormai questo pare essere un elemento del tutto secondario. Si sventolano le cifre delle vendite, ed è fatta. Solo un matto metterebbe in dubbio il talento di fronte al successo, vero?
Io sono matto, infatti.

Ma la fortuna? È possibile farla lavorare per noi? Di solito chi scribacchia non si pone mai questo genere di interrogativi. Sia perché non sa un accidente di narrativa, vive in un mondo dove tutti gli dicono che è molto bravo, e quindi di certo andrà lontano. Sia perché non può (non vuole?) credere che se ha talento, debba poi affidarsi a una divinità tanto capricciosa.

Invece dovrebbe farlo. È tutta questione di fortuna.

Raymond Carver ricorda di aver pubblicato grazie alla caparbietà di un editor. Certo, era capace, ma se invece di lui, avesse trovato un altro editor? O quel tipo fosse andato in ferie per tre settimane, avesse scoperto la moglie che gli metteva le corna col portiere dell’albergo dove trascorreva le vacanze, e poi con questo luminoso stato d’animo si fosse messo a leggere i suoi racconti?

Credo che questo tipo di considerazioni possano dare la vertigine. Ecco allora uno dei tanti motivi che dovrebbero spingere a considerare con estrema attenzione l’incipit, la grammatica, la sintassi. Lo sviluppo della storia e il suo valore. Se uno di questi elementi, soprattutto quelli più “elementari”, viene ignorato, di certo la fortuna, cinica e piuttosto incline a barare, non ci sfiorerà nemmeno. Ci sono già sufficienti motivi per scartare una storia; per quale ragione aggiungerne altri?

Che cosa tagliare? Non lo so. Lo devi sapere tu. Ma non esiste una storia che non meriti qualche buon colpo di ascia. Se ritieni che tutto sia buono e perfetto, stai commettendo un grosso errore. Non pensare che si tratti solo di togliere un avverbio, due aggettivi. Possono essere necessari altre mosse più estreme.


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