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La fortuna che abbiamo

Da Marcofre

Altro frammento estratto dall’ebook: “Non hai mai capito niente”. Il titolo: La fortuna che abbiamo. 

Buona lettura.


Una sera dopo cena porto via la spazzatura. È la fine dell’estate, attorno alle nove, ed è buio. Le scale di solito me le faccio a piedi, sia all’andata che al ritorno; non fa male un po’ di movimento. Passo la settimana in piedi, nel centro commerciale che si trova lungo il torrente.
Sono il responsabile del reparto di informatica.

Abitiamo al quarto piano di un palazzo stretto tra la ferrovia e l’Aurelia; io, e mia moglie Elena. Sedici appartamenti, più un paio ricavati da ripostigli e spacciati come mansarde. Sono sfitti, e dubito che riusciranno mai a rifilarli a qualcuno. D’estate si schiatta per il caldo, d’inverno si gela. In certi punti bisogna camminare con la schiena piegata, per non sbattere la testa contro il soffitto.

Ci ho dato un’occhiata; cerchiamo casa, ma nessuno ci corre dietro, preferiamo fare le cose con calma. Siamo sposati da quattro anni, e viviamo in affitto in un appartamento di ottanta metri quadrati.
Esco in strada, m’incammino verso l’area per la raccolta della spazzatura all’inizio della via. Ci trovo uno seduto sull’asfalto, con la schiena appoggiata al cassonetto dell’immondizia. Rallento sino quasi a fermarmi, riprendo a camminare, attraverso la strada.

Dico:
- Tutto a posto, capo?
- Tutto a posto, sì – Mi fa quello; solleva la mano, l’abbassa senza fretta.
- Si sente bene? – Insisto.
- Sì grazie – risponde. È uno lungo, magro, capelli spettinati, con una maglietta scura a mezze maniche e un paio di jeans tenuti su da una cintura. Non riesco a distinguerla, il lampione è distante, ma mi sembra una Charro. Ne avevo una uguale anni fa, chissà dove è finita. Alzo il coperchio del bidone e butto dentro il sacchetto.

Dico:
- L’ho vista lì. Pensavo che avesse bisogno di una mano. Se però è tutto a posto, non c’è problema. Può starci quanto vuole.
- Cerco di rimettere insieme i pezzi – lui fa un gesto vago della mano. Come se fosse una faccenda complicata da spiegare.
- I pezzi – mi fermo. Forse è ubriaco, penso. O drogato.
- Sì insomma. Il quadro della situazione. Il puzzle. Ma non so da che parte cominciare – piega le ginocchia, le tira verso il petto, cerca di appoggiarsi meglio al cassonetto.

Sospira:
- Mia moglie mi ha cacciato di casa.
- Capisco.
- Non posso dire che abbia fatto male. Anzi. Ha ragione lei.
- Le mogli hanno sempre ragione.
Annuisce, sorride appena. Dice:
- Però stavolta ha davvero ragione. Non so se è chiaro.

Me ne sto lì con le mani lungo i fianchi; sospiro e giro attorno lo sguardo. Un paio di ragazzi si dirige verso la passeggiata. Ci danno un’occhiata, parlottano tra di loro e tirano dritto. Uno dei due dopo qualche istante scoppia a ridere, si blocca in mezzo alla carreggiata, batte le mani e riprende a camminare.
- Già – dico infine. Penso a mia moglie che si starà chiedendo che fine ho fatto. Ho lasciato il cellulare in casa.
Il tipo dice:
- Gioco.
- Come? – e mi chino su di lui che se ne sta con la testa piegata sul petto. Ha la barba lunga, è sui quarant’anni.
- Gioco – ripete – Alle macchinette. Quelle dei bar ha presente?
- Vagamente. Non frequento i bar.


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